Per essere compresa, la strategia della tensione – definizione coniata dopo la strage di Piazza Fontana da due giornalisti inglesi dell’”Observer” attenti alle vicende italiane – deve necessariamente essere collocata nel contesto internazionale della guerra fredda.
Un progetto con molti attori e protagonisti, di sicuro non il frutto di un unico “burattinaio”, ma certamente con più di una cabina di regia ancora da valutare appieno nella sua valenza storica. Nella ricostruzione, infatti, delle traiettorie nel dopoguerra dell’anticomunismo che pervadeva le nostre classi dirigenti, i suoi ceti politici e industriali, nonché alcuni importanti vertici istituzionali, sono state spesso sottovalutate le gerarchie militari.
L’attenzione è stata principalmente rivolta agli apparati di polizia e di intelligence, non ai comandi militari, posti invece a un livello superiore, autentiche strutture decisionali all’interno dell’Alleanza Atlantica, nonché snodo delle direttive e degli indirizzi politico-militari approntati in ambito Nato.
Il salto di qualità avviene con la nomina nel 1962, ministro della difesa Giulio Andreotti, del generale Giuseppe Aloja a capo di Stato maggiore dell’Esercito.
Durante la sua gestione, come ha ben documentato in un lavoro di recente pubblicazione lo storico Jacopo Lorenzini “I colonelli della Repubblica. Esercito, eversione e democrazia in Italia 1945-1974” (Editore Laterza), si introdussero cambiamenti decisivi con l’assunzione delle teorie della cosiddetta guerra rivoluzionaria, maturate inizialmente a partire dal 1955 nello Stato maggiore dell’esercito francese dopo la storica sconfitta in Indocina a seguito della battaglia di Dien-Bien- Phu, rielaborate a cavallo degli anni sessanta dagli Stati Uniti (presidenza John Fitzgerald Kennedy), per cui nell’ambito della parità nucleare con l’Urss, lo scontro si spostava dentro i confini dell’Occidente, dove i comunisti operavano per la sovversione.
L’esigenza era di un «nuovo tipo di esercito» per «un nuovo tipo di guerra» ormai «totale», senza più confini, con un «nemico interno» individuato nei sindacati e nelle forze di sinistra. Da qui una nuova dottrina per i Paesi Nato, la ristrutturazione in Italia delle forze armate da modellare per la «difesa interna», capaci di condurre la guerriglia e la controguerriglia, di operare sabotaggi, infiltrazioni e attacchi terroristici.
Da qui anche i nuovi manuali, gli addestramenti nel Meridione (come nel giugno 1965 con l’esercitazione “Vedetta Apula” in un territorio dal Gargano al Cilento alla costa lucana per reprimere «focolai di guerriglia»), i nuovi corsi nelle Scuole di guerra, lo studio della sociologia applicata al condizionamento dell’opinione pubblica, ovvero la «guerra psicologica», l’introduzione obbligatoria nella fanteria dei Corsi di Ardimento per la selezione ideologica dei militari di leva, tenuti da ufficiali che avevano preso parte alle occupazioni balcaniche (1941-1943), alle imprese coloniali, combattuto con i tedeschi.
La rivista militare, organo ufficiale dello Stato maggiore dell’Esercito, ospitò in quegli anni importanti interventi a favore dell’esigenza di imprimere una torsione autoritaria al Paese, dal generale di brigata Francesco Mereu nel 1961 («i movimenti politici protesi alla sostituzione del governo» vanno ridotti «all’inazione prima che abbiano potuto turbare pericolosamente l’equilibrio») al maggiore Enrico Rebecchi nel 1962 («la libertà è un bene di altissimo valore» ma «il regime che esso comporta permette ai partiti di opposizione di prepararsi e organizzarsi come meglio credono»).
Si arrivò a sperimentare nelle esercitazioni (vedi “Aquila Bianca” dell’autunno 1965 con il coinvolgimento della struttura di Gladio e di elementi delle Special Forces Us) «l’ipotesi di una parte del territorio occupato» dai sovietici, ma anche a livello teorico di trarre insegnamenti nel campo della guerra di guerriglia dal «pensiero militare di Mao Tse-tung» (Rivista Militare marzo 1965).
Sono questi gli anni dei convegni in ambito Nato, a Roma nel 1961 (La minaccia comunista sul mondo) e nel maggio 1965 per iniziativa dello Stato maggiore dell’Esercito all’Hotel Parco dei Principi (La Guerra rivoluzionaria), con il coinvolgimento di esponenti missini e monarchici, ma soprattutto sono gli anni del reclutamento dei capi fascisti di Ordine Nuovo da parte dei vertici militari (a partire da Pino Rauti) e di quelli di Avanguardia Nazionale per l’azione provocatoria diretta. Il servizio segreto militare (Sifar) fornirà loro supporto e protezione, poi arriverà il Sid.
La strategia della tensione parte da lontano, ben prima della strage di Piazza Fontana, fondamentale in questo ambito il ruolo degli alti comandi militari.
* Osservatorio democratico sulle nuove destre. Da Il manifesto del 12 dicembre
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