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Pisa. Diciamo no alla costruzione di CIE/lager, a Coltano e in ogni città italiana.

 L’orientamento del governo Berlusconi e l’inerzia dell’Unione Europea nel risolvere la drammatica situazione di Lampedusa stanno per cadere come tegole avvelenate sulla testa di amministratori e popolazioni locali.

Quindici anni di politiche profondamente sbagliate sull’emergenza migrazione – da un punto di vista sociale, culturale e normativo – hanno preparato il terreno per l’attuale clima di caos e l’ostilità contro cittadini che – come farebbero tutti – cercano di fuggire dallo sfruttamento, dalla miseria e dalle bombe.

Le politiche sono quelle veicolate dalle leggi Turco – Napolitano, Bossi Fini e dell’ultimo famigerato “pacchetto sicurezza”.

Lo sfruttamento e la miseria sono anche quelle delle migliaia di imprese italiane che, dopo aver chiuso le fabbriche in Italia e licenziato i lavoratori , hanno esportato le loro produzioni proprio nei paesi dai quali provengono oggi i poderosi flussi migratori che riempiono l’isola di Lampedusa (vedi la Tunisia). Sono i padroni che “rubano il lavoro” portando le fabbriche all’estero.

Secondo i dati dell’Istituto per il Commercio con l’Estero sulla Tunisia ( www.ice.gov.it/paesi/africa/tunisia/presenza.htm ): “ …La Tunisia è da sempre una meta prediletta per i capitali italiani in particolare. Le imprese italiane, specialmente quelle piccole e medie, sono particolarmente attive con oltre 800 società totalmente italiane o a partecipazione mista operanti con investimenti globali pari a circa 516 milioni di euro…”.
Il salario medio di un lavoratore tunisino è da fame (meno di 200 euro al mese)

Per avere queste condizioni ottimali di sfruttamento, i servizi segreti italiani nel 1987 hanno attivamente operato per l’ascesa al potere di Ben Alì in Tunisia, recentemente deposto da un potente movimento di massa.

Il modello Tunisia vale per l’Egitto, l’Algeria, il Marocco e gli altri paesi del Maghreb, dove gli esili equilibri si sono rotti sotto il peso della crisi capitalistica internazionale. Gli aumenti stratosferici dei beni di prima necessità hanno fatto da detonatore per le rivolte.

Oggi siamo alle bombe. La Libia da giorni è sottoposta a una violentissima aggressione. Francia, Inghilterra e Stati Uniti, in un classico conflitto tra potenze capitalistiche, intendono togliere petrolio e gas ai libici e ai loro storici partner esteri, tra cui primeggiava l’Italia. Tutto questo sulla pelle della popolazione locale, impegnata in una dolorosa guerra civile che vede contrapposte due parti ben definite e ben armate.

I lager stile Coltano rischiano di essere riempiti da persone che fuggono da tutto questo. Lavoratori, giovani studenti, artigiani, disoccupati, protagonisti nelle settimane scorse di un potente movimento popolare per migliorare la loro condizione di vita nei loro paesi. Ma per i governi e i capitali euro/statunitensi la mano d’opera magrebina deve rimanere dov’è, mansueta e prona sotto il tallone dello sfruttamento capitalistico, magari  riverniciato con qualche riforma elettorale.  Le loro risorse energetiche devono invece essere incamerate BP, TOTAL, SHELL ed ENI.

Se l’Unione Europea si riunifica oggi sotto il cappello della NATO per bombardare la Libia, dobbiamo chiedere allora che in Europa siano rispettati anche i trattati di libera circolazione delle persone oltre che delle merci. Al contrario gli altri paesi dell’Unione Europea chiudono le frontiere agli immigrati e ai profughi e lasciano che siano abbandonati, respinti o chiusi nei lager qui in Italia.

Il governo italiano allora conceda il visto di Shengen ai migranti che ne fanno richiesta perché si vogliono riunire con le loro famiglie o perché cercano fortuna nei vari paesi europei, mettendo così l’Unione Europea di fronte alle proprie responsabilità nel rispetto dei Trattati e dei diritti dell’umanità.

 

Iniziamo a praticare il concetto di “protezione” piuttosto che quello dell’accoglienza per soggetti perseguitati dalla miseria, dallo sfruttamento e dalle bombe, trasformando i centri di raccolta in luoghi dignitosi, aperti, di integrazione e dialogo tra le nostre popolazioni, impaurite e avvelenate dalla propaganda xenofoba e securitaria.

 

I lavoratori, i giovani, gli sfruttati italiani hanno molto da imparare dal popoli del Nord Africa che in questi mesi hanno osato ribellarsi ai regimi. Loro i presidenti- fantoccio li hanno cacciati via calci nel sedere. E noi?

La Rete dei Comunisti – Pisa

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