Dopo sei settimane di serrate manifestazioni di protesta sociale, gli ‘indignados’ israeliani si accingono domani a raggiungere il culmine delle loro attività quando cercheranno di trascinare nelle strade complessivamente un milione di dimostranti in una quindicina di città fra cui Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Eilat (mar Rosso) e Kiryat Shmona (al confine con il Libano). Nell’attendamento del Boulevard Rotschild di Tel Aviv ed in altri attendamenti eretti in queste settimane in altre città gli attivisti – assistiti dal movimento studentesco universitario – moltiplicano gli sforzi organizzativi per garantire il successo della manifestazione. A quanto pare alla sua conclusione, le tende potrebbero essere ripiegate nella fiducia che sia adesso possibile tradurre le massicce dimostrazioni di piazza già avvenute in una nuova politica sociale del governo. In un acceso editoriale, il quotidiano Haaretz rileva che le proteste «hanno già mutato il linguaggio politico» in Israele e sollecita i lettori a riversarsi nelle piazze «perchè domani – sostiene – si deciderà il carattere della nostra società: se continuerà ad essere sonnolenta… oppure si scoprirà combattiva. Se continueremo ad essere un Paese dove si paga molto per ricevere poco e dove la maggior parte della ricchezza è custodita nelle mani di pochi, oppure si avrà un cambiamento». Nel frattempo però un sondaggio di opinione condotto ieri dalla radio statale sembra dimostrare che l’attuale governo non è stato indebolito dall’estate di proteste sociali e che, se si tornasse a votare oggi, i partiti nazionalisti e confessionali riceverebbero 69 dei 120 seggi alla Knesset. Il partito centrista Kadima crollerebbe da 28 a 18 seggi, mentre i laburisti – dopo la scissione condotta da Ehud Barak – avrebbero solo 10 seggi.
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