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Turchia: in carcere 38 giornalisti kurdi e di sinistra

Le parole pronunciate qualche giorno fa dal ministro della giustizia turco Sadullah Ergin, assumono oggi un significato particolarmente sinistro, alla luce delle perquisizioni e degli arresti di decine di giornalisti e media liberi kurdi in Turchia martedì 20.
Ergin aveva messo in dubbio la veridicità della lista compilata dal sindacato dei giornalisti turchi (TGS) per denunciare il fatto che 72 giornalisti sono attualmente in carcere in Turchia. Ergin si è dilungato a spiegare che quella lista non era corretta. “Ho personalmente verificato ogni nome su questa lista, e ho trovato dati molto interessanti”, ha detto Ergin aggiungendo: “Ci sono nomi in quella lista che vengono indicati come giornalisti, ma in realtà si tratta di persone che hanno ricevuto condanne per reati come omicidio o sequestro di persona.”
Come se “sollecitata” a fare qualcosa dalle parole del ministro, la magistratura ha rapidamente agito per riparare al danno: non ci sono abbastanza giornalisti in carcere? Detto, fatto. Una serie di perquisizioni compiute martedì mattina presso le redazioni di varie città di giornali kurdi e di sinistra come Ozgur Gundem e Bir Gun, agenzie di stampa kurde e di sinistra come DIHA e ETHA, la rivista Modernità Democratica, la tipografia Gun, ha portato all’arresto di almeno 38 (ma il numero potrebbe essere più alto) tra giornalisti e lavoratori dei media.
Vale la pena sottolineare che le perquisizioni sono state effettuate nell’ambito della cosiddetta operazione KCK (Unione delle Comunità kurde, struttura ritenuta dagli inquirenti il braccio urbano del PKK).
KCK, ovvero la foglia di fico, il caso opportunamente vago che permette di arrestare praticamente chiunque abbia legami con il legale e liberamente votato BDP (Partito della Pace e la Democrazia), sindaci, comuni, funzionari, politici e via così.
In una parola, avere collegamenti con un cittadino/a kurdo oggi significa avere la concreta possibilità di finire in carcere. Questo è lo stato di terrore e paura che il partito al governo, l’AKP del premier Recep Tayyip Erdogan, sta cercando di creare in Turchia. Poiché non riesce a ottenere la vittoria sui kurdi con la guerra (i guerriglieri del PKK sono ben lungi dall’essere sul punto di essere battuti militarmente), l’AKP ha scelto di provare a isolare i curdi da un lato eliminando (mettendoli dietro le sbarre) il numero maggiore di politici, amministratori locali, attivisti, intellettuali, avvocati, sindacalisti, e dall’altro con la creazione di uno stato di terrore simile a quello dei bui anni ’90 quando la gente doveva sempre guardarsi alle spalle per controllare che qualche vigliacco non sparasse alla schiena.
E vigliacco come sempre, l’establishment turco (che oggi ha il volto del AKP) pugnala i kurdi alla schiena. E con i curdi ogni possibilità di pace. Incapace di affrontare apertamente l’opposizione curda, in un’arena politica ‘legale’ sia essa il parlamento, la piazza, la strada, il consiglio comunale, l’AKP ha optato per la scorciatoia: ridurre al silenzio tutti.
Il fatto è che questa strategia non avrà successo. E’ bene dirlo forte e chiaro: il popolo curdo non può essere messo a tacere. La volontà, il diritto e la determinazione di un popolo a esistere non può essere soppressa. Non importa quante prigioni si decida di riempire.

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