L’industria automobilistica è rinata e crea posti di lavoro. Le aziende stanno tornando a occupare gli edifici vuoti del centro citta. Il peggio sembrava passato. E invece Detroit, capitale mondiale dell’auto e simbolo della crisi, è – riporta il New York Times – di nuovo in ginocchio e potrebbe trovarsi con le casse vuote in aprile e piegata dai debiti in giugno. Quindi in default. Lo stato del Michigan, dove si trova Detroit, ha avviato un esame formale dei libri contabili della città, un’iniziativa che potrebbe tradursi nella nomina di un manager d’emergenza esterno per la gestione delle sue finanze. Un amministratore esterno avrebbe – in base alla legge dello stato del Michigan – ampi poteri, fra i quali anche quello di abolire i contratti sindacali. Le autorità cittadine sono in consultazione con sindacati e consulenti finanziari per tagliare i costi, riducendo i servizi offerti che la città non si può più permettere, dal trasporto pubblico all’illuminazione delle strade. Detroit, che una volta era la quarta città americana e che ora visto crollare il numero dei propri abitanti da 1,8 milioni nel 1950 agli attuali 714.000, fatica da anni per pagare i propri conti e onorare i propri impegni. La crisi dell’industria automobilistica ha inflitto alla città un duro colpo. Ma i segnali recenti avevano lasciato ben sperare: il settore privato sta tornando e le tre sorelle di Detroit (General Motors, Chrysler e Ford) sono in ripresa. Ora la situazione sembra essere di nuovo sull’orlo della bancarotta anche se il sindaco Dave Bing cerca di allontanare lo spettro di un default. «Se Detroit facesse bancarotta, a risentirne sarebbe tutto lo stato» afferma Bing in un’intervista al New York Times. Bing ha proposto il taglio di 1.000 posti di lavoro nel settore pubblico, che ne conta 11.000, e la privatizzazione di alcuni settori. «Privatizzazioni e outsourcing sono sempre state ritenute brutte parole. Ma non possiamo consentire a 11.000 dipendenti di dettare il futuro dei 700.000 abitanti della citta».
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