Una notizia che può sembrare leggera ma che non lo è affatto.
Il governo di Timor Est, nuovo stato indipendente nato pochi anni fa dopo una lunga e durissima lotta per l’affrancamento dal dominio coloniale indonesiano, ha intenzione di vietare completamente la pratica di alcune arti marziali locali.
Un provvedimento draconiano, che segue la chiusura forzata di tutte le scuole e le palestre nelle quali si insegnavano le tecniche di combattimento. Secondo il governo le bande che nel paese si scontrano a base di arti marziali sarebbero responsabili negli ultimi due anni della morte di 12 persone e del ferimento di oltre 200, cifra altissima se si considera l’esigua popolazione del piccolo paese asiatico. La misura è stata implementata direttamente dal primo ministro Xanana Gusmao.
Per molti anni, durante il dominio coloniale indonesiano (1976 -1999), le scuole di arti marziali, sia quelle ufficiali sia quelle clandestine, erano servite in buona parte ad addestrare i combattenti della resistenza contro gli abusi delle truppe d’occupazione, dando un contributo significativo alla lotta per l’indipendenza. Ma ora, svincolate da motivazioni politiche, molte scuole di arti marziali sono diventate vere e proprie gang criminali, che si scontrano addirittura anche all’estero, esportando un problema assai sentito a Timor Est anche in Indonesia – dove sono già due le vittime – e anche in Europa. Ma la degenerazione di quella che per decenni è stata una risorsa è un ulteriore segnale della crisi che investe la piccola nazione (15.000 chilometri quadrati e una popolazione inferiore al milione di abitanti), appena uscita da un decennio sotto tutela internazionale.
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