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La mafia giapponese… non tira più

Secondo vari studi la Yakuza, la mafia giapponese, sarebbe in crisi di consenso e di ‘vocazione’, ma forse anche in via di ristrutturazione interna per non perdere terreno davanti alle sfide del cambiamento e alla concorrenza di organizzazioni straniere sempre più forti.

Per la prima volta nella storia di questa organizzazione malavitosa dai vasti interessi e ramificazioni ma ancora in buona parte legale, almeno per le sue operazione di copertura e le sedi delle sue cosche, il numero degli aderenti è sceso sotto i 60.000. A fine 2013, secondo i dati appena diffusi dall’Agenzia della polizia nazionale, sono stati registrati ‘solo’ 58.600 membri, con un calo consistente rispetto ai 63.200 del 2012. 

Per le autorità, risultato di una più efficace attività repressiva, ma anche di un’immagine meno brillante e ideale delle cosche e, infine, del rallentamento dell’economia.

Le attività della malavita organizzata giapponese, che ha le sue radici nel XIX secolo, spaziano su molte aree, incluse e sempre più quelle finanziarie. Una delle attività più lucrative resta il controllo del gioco d’azzardo, ma le associazioni della Yakuza hanno tradizionalmente vasti interessi nella gestione della manodopera nell’edilizia e nei porti, nella prostituzione, nella produzione di liquori e nell’immigrazione illegale. Dagli anni sessanta del secolo scorso, anche del traffico di stupefacenti – nel paese in particolare anfetamine e meta-anfetamine -, delle armi da fuoco e del contrabbando di vari prodotti. Più recentemente, a coinvolgere sempre più le organizzazioni mafiose sono vasti interessi finanziari e le attività di estorsione ai danni delle aziende per le possibilità offerte da bilanci non sempre in regola o dallo spionaggio industriale. Gli ingenti prestiti concessi da una delle maggiori banche giapponesi a cosche mafiose negli ultimi anni hanno scoperchiato una realtà su cui gli inquirenti stanno indagando per scoprirne estensione e ragioni.

Da tempo, il coinvolgimento di cittadini comuni in violenze delle cosche, hanno rotto un patto non scritto tra yakuza e autorità, incentivando una minore tolleranza verso le attività illegali e le loro iniziative di copertura. In questo modo mettendo sotto pressione consistenza e struttura dell’organizzazione che tradizionalmente ha una forte componente territoriale e vaste aree di reclutamento tra le minoranze coreana e cinese, oltre che tra gruppi di giapponesi per ragioni storiche soggetti a fenomeni di emarginazione.

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