Assunta in una società di trasporti, aveva comunicato di essere incinta e pochi giorni dopo l’azienda, causa crisi, le aveva riferito di ‘doverla’ licenziare. Un provvedimento eseguito «con precisione chirurgica subito dopo il compimento dell’anno di età del bambino», si legge nel ricorso presentato dal legale della donna al giudice del lavoro del Tribunale di Lodi che ha condannato la società a reintegrarla e a versarle a titolo di risarcimento non meno di cinque mensilità.
La donna, tramite il legale Antonio Pironti, aveva chiesto che il licenziamento venisse dichiarato nullo perchè discriminatorio e perchè effettuato in base ad un’asserita crisi della società che in realtà non c’era. Stando al ricorso, assunta nel 2008 come impiegata presso una società di trasporti, nel marzo del 2009 la donna aveva scoperto di essere incinta ed aveva subito avvertito della gravidanza il suo responsabile.
Poco dopo, nel corso di un incontro le era stato comunicato che sarebbe stata licenziata. ‘Protetta’ da una normativa vigente che tutela le lavoratrici mamme (da quando si scopre la gravidanza fino al primo anno di età del bambino) la trentenne nell’agosto del 2009 era entrata in maternità. Nel frattempo, per via di una crisi aziendale la società aveva deciso di far svolgere a tutti i dipendenti il part time. Tutti tranne lei, a cui non sarebbe stata fatta alcuna proposta. Ma quando nel settembre del 2010 la lavoratrice era rientrata, «con precisione chirurgica, – si legge nel ricorso – subito dopo il compimento dell’anno di età del bambino, il 15.11.10 la ricorrente veniva licenziata con la seguente comunicazione: ‘in conseguenza della ristrutturazione generale che la ns. società ha in atto da tempo al fine di fronteggiare l’attuale crisi economica e di settore, abbiamo deciso di non avvalerci più della sua collaborazione’».
L’impiegata si è quindi rivolta la Tribunale del lavoro sottolineando, tra l’altro, che nessuno degli altri dipendenti è stato allontanato e che anzi, tre mesi dopo a quella che la società indicava come crisi, in realtà tutti gli altri dipendenti, una dozzina in tutto, si erano visti ritrasformare l’orario di lavoro a tempo pieno. Pochi giorni fa la decisione del giudice: ricorso accolto, illegittimo il licenziamento, quindi la società dovrà reintegrarla.
Poco dopo, nel corso di un incontro le era stato comunicato che sarebbe stata licenziata. ‘Protetta’ da una normativa vigente che tutela le lavoratrici mamme (da quando si scopre la gravidanza fino al primo anno di età del bambino) la trentenne nell’agosto del 2009 era entrata in maternità. Nel frattempo, per via di una crisi aziendale la società aveva deciso di far svolgere a tutti i dipendenti il part time. Tutti tranne lei, a cui non sarebbe stata fatta alcuna proposta. Ma quando nel settembre del 2010 la lavoratrice era rientrata, «con precisione chirurgica, – si legge nel ricorso – subito dopo il compimento dell’anno di età del bambino, il 15.11.10 la ricorrente veniva licenziata con la seguente comunicazione: ‘in conseguenza della ristrutturazione generale che la ns. società ha in atto da tempo al fine di fronteggiare l’attuale crisi economica e di settore, abbiamo deciso di non avvalerci più della sua collaborazione’».
L’impiegata si è quindi rivolta la Tribunale del lavoro sottolineando, tra l’altro, che nessuno degli altri dipendenti è stato allontanato e che anzi, tre mesi dopo a quella che la società indicava come crisi, in realtà tutti gli altri dipendenti, una dozzina in tutto, si erano visti ritrasformare l’orario di lavoro a tempo pieno. Pochi giorni fa la decisione del giudice: ricorso accolto, illegittimo il licenziamento, quindi la società dovrà reintegrarla.
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