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Scalfari sconvolto dai “giovani che odiano la velocità”

Lo smarrimento del quotidiano capofila dell'”antiberlusconismo sempliciotto”, del liberalismo senza valori certi, della “modernità tecnologica” senza comprensione dei problemi relativi, in una parola del “capitalismo ordinato” e legalitario che esiste solo nel mondo dei sogni. Tutto si può vedere dentro questo editoriale domenicale del fondatore, Eurgenio Scalfari, che dovrebbe ormai confessare di essere uomo fuori dal mondo proprio mentra pretende ancora di “comprenderlo”. In fondo, non sono più i tempi de “Il sorpasso”…

Buona lettura.

Una strana gioventù che odia la velocità di EUGENIO SCALFARI

Ieri è stato il sabato dei No-Tav in Valle e fuori Valle, a Roma e a Milano, a Mantova, ad Imperia, a Pisa, ad Alessandria, a Pesaro, ad Avellino e in molti altri luoghi urbani e universitari. Gli studenti sono infatti molto impegnati e la Tav  –  cioè l’Alta Velocità  –  è diventata l’obiettivo su cui puntare i fucili della polemica, la sfida alla politica e al governo, alle banche e al capitale, all’Europa dei tecnocrati e ai “media” servi dei padroni.

Però i cortei di ieri erano colorati e anche festosi. Qua e là qualche incidente e qualche occupazione stradale ma per fortuna nulla di grave.

Resta pur sempre il problema di come sbloccare la situazione nella Valle. L’idea d’una moratoria (Di Pietro) è bizzarra: i lavori sono in ritardo di sei anni e tutte le indagini geologiche, economiche, ambientali, impiantistiche che dovevano esser fatte sono state fatte; le modifiche al tracciato per venire incontro ad alcune richieste dei sindaci e delle popolazioni che rappresentano, sono state effettuate.

L’idea avanzata da Adriano Sofri d’una consultazione para-referendaria solleverebbe una quantità di questioni molto più spinose di quelle che in teoria dovrebbe risolvere. Anzitutto: chi dovrebbe votare in quella consultazione? I residenti nella Valle o anche le popolazioni servite dalla linea ferroviaria direttamente e indirettamente? E quali sono quelle popolazioni? Torino? Alessandria? Genova? Modena? Il Nordest?

O addirittura tutta l’Italia

se si sta discutendo d’un interesse generale che confligge con alcuni interessi particolari? Per questo c’è un Parlamento e un governo. Il referendum non è previsto né prevedibile, specie quando c’è di mezzo una direttiva europea ed un accordo internazionale tra Italia e Francia.
Infine, una consultazione para-referendiaria creerebbe un precedente che sarebbe certamente invocato per ogni opera pubblica. Capisco le buone intenzioni di Sofri, ma in questo modo si sfascerebbe definitivamente l’amministrazione di un Paese che è già molto sfasciata.

Mi stupisce in particolare la posizione degli studenti, ostile all’Alta Velocità. I treni stanno accrescendo le loro “performance” in tutto il mondo. Sono palesemente in gara con i trasporti aerei. Le linee “dorsali” consentono la costruzione di nuove reti che sviluppino i trasporti locali e “pendolari”. Cinquant’anni fa un meccanismo analogo e un’analoga rete furono creati per i trasporti su gomma. Ricordo che la sinistra italiana pose il problema dell’altissimo livello di inquinamento creato dal trasporto su gomma. Il problema fu discusso fin dagli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo; lo sostenevano uomini come Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, La Malfa, Natoli, ma furono sconfitti: l’alleanza tra l’Eni e la Fiat puntava sul trasporto su gomma e fu quella la scelta. Ma oggi la tecnologia consente di riproporre il treno e gli ecologisti dovrebbero essere in festa ai cortei favorevoli all’Alta Velocità. E i giovani insieme a loro.

Perché sono contrari? Ho letto che tra i più contrari ci sono gli studenti dell’Università della Calabria. Sono di origini calabresi e conosco bene quei territori. Le amministrazioni locali non avevano mai raggiunto un livello di degrado organizzativo e morale come adesso. I giovani dell’Università della Calabria ne avrebbero di problemi da affrontare. Invece si mobilitano contro l’Alta Velocità. Ma che senso ha? Lo “sfasciume pendulo” calabrese segnalato da Giustino Fortunato 150 anni fa continua a far precipitare le montagne fangose nei torrenti e nel mare sottostante. Cristo si era fermato a Eboli, ma nel frattempo la ‘Ndrangheta ha fatto man bassa su tutti i territori di quelle zone.

Si teme che le organizzazioni mafiose si aggiudichino le commesse per la costruzione delle reti Tav. Questo sì, è un problema assai grave che va affrontato; non per impedire le opere ma per farle con tutti i crismi di legalità. Se il movimento e i sindaci della Valle si mobilitassero per garantire questi obiettivi; se gli studenti, i giovani, i lavoratori, lottassero per consimili risultati in tutto il Paese: questa sì, sarebbe una battaglia che potrebbe rappresentare un salto in avanti di tutta la società italiana e l’inno per quei cortei è già bello e pronto: “When the Saints / go marching in / I want to be in that number”. Coraggio, studenti del Duemila. I vostri padri e i vostri nonni avrebbero voluto qualche cosa di simile, ma rimasero a mezza strada e le loro speranze furono riassorbite dagli interessi delle “lobby”. Oggi si può tentare una spallata a quegli interessi, ma bisogna stare dalla parte giusta, non da quella sbagliata.

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Le riflessioni fin qui fatte ci portano a riconsiderare (l’ho già fatto più volte nelle scorse settimane) la politica di Monti e il tema del “dopo Monti” che col passare dei mesi si pone con crescente attualità.

Il governo ha compiuto da poco i suoi cento giorni. Ha fatto qualche errore di percorso (chi non ne fa?) sostanzialmente veniale. In qualche punto ha dovuto tener conto della maggioranza che lo sostiene e degli interessi che i vari partiti rappresentano. Ma nel complesso la sua azione si è svolta nella giusta direzione e con la massima velocità.

I dati economici e finanziari parlano da soli e il loro linguaggio è talmente univoco che non vale la pena di sottoporli di nuovo all’attenzione dei lettori.

Nei prossimi giorni entrerà nel concreto la riforma del mercato del lavoro. Ci sono ancora molti punti da decidere tra le parti, ma la sensazione è che un accordo si stia profilando anche se la sua messa in opera avverrà per fasi successive. La sostanza della riforma è che l’accordo copra tutti i vari aspetti del sociale e proceda in modo bilanciato, senza abbandonare vecchie tutele se non quando le nuove saranno pronte e le relative coperture finanziarie disponibili.

Ci vorranno anni perché la riforma possa dirsi compiuta e i suoi obiettivi raggiunti: l’eliminazione del precariato, la flessibilità in entrata e in uscita, il mantenimento della giusta causa per tutti i lavoratori, lo sfoltimento delle diverse tipologie contrattuali, le tutele estese a tutti indipendentemente dal contratto e dalle dimensioni dell’azienda, i processi di formazione.

Ma soprattutto ci vorrà la crescita del sistema e della sua produttività che richiede interventi del governo e impegno degli imprenditori e dei lavoratori. C’è un grosso equivoco ancora da chiarire su questo punto: la responsabilità degli imprenditori per quanto riguarda la produttività è nettamente superiore a quella dei lavoratori. Sarà molto opportuno che questo elemento del problema sia sottolineato e rappresenti un impegno concreto delle associazioni imprenditoriali.

A questo punto si pone la questione del “dopo Monti”. Il presidente del Consiglio  –  al quale l’ironia non fa certo difetto  –  ha detto qualche giorno fa che “se farà bene, alla scadenza della legislatura la sua presenza non sarà più necessaria né richiesta; se farà male invece gli si chiederà di restare”. Ma c’è una terza ipotesi: che abbia fatto bene ma che il lavoro sia ancora incompiuto. Questa è una parte del tema che chiamiamo “il dopo Monti”. Ma c’è un’altra parte non meno importante (anzi di più): la discontinuità che il governo Monti ha prodotto e non perché interamente composto da tecnici ma per le modalità che hanno determinato la sua nascita. Questo è il vero tema del “dopo Monti”.

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Per colmare quella discontinuità occorre una riforma seria dei partiti, del loro modo di funzionare e soprattutto del loro ruolo nella società. Spetta agli interessati riformarsi anche se non è facile che il malato sappia auto-curarsi. Questa comunque è la prova cui tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sono chiamate e che incrocia la riforma della legge elettorale e le riforme istituzionali della “governance”.

Ci sono poi le operazioni di schieramento. Berlusconi ha lanciato il “tutti per l’Italia” proponendo che sia Monti a guidare una coalizione basata su due pilastri: i moderati da un lato (con Casini e Fini sottobraccio a lui medesimo) e il Pd dall’altro.

Quest’operazione (l’ha scritto Massimo Giannini ed è l’esatta verità) è disperata: è il solo modo che resta a Berlusconi di garantire l’esistenza del suo partito e la propria. Ma proprio per questo, né Casini né Fini e tantomeno Bersani accetteranno quest’ipotesi. Anzi l’hanno già proclamato e quindi l’ipotesi è inesistente.
L’altra possibilità è un’alleanza (elettorale o post-elettorale) tra il Centro e la Sinistra riformista. Un Centro ovviamente rinforzato dall’implosione del Pdl e una Sinistra riformista che recuperi l’ampia fuga che l’ha assottigliata rispetto alle politiche del 2008.

Su questo tema si discute molto ma spesso con idee assai confuse. Se può essere utile l’esperienza d’un vecchio testimone della politica italiana, il mio parere è questo: il Partito democratico è cosa diversa sia dall’Ulivo sia  –  ancor più  –  dai partiti post-comunisti e post-democristiani che lo precedettero. Si può definire un “cappuccino”, fatto di latte e di caffè. Questi due elementi possono essere diversamente dosati secondo le contingenze, ma nessuno dei due può essere eliminato perché  –  se lo fosse  –  il cappuccino non esisterebbe più e ci sarebbe soltanto il caffè da una parte e il latte dall’altra.

Ho usato un’immagine pedestre per esser chiaro e me ne scuso, ma la sostanza è quella.

Il Pd e il Centro possono allearsi per una legislatura costituente. Possono chiedere a Monti di presiedere il governo. Monti risponderà come crede, ma ove la risposta fosse positiva penso che il Parlamento riunito per eleggere il presidente della Repubblica dovrebbe votare per un nuovo settennato di Giorgio Napolitano. Lui e Monti ci stanno portando fuori dal tunnel. Se il lavoro si deve compiere nessuno meglio di quel tandem può farlo. Napolitano  –  lo conosco bene  –  dirà risolutamente di no, ma se il nuovo Parlamento decidesse in quel senso penso che dovrebbe arrendersi alla volontà dei rappresentanti del popolo sovrano. 

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