Domenica alla Casa della Pace di Roma si è tenuto un partecipato incontro multiculturale, anzi interculturale, che ha avuto come protagoniste le donne. L’iniziativa nata dalla collaborazione del Consiglio Metropolitano Partecipato con alcune associazioni di migranti presenti a Roma ha rappresentato un ulteriore momento di condivisione dell’esperienza migratoria. Con le loro relazioni le comunità hanno documentato aspetti significativi di ciascun popolo legati prima al colonialismo e poi alla pervasiva e performante azione dell’ideologia liberista, mettendo in evidenza la destrutturazione materiale e culturale delle loro comunità. I racconti, sostenuti anche da filmati hanno mostrato come nei paesi orientali le prime a migrare in massa siano state le donne, trovando più facilmente lavoro come domestiche.
I compagni dello Janatha Vimukthi Peramuna (Fronte Popolare di Liberazione) di Sri Lanka ha ricostruito le fasi della migrazione femminile iniziata già nel 1977 quando le giovanissime donne partivano dirette nei paesi arabi, per svolgere lavori domestici e per accudire i bambini.
La loro condizione era però poco regolamentata e a volte non percepivano alcun salario configurando una vera condizione di schiavitù. Alcune donne che si sono ribellate hanno trovato la morte, di altre si sono perse le tracce. Nel tempo le migrazioni delle donne dello Sri Lanka si sono dirette verso l’Europa, e anche gli uomini cominciarono a partire.
La comunità filippina presente con l’associazione Umangat Migrante ha testimoniato la storia di tre donne diventate eroine simbolo della ribellione contro lo stato di schiavitù nel quale si sono trovate nello svolgimento del loro lavoro.
Sarah Balabagan, giovane di 14anni, ha lavorato in Arabia Saudita e nel 1995 ha ucciso il suo datore di lavoro che abusava di lei.
Vicende simili hanno riguardato Flor Contemplation 42 anni e madre di tre figli che ha ucciso i suoi datori di lavoro a Singapore, condannata a morte nel 1991 e Msryj Ane Veloso condannata a morte lo scorso 28 aprile e salvata dall’intervento della comunità internazionale dei migranti.
La comunità Igbo nigeriana presente con l’associazione ‘Donne tradizionali Igbo’ ha raccontato come le lotte contro il colonialismo Inglese iniziate nel 1929 furono organizzate principalmente dalle donne ribellatesi alla tassazione con imposte dirette sulle donne ed esose tassazioni sui ricavi dei commerci. Le donne Nigeriane gestivano infatti le attività commerciali dei mercati e, in quegli anni di recessione mondiale, furono tassate oltremodo dai capi villaggio imposti dal governo inglese.
L’organizzazione amministrativa imposta dagli inglesi aveva destrutturato l’organizzazione interna delle comunità portando alla completa perdita di potere dei nativi ed in particolare delle assemblee come momento decisionale condiviso nelle quali le donne godevano di una rappresentanza importante per tutto ciò che riguardava il commercio.
La rivolta delle donne del ’29 restò simbolo della lotta contro il colonialismo anche nelle forme che prese la ribellione.
Le foglie di palma diventarono il simbolo della rivolta. Le donne venivano invitate attraverso il passaggio di mano in mano delle foglie ad aderire d azioni per noi alquanto singolari. Si riunivano davanti agli uffici amministrativi, con il volto pitturato con i colori dei guerrieri e li occupavano accompagnandosi con danze e balli di guerra, spostando queste azioni sotto la casa degli amministratori locali in qualunque ora del giorno e della notte e seguendoli ovunque.
Insomma una sorta di stolking programmato nei confronti dei Warrant. Con queste azioni, messe in atto principalmente dalle donne Igbo di Abekuta, riuscirono ad ottenere la sospensione delle tasse. Questo tipo di protesta si diffuse in tutta la Nigeria e ci furono momenti drammatici quando diverse centinaia furono vittime del fuoco sparato sulla folla dall’esercito inglese chiamato dai Warrant per sedare le rivolte che avevano preso di mira gli uffici delle amministrazioni locali. A queste rivolte parteciparono circa 25000 donne.
Figura di spicco di questa rivolta fu Fumilayo Ramson Kuti insegnante nata ad Abekuta nel 1900, che per prima chiese il voto per le donne Nigeriane, organizzò un’associazione femminista, studiò in Inghilterra e dopo aver viaggiato molto anche nei paesi del blocco sovietico, dove ricevette il premio Lenin per la letteratura, si vide bloccare il passaporto , accusata di diffondere in Nigeria il comunismo morì nel 1973 a seguito degli esiti riportati dalla defenestrazione durante un bliz della polizia nigeriana nella comune messa in piedi dal figlio Fela Kuti e nella quale viveva.
La testimonianza italiana ha riguardato le lotte che attualmente si svolgono su tutto il territorio nazionale in difesa dell’ambiente dalla Val di Susa contro la Tav alla Sicilia contro il Muos. In particolare è stato ricordato l’impegno delle donne che nel lazio combattono contro i progetti dell’autostrada Roma Latina sostenuto dalle associazioni ambientaliste. Progetto che vedrebbe la cementificazione di una buona parte della terra coltivata dell’agro pontino.
Tutti gli interventi delle comunità hanno fatto riferimento al problema del commercio del sesso e della tratta.
Queste le testimonianze della giornata sono state sostenute anche da foto e filmati degli eventi descritti.
Nel caldissimo pomeriggio del 10 maggio sono poi iniziate le danze tradizionali. L’iniziativa , molto partecipata si è poi conclusa con un tè offerto dalla comunità dello Sri Lanka accompagnato dai dolci tipici offerti dalle varie comunità.
Il Consiglio Metropolitano Partecipato, ritiene importante sostenere iniziative di tal genere per costruire una rete cittadina che contribuisca a creare quel sentimento del collettivo nel quale ognuno possa manifestare si la propria peculiarità culturale ma permettendo attraverso la condivisione delle esperienze di cogliere come il nodo centrale su cui convergere le lotte di ogni paese sia la messa in discussione dell’attuale modello economico ancora fondato sulla contraddizione capitale lavoro e la necessità di articolare il discorso su questo tema centrale per coinvolgere il vissuto dei migranti su una ricomposizione di classe.
* Consiglio Metropolitano Partecipato
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