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Gioia Tauro: un rigassificatore fra terremoti e megainteressi

Il Manifesto del 25 giugno 2013

Sfumato il Ponte sullo Stretto, le mire deirentiers delle grandi opere si concentrano sul mega rigassificatore di Gioia Tauro. Che se costruito, numeri alla mano, sarebbe il più grande d’Europa.

XII Mercalli

Non ha dubbi il geologo Alessio Salvatore Foti. Nello studio sismico a lui commissionato dall’Asi di Reggio Calabria, riguardo l’area su cui dovrebbe sorgere il rigassificatore, il sisma massimo previsto sarebbe devastante: XII grado della scala Mercalli. In poche parole: “distruzione totale”. In una zona tremendamente a rischio sisma. “E’ evidente che il territorio sarà soggetto a fenomeni sismici anche intensi” ha chiosato il geologo. Del resto le catastrofi si sono susseguite con frequenza a queste latitudini. Come non ricordare il terremoto del 1783 che ha persino modificato l’assetto geomorfologico e idrogeologico della Piana e ha originato diffusi fenomeni di liquefazione. Oppure il maremoto del 1908, quello che distrusse Reggio e Messina. Non è un caso dunque che la presidenza del Consiglio dei Ministri abbia classificato come “zona sismica 1” la Piana di Gioia.

A tutto gas

Ma le quattro gigantesche cisterne da 12 miliardi di metri cubi annui di Gas naturale liquefatto (Gnl) fanno gola a molti. Un business miliardario che lo scorso 20 marzo ha ottenuto una concessione demaniale decisiva dal comitato portuale di Gioia. Nonostante le resistenze della popolazione e del forte movimento No Rigas (San Ferdinando in Movimento e Cittadinanza attiva), e in barba a tutte le perplessità e i pericoli adombrati. Non a caso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il supremo organo in tema di infrastrutture ed opere pubbliche, aveva detto ‘no’ per ben due volte al progetto preliminare della società Lng Medgas (formata da due colossi dell’energia come Sorgenia e Iren), per le numerose carenze nella documentazione allegata al progetto, tra cui le analisi sul rischio sismico mancanti, le indagini geoambientali da completare e integrare. Il progetto prevede non solo la realizzazione dell’impianto, ma anche una serie di opere indotte e collegate, quali il pontile di attracco delle metaniere e la piastra del freddo. Tutto ciò perché il gas portato allo stato liquido dalle metaniere deve esser liquefatto grazie ad un procedimento di raffreddamento e inserito in apposite cisterne prima di essere poi smistato. E proprio sul progetto esecutivo per la realizzazione di tali opere (oltre che sui rischi sismici) si sarebbero concentrati i maggiori dubbi dell’assemblea tecnica ministeriale. Ma gli interessi in ballo e gli attori in campo sono tali e tanti che non c’è voluto molto a bypassare il parere del Consiglio superiore e a continuare come se nulla fosse. Con un vero e proprio blitz l’ex premier Monti e il ministro Passera hanno consegnato in mano a Lng le chiavi del progetto. Nel decreto sviluppo le procedure sono state infatti semplificate e i lacci e laccioli eliminati. Una vera e propria norma ad aziendam cucita addosso alla Lng Medgas che ha stravolto l’iter autorizzativo per “i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto in area demaniale, portuale o limitrofa”, scavalcando di fatto le stringenti prescrizioni espresse dall’organo tecnico solo pochi mesi prima. E rendendo quel parere carta straccia.

Colossi e fantasmi dell’energia

Ma cosa è Lng Medgas? E chi si cela dietro? Gli attivisti di San Ferdinando in Movimento hanno svolto un minuzioso lavoro di inchiesta e hanno investigato nei meandri societari. La Lng Medgas Terminal è una società di capitali, più precisamente una srl, concepita ad hoc per il rigassificatore della Piana di Gioia. Nell’ultima conferenza dei servizi in materia, svoltasi nel 2009, è stato deciso di porne la sede sociale a San Ferdinando. Tuttavia, dalle visure camerali effettuate questa risulta situata a Roma, in piazza Santa Chiara n. 49. Nell’elenco amministratori figurano: Valter Pallano (presidente del cda) e Pier Filippo di Peio (consigliere e Ad). Sempre dalle visure camerali si evince che il capitale sociale ammonta oggi a 27.440.665,10 €, interamente versato con conferimenti in denaro. Desta una certa impressione immaginare quasi 30 milioni di euro di contanti, ma la cifra diventa irrisoria se comparata all’investimento da effettuare, che ammonta a un miliardo e 340 milioni. Con quali finanziamenti verrà affrontato? Probabilmente sarà massiccio il ricorso, oltre che agli aiuti di Stato, all’indebitamento bancario. La Lng si scompone in Fin Gas srl (che ne possiede il 70% del capitale sociale), a sua volta suddivisa equamente tra: Sorgenia Spa e Iren Mercato Spa. Il dato interessante è che la Fin Gas ha un capitale sociale di 10.000 euro. Con il quale ha acquistato i quasi 20 milioni di quote della Lng menzionati sopra. Probabilmente con l’ausilio di qualche noto illusionista…

Pezzi grossi, dunque, del mondo della finanza e dell’imprenditoria. Dal Gruppo De Benedetti (a capo di Sorgenia) fino al colosso dell’energia Iren, balzato qualche tempo fa agli onori delle cronache per l’arresto del vicepresidente Giuseppe Villani per una vicenda riguardante la campagna elettorale per le Comunali di Parma del 2007. Ma fosche nubi si addensano soprattutto su Franco Canepa, a cui Lng ha affidato l’iter autorizzativo del rigassificatore di Gioia. Un personaggio che nel pieno della sua ascesa finì in un giro di mazzette. Sapete dove? A Gioia Tauro, ironia della sorte, per la costruzione della zona industriale oggi deserta. Era il 1993. Canepa venne arrestato, gli vennero contestati i reati di concorso in corruzione e turbativa d’asta. Allora patteggiò. Pochi anni dopo, nel 1997, ancora carcere, ma stavolta al di là dello Stretto, in Sicilia, su richiesta della procura di Palermo, assieme ad altre 9 persone. In primo grado il pm chiese per lui 8 anni, che ne uscì invece con una condanna di 5 anni e mezzo. Risulterà assolto in appello e in Cassazione.

Il dietrofront della Cgil

Nonostante la ricaduta occupazionale sia minima (meno di 100 lavoratori previsti) i sindacati sono confluiti in massa nel fronte del sì. Tranne Fiom e Sul (i lavoratori autonomi del porto) il resto delle centrali sindacali è salita sul carro di Lng. Compresa la Cgil che con un incredibile dietrofront ha sconfessato le battaglie ambientaliste degli anni scorsi su Ponte e bonifiche. La linea “sviluppista” è portata avanti con foga dal segretario generale, Michele Gravano. Uno che non è nuovo a questi exploit. Quand’era segretario in Campania schierò nel 2010 la Cgil a favore del referendum sul piano industriale di Pomigliano voluto da Marchionne. Nel direttivo che ha deciso la posizione della Cgil sul rigassificatore il sì ha stravinto. Persino la minoranza si è schierata a favore (come Massimo Covello) scatenando le ire di Delio Di Blasi, l’unico a votare contro. “La Calabria e il Mezzogiorno non possono essere più usate come luoghi dove allocare opere pericolose e inquinanti sia per i lavoratori che ci lavorano sia per le popolazioni residenti, e il rigassificatore esporrebbe l’intera area a rischi elevatissimi. In caso di incidente si produrrebbe una devastazione del territorio nel raggio di 50 chilometri con effetti drammatici e tutto ciò in cambio di poche decine di posti di lavoro. Questo non può essere il modello di sviluppo a cui la Cgil ambisce. Bisogna spezzare il ricatto di un lavoro purchessia in cambio della devastazione dell’ambiente e delle risorse naturali della nostra terra. La Cgil fa un colossale errore a schierarsi con Lng” ci spiega Di Blasi.

La lotta è solo agli inizi. Nonostante l’iter sia avviato, la strada sia stata spianata dalla politica e dai “soliti noti”, il progetto vacilla per mancanza di fondi statali. La partita si gioca tra i rigassificatori di Falconara, Porto Empedocle, e Gioia Tauro. Non tutti saranno messi in cantiere. E quello che rischia di più è proprio quello calabrese. Progettato su faglie sismiche. Da personaggi dal fosco passato.

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