Non si governa contro il popolo. E il popolo ha un bisogno così confuso di “cambiamento” da cadere preda di chi spara cazzate in maniera persuasiva.
L’Umbria va decisamente a destra, senza nemmeno un attimo di esitazione. Ci va consegnandosi a Salvini e Meloni (rispettivamente 37 e 10,4%), ovvero ai due “comunicatori” che hanno ridotto consapevolmente la politica a marketing fatto di colpi bassi, invenzioni, bufale, battutacce. Con alle spalle “imprese” che lavorano scientificamente sul “cervello rettile” dell’elettore medio, isolando singole pulsioni e dando loro “spiegazioni” così semplici da non poter essere nemmeno confutate. Come versetti del catechismo…
Dall’altra parte si è sfasciata al primo ostacolo la consueta “ammucchiata” radunata dietro l’allarme omai non credibile del “fermiamo i barbari”. Davanti a consorterie di arraffoni (il crollo del “sistema Pd in Umbria è legato ad uno dei mille scandali e scandaletti di una gestione “amicale” del potere e delle leve economiche), persino i “barbari” sembrano meno peggio.
I Cinque Stelle mostrano qui in anticipo la sorte che attende un movimento nato sull’”antipolitica”, del “mai con nessuno di questi”, e che una volta entrato nel Palazzo col pieno di voti è riuscito – nel giro di appena un anno – a governare con tutti “quelli là”. Prima con i bru-bru di destra, poi con i più educati magna-magna del Pd.
Ai patetici aficionados del “voto utile per fermare il fascismo” va segnalato che la discriminante antifascista, così facendo, è stata ridotta a una formuletta verbale senza contenuti. Per qualche decennio, infatti, la discriminante antifascista si è coniugata – più o meno seriamente – con il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti, dei pensionati, dei deboli. Poi è stata usata come uno straccio davanti agli occhi da un potere che procedeva a colpi di tagli alla spesa pubblica e allo stato sociale, oltre che allo smantellamento delle tutele del mercato del lavoro, alla precarietà, al caporalato legalizzato.
E’ diventata dunque una formula cui l’elettorato non presta più attenzione. Anzi, usata com’è da personaggi odiosi ed odiati per quello che fanno, serve a svuotarla di senso concreto e rafforzare l’estrema destra revanscista all’interno della destra “normale”.
Dal punto di vista delle politiche reali, non ci sarà alcuna differenza visibile. Lo si vede dai Comuni umbri dove la destra era già al governo (Perugia, Terni, ecc): nulla è cambiato, tranne l’identità di chi usa le leve come affare clientelare, senza alcun progetto.
Ma tanto sembra bastare, per il momento, a un “popolo” che si accntenta di cambiare le facce non riuscendo ad imporre un vero cambio politico.
Due parole, infine, sulla partecipazione di Potere al Popolo. Il risultato – lo si sapeva prima – non è di quelli esaltanti. Ma in questa regione, fatta di cento paesi e un paio di cittadine, la presenza di attivisti era particolarmente esile, dispersa, poco coordinata. La decisione di partecipare comunque alle elezioni regionali è servita a collegare un po’ di più questi gruppi – spesso solo singoli compagni – sparsi per il territorio. A porre insomma le base minime per costruire una presenza e un’attività senza la quale diventa assurdo “chiedere il voto”.
E’ insomma oggi provato quanto sia totalmente falsa la “narrazione” prevalsa “a sinistra” negli ultimi decenni, per cui l’attivismo locale sarebbe sempre efficace e tutti i coordinamenti (da quelli nazionali a quelli regionali) sarebbero invece un danno, roba da “professionisti della politica”. Chi ha organizzazione, unità di intenti e di “linea politica”, radicamento e “immaginario condiviso”, vince. Chi si isola dentro il suo orticello locale, scompare.
Contro il popolo non si governa, bisogna ricordarsi. E la destra, per “statuto di classe”, governa sempre contro il popolo.
Per ora ha avuto gioco facile nello sfruttare il malcontento di una regione, paradossalmente, “benestante”; che teme di perdere qualcos’altro in una crisi che sembra non finire mai, ma che non ha – tranne alcune situazioni particolari – zone di degrado paragonabili a quelle delle metropoli.
Ora si deve “scoprire”, uscire dalle cazzate sparate a raffica e far vedere cosa vuol fare. E si vedrà che si tratta di altri arraffoni, anche più affamati dei “vecchi”, al servizio degli stessi padroni di sempre.
Lì va aspettata, stanata, sputtanata e poi – dopo aver lavorato seriamente “nel popolo” – battuta.
P.s. A proposito di “nuovi arraffoni”, ecco come “batteva i seggi” ieri la Lega:
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De Marco Paolo
2018: Entrate finali 578.490 milioni di euro. Spese finali 622.333 milioni di euro. In https://www.money.it/IMG/pdf/dlb_2019_dlb-01-deliberativo_disegno_di_legge.pdf
Domanda: E possibile che in un Paese in stagnazione acuta e prolungata, con una popolazione attiva di un poco più di 58% e una demografia negativa particolarmente dovuto alla migrazione dei nostri residenti, si possa pretendere presentare una Legge finanziaria fondata sopra 3 miliardi di spese tipicamente clientelari – con una addizione agli 80 euro in busta paga e alle detrazioni Irpef pseudo-ecologiche ecc., ecc. – mentre si tagliano 3 miliardi ai ministeri ?
Ovviamente le nostre concittadine/i non ci stanno. Fanno bene. Speriamo che non vorranno darsi un « re » come le rane della favola.
Con oltre 330 miliardi di euro annui di tax expenditures – la anti-costituzionale flat tax sarebbe l’ultimo chiodo nella bara –, è chiaro che una Legge finanziaria che si rispettasse metterebbe le mani a tutto l’attuale impianto neoliberale monetarista che informa l’attuale public policy. Riabilitando i diritti sociali fondamentali sanciti dalla Costituzione.
Smettiamo di occultare il Sole dietro il proverbiale dito.
Paolo De Marco