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Un paese sempre meno civile, lo “sentenziano” le assoluzioni Marlane Marzotto

Il 19 marzo sono state depositate le motivazioni della sentenza del processo Marlane-Marzotto. Le poche informazioni trovate su qualche giornale calabrese (e qui da noi solo su VicenzaPiu.com) fanno capire che le assoluzioni sono basate sulla impossibilità di dimostrare la correlazione causa-effetto nelle morti degli operai.

E che l’inquinamento c’è stato, sì, con sostanze tossiche e nocive che sono state interrate nei pressi dello stabilimento (sostanze “associabili all’attività di tessitura come quella attuata presso la Marlane”), ma queste, forse, non sono state causa diretta dei decessi (il tasso di mortalità della popolazione di Tortora e Praia a Mare, scrivono, non si discosta significativamente da quello del resto della Calabria).

Con queste scuse mai nessuno sarà condannato per nefandezze come quelle avvenute a Praia a Mare dove gli oltre cento morti di cancro non sono avvenuti “per caso” né per “fatalità”. Quella della Marlane-Marzotto e della giustizia negata sono storie che si ripetono in tante situazioni. Se teniamo conto che c’è anche il decreto 28 sulla non punibilità di reati ritenuti tenui (massimo 5 anni di pena), qualsiasi reato ambientale e qualsiasi malattia contratta per le condizioni di lavoro. Diciamo che non c’è giustizia e, se non si cambia mentalità e cultura del lavoro (che non può essere ridotto al solo raggiungimento del profitto), non ci sarà mai per chi non fa parte della classe/casta dei ricchi “lorsignori”.

L’Italia sta andando sempre peggio. Si sta trasformando in un paese cattivo che nega qualsiasi diritto (in vita e dopo la morte) a chi è costretto a lavorare per vivere. Un paese che, così, sta perdendo la propria dignità. Un paese vinto che vuole diventare la discarica dei paesi più ricchi e un bacino di “forza lavoro” per chi verrà a sfruttare lavoratori e territorio. Invece di esportare diritti stiamo importiamo le ingiustizie. E lo stiamo facendo da tanto tempo.

In questo declino la morte di oltre cento lavoratori, fra i poco più di mille che hanno lavorato nei 40 anni di apertura dello stabilimento di Praia a Mare (una percentuale talmente alta che dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulle condizioni di lavoro che subivano gli operai di quella fabbrica), per qualche giudice è avvenuta, evidentemente, perché è “cosa normale” morire di lavoro.I giudici del tribunale di Paola nelle motivazioni ci spiegano, tra l’altro, che quella della Marlane è una “vicenda non collocabile in tempi specifici tale da rendere il riferimento generico”. Per i morti della Marlane, però, la vita ha avuto “un tempo specifico”, breve. E, loro, non erano certo “riferimenti generici”. Erano intelligenze, affetti, sorrisi, carezze … persone strappate alla vita da qualcosa di anomalo che proprio là, a Praia a Mare, li ha spenti silenziosamente nel corso di anni.

Ai morti della Marlane che non hanno pace per mancanza di giustizia, ai parenti che sono rimasti a piangere chi non c’è più, vorremo dedicare una recente canzone dei Gang “Non finisce qui”. Ricordiamo che Marino Severini, il cantante-chitarrista dei Gang, è stato uno dei primi firmatari dell’appello “Verità e giustizia per i morti della Marlane” di qualche anno fa.

 

Vostro onore, vostro onore
mio padre era un bambino
che correva a piedi nudi
fra la polvere e il cielo
e quel mondo era perfetto
giù dal pozzo fino al fosso
mio padre che correva e il mondo
gli volava addosso.

Ma un giorno, vostro onore,
venne a prenderlo la vita
mio padre era un ragazzo
e l’Italia era tutta in salita
a nord c’era una paga
un lavoro, il meno peggio
se ti prendono per fame
prima o poi ti fanno ostaggio
così quando non hai scelta
non ti resta che il coraggio.

Non finisce qui
non finisce qui
vostro onore
qui non può finire.

Quella fabbrica mio padre
la ingoiò tutta d’un fiato
alla Breda a ferro e fuoco/
come fosse un condannato
ferro e fuoco, fuoco e ferro
e polvere d’amianto
prima ti avvelena il sangue
poi diventa cancro.

Non finisce qui
non finisce qui
vostro onore
qui non può finire.

Io mio padre lo ricordo
quando a casa ogni sera
con gli occhi dentro il piatto
piano piano mi chiedeva
“E oggi come è andata?”
ed io “Bene!” rispondevo
Mio padre era un bambino che correva
fra la polvere e il cielo.

Non finisce qui
non finisce qui
non finisce qui
qui non può finire.

Noi continueremo a lottare perché il lavoro diventi un diritto e non sia più una causa di morte.

Riceviamo e òubblichiamo una nota a firma

Giorgio Langella – segretario regionale PCd’I Veneto 

Luc Thibault – Delegato RSU-USB Greta Alto Vicentino

da http://www.vicenzapiu.com/utente/profile/CitizenWriters

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