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Ischia, una tragedia “normale”

La tragedia che si è consumata nel comune di Casamicciola a Ischia (Napoli) non è una sorpresa o un frutto del “destino cinico e baro”.

Non occorre essere esperti di geologia o di qualsivoglia scienza del territorio per capire che sull’isola – praticamente un pezzo di terra emersa di un sistema vulcanico ancora attivo, collocato al centro del Golfo di Napoli – sono stati consumati autentici crimini ambientali e sociali che hanno stuprato un equilibrio naturale ed ambientale tra i più ricchi ed articolati del Mediterraneo.

Non occorre scomodare la statistica per ricordare ai tanti distratti che in quell’area dell’isola di Ischia – periodicamente – si verificano frane, smottamenti e tutta la variegata sintomatologia di un territorio “colonizzato” oltre ogni limite da attività umane che hanno stravolto la configurazione originaria e naturale.

Perciò i lutti di queste ore sono una “novità” solo per l’abituale caravanserraglio di politici, tecnici a vario titolo, presunti giornalisti e quanti provano a raccontare – con i soliti accenni di squallida esecrazione emotiva – la tragedia che si è palesata.

Salvo pochissime eccezioni – subito silenziate da una crescente blindatura dei canali di informazione – nessuno ha fatto cenno alla totale assenza di quei progetti di prevenzione, di messa in sicurezza, di cura del territorio e di risanamento ambientale che vengono costantemente evocati (e spesso anche finanziati), ma di cui non esiste traccia operativa e di concreta realizzazione.

Anzi, nel corso degli anni alle nostre spalle, particolarmente nell’isola di Ischia, sono stati varati diversi condoni e sanatorie edilizie che – sotto la sbandierata intenzione di “sanare il piccolo abuso di necessità” – hanno favorite le grandi catene alberghiere, la realizzazione di resort fin sopra le pendici del Monte Epomeo o a ridosso di spiagge e scogliere, concretizzando un modello di edilizia selvaggia e totalmente deregolamentata.

L’intera isola – come ogni grande attrattore turistico di portata internazionale – ha sedimentato un sistema economico incardinato esclusivamente sulla parossistica “messa a valore del territorio“, del mare e di ogni centimetro quadrato di Ischia.

Una turistificazione imponente e senza un minimo di regole, un patrimonio edilizio cresciuto oltremodo nelle volumetrie e a scapito di criteri di sicurezza e di qualità, un esercito di lavoratori dei servizi imperniato su contratti di lavoro fasulli, sull’inferno del lavoro nero/sottopagato e sullo sfruttamento di tantissimi immigrati.

E – dulcis in fundo – un intreccio affaristico e speculativo tra “capitali puliti” e “capitali criminali”, che hanno delineato una “drogatura del mercato”, delle sue regole e dell’insieme delle relazioni sociali che né discendono.

In questo contesto non hanno – non potevano – trovato alcuno spazio le politiche di tutela del territorio, di salvaguardia ambientale e di fantomatiche “riconversioni ecologiche” a fronte degli abusi e degli scempi consumati.

In tale frenetica spirale di soldi, affari, consumo di suolo e di verde sono stati ignorati i periodici “segnali della natura” (anche quando, come nel recentissimo passato, avevano già provocato numerosi morti) e il business non si è mai interrotto. E nessuno, nel “sistema” tra affari e amministrazione pubblica, si è interrogato sui suoi “limiti” e sui “punti di non ritorno” che erano stati già raggiunti.

Ricordiamo la derisione con cui sono stati dipinti, in questi anni, diversi attivisti sociali e qualche associazione indipendente che, più volte, avevano provato a criticare le conseguenze catastrofiche delle varie decisioni politichesullo “sviluppo di Ischia”.

Oggi – nelle ore seguenti il disastro – guardiamo i volti e i discorsi di circostanza dei ministri, del governatore De Luca, dei sindaci e di quanti sono stati i promotori e/o i complici di scelte sciagurate che sono la vera causa dei morti, dei feriti, dei danni fisici, economici e psicologici della popolazione.

Ancora una volta – appena calerà l’emozione e scompariranno i titoli da prima pagina – ad Ischia come altrove riprenderà a correre l’irrazionale giostra dell’affarismo e della manomissione ambientale e sociale.

Non è vuota tautologia ribadire che solo un rinnovato protagonismo sociale, un autentico Controllo Popolare e una “sfiducia di massa” verso istituzioni e centri di potere potrà consentirci di prendere in mano il nostro destino (storico, ma anche immediato)!

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1 Commento


  • Manlio Padovan

    Con l’unificazione del territorio, lo Stato unitario cancellò a mano a mano, con leggi fatte apposta, tutta la politica che in precedenza aveva caratterizzato l’intervento pubblico sul suolo e sui fiumi dei vari Stati preunitari. Dopo la cosiddetta unità lo Stato delega ai privati, che agiscono però con la copertura di enormi finanziamenti pubblici, i suoi compiti sulle opere pubbliche relative a consolidamento dei suoli, regimentazione delle acque, strutture insediative sui terreni bonificati, ecc., per lasciare libero campo agli interessi dell’industria a danno dell’agricoltura: interessi più remunerativi, per i privati, di quelli che dava l’agricoltura.
    “Il discorso su questa abdicazione dell’istituto statale in Italia ad una delle funzioni che più tipicamente distingue lo stato moderno – cioè il suo intervento nel determinare in termini economici, urbanistici e demografici la organizzazione di territori in cui esso si articola – potrebbe continuare fino ai nostri giorni. Ma qui basterà far notare come le contraddizioni istituzionali su cui si è insistito…abbian sacrificato totalmente i risultati delle discussioni e delle ricerche portate innanzi dal secolo XVIII fino a età risorgimentale, e le loro prime positive conseguenze. E come esse sian le responsabili del dissesto che investe e ferisce ora, nei nostri ambiti nazionali, con un ritmo e una misura che ogni anno aumentano, i beni naturali, i patrimoni culturali, la vita della gente.” (L. Gambi nella introduzione a: B. Vecchio Il bosco negli scrittori italiani del settecento e dell’età napoleonica)

    Ma i politici leggono?

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