Rimettere in scena Bella Ciao, il più importante spettacolo di musica popolare dell’Italia repubblicana, era impresa da far tremare i polsi. L’operazione, proposta dall’associazione “Secondo Maggio” di Milano, con il coordinamento di Franco Fabbri e la direzione musicale di Riccardo Tesi è però riuscita. Abbiamo assistito, nella sala Di Vittorio della Camera del Lavoro di Milano a uno spettacolo vivo e vibrante e non a una semplice riproposizione delle canzoni che avevano costituito la scaletta del famoso spettacolo del 21 giugno 1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Pur nella sostanziale fedeltà all’impianto di quello spettacolo, con tanto di inizio dalla Lizza delle Apuane e da due versioni di Bella Ciao, quella “mondina” e quella “partigiana”, sono state aggiunte canzoni che fanno parte del repertorio dei protagonisti musicali della serata e nuovi arrangiamenti ispirati alle tendenze attuali della musica italiana di ispirazione folk, di cui Tesi è senz’altro uno degli interpreti migliori. In scena, peraltro, era un organico di voci e strumentisti scelti tra i migliori che la scena folk (e non solo) italiana possa offrire. Uno spettacolo che è stato apprezzato dal pubblico, numeroso ed entusiasta.
Ancora, uno spettacolo che ha dimostrato l’attualità di questi canti, che nascono dalla storia dell’Italia e che la percorrono con il punto di vista delle classi subalterne. Canzoni che mantengono inalterato il loro senso profondo, sia perché testimonianza dei fatti di cui parlano, sia come espressione di una condizione di classe in cui per molti versi è ancora possibile riconoscersi oggi.
Il lavoro paziente dei promotori e dei protagonisti dello spettacolo è stato quindi premiato grazie all’apprezzamento del pubblico che, nella sua grande maggioranza, dello spettacolo Bella Ciao montato dal Nuovo Canzoniere Italiano aveva solo letto o sentito parlare o ascoltato il disco, che peraltro ebbe una diffusione clamorosa per la musica folk, superando le 100.000 copie vendute.
LA STORIA DI UNO SPETTACOLO MILITANTE.
Bella ciao, rappresentato a Spoleto il 21 giugno 1964, fu esito di un lungo lavoro di ricerca sociale e politica svoltosi negli anni precedenti. A questo lavoro avevano partecipato artisti e intellettuali provenienti da diversi campi di studio, in primo luogo quello musicale, ma anche quelli della letteratura, della poesia, delle scienze sociali. Già dal 1953, a Torino, era infatti presente il gruppo Cantacronache, fondato da Sergio Liberovici e Michele Staniero, a cui aderirono ben presto Emilio Jona, Fausto Amodei e altri. Questo gruppo si proponeva di coniugare il mondo della canzone con l’impegno politico e sociale e di proporre canzoni che parlassero della vita concreta delle classi popolari e dei problemi sociali, in contrasto allo stile d’evasione stile “Sanremo”. A tale gruppo aderirono ben presto intellettuali di formazione non musicale, come Italo Calvino, Franco Fortini, Gianni Rodari, ma anche compositori di provenienza “colta” come Giacomo Manzoni e Fiorenzo Carpi. Le canzoni prodotte da questo gruppo, in genere su musiche di Amodei o di Straniero e spesso su testi degli scrittori citati, ebbero una larga diffusione e furono in seguito riprese da cantautori delle generazioni seguenti, come Jannacci, De Gregori, Tenco e altri. L’attività di Cantacronache si estese in seguito, grazie agli interessi politici dei suoi componenti, anche ad altri tipi di repertorio tra cui quello orale italiano e i canti dei paesi coloniali che lottavano, allora, per la libertà. Fu normale che questo gruppo trovasse, all’inizio degli anni sessanta, delle convergenze con il sorgente Nuovo Canzoniere Italiano.
Diversamente da Cantacronache, il Nuovo Canzoniere Italiano era interessato specificamente sin dalla sua costituzione alla valorizzazione del patrimonio musicale delle classi subalterne. Uno dei personaggi chiave di questo gruppo era Roberto Leydi, nato come jazzista, ma ben presto convertitosi alla ricerca sulla musica popolare, anche grazie alla collaborazione con Alan Lomax, importante etnomusicologo americano che, costretto a lasciare gli USA nel periodo maccartista, aveva dedicato la sua attività alla ricerca in Italia. Con Leydi stavano, nel Nuovo Canzoniere Italiano, la sua compagna Sandra Mantovani, Edmonda Aldini, Margherita Galante Garrone, Gianni Bosio, Cesare Bermani e altri intellettuali interessati alla musica popolare. Una sponda importante a questo gruppo fu offerta dalle Edizioni dell’Avanti (in seguito denominate Edizioni del Gallo) che erano dirette proprio da Bosio e che intrapresero la pubblicazione dei famosi “Dischi del Sole” che costituiscono un archivio fondamentale del canto popolare, sociale e politico italiano.
Fu proprio dalla confluenza tra i due gruppi citati che nacque lo spettacolo Bella ciao, rappresentato dal Nuovo Canzoniere Italiano (che aveva integrato alcuni componenti di Cantacronache) al Festival Dei Due Mondi di Spoleto nel giugno 1964.
Lo spettacolo fu concepito da Roberto Leydi, la regia fu affidata a Filippo Crivelli ma contribuirono alla sua ideazione anche Franco Fortini, che firmò come co-autore e Gianni Bosio. Le ragioni per cui uno spettacolo di questo tipo poté arrivare a essere rappresentato in un ambiente come Il Festival dei Due Mondi di Spoleto, retto dal conservatore Giancarlo Menotti era legata all’amicizia di Leydi con Nanni Ricordi, membro sino ad allora della direzione del festival ma costretto a rassegnare le dimissioni dopo le polemiche seguite alla rappresentazione di Bella Ciao.
Ciò che successe, nel 1964, durante e dopo la rappresentazione di Bella Ciao è entrato nella storia come un esempio di beceraggine reazionaria e militarista. Si racconta che Sandra Mantovani, che doveva cantare Gorizia ebbe un abbassamento di voce e che si decise di affidare la canzone a Michele Straniero che la cantò nella versione testuale che conosceva, raccolta da Cantacronache, in cui si faceva riferimento alla vigliaccheria e alla cialtroneria degli ufficiali italiani durante la prima guerra mondiale: “Traditori signori ufficiali/ che la guerra l’avete voluta/ scannatori di carne venduta/ e rovina della gioventù”. Queste parole scatenarono la reazione di un ufficiale presente nel pubblico che si abbandonò a una sceneggiata “patriottica” seguito da una ventina di sodali. Il giorno dopo, Spoleto fu tappezzata di manifesti che gridavano allo scandalo per il vilipendio delle forze armate mentre il direttore del festival Menotti e il presidente dell’Azienda del Turismo di Spoleto, Dominici si presentarono “di loro spontanea iniziativa” a presentare le scuse al comandante del presidio militare cittadino (Il Festival va a Canossa, titolò l’Unità). Gli squadristi missini di Caradonna tentarono di occupare il teatro Caio Melisso dove si teneva il festival per bloccare le repliche di Bella Ciao ma furono dissuasi da gruppi di operai giunti da Terni,sembra su sollecitazione di Giancarlo Pajetta. L’Unità denunciò anche la provocazione di una bomba artigianale collocata nei camerini del teatro, che fu fortunatamente disinnescata per tempo. Ci fu, come sempre in queste occasioni, una diffusione di appelli e di comunicati a sostegno di una parte e dell’altra e anche il Vescovo di Spoleto volle metter in guardia la cittadinanza sulle deviazioni dell’arte che possono corrompere i valori morali. Alcuni parlamentari comunisti (tra cui Alicata, Rossanda e Ingrao) presentarono un’interrogazione parlamentare al ministero della Difesa affinché si accertasse quali fossero state le azioni del presidio militare di Spoleto per impedire e boicottare la partecipazione allo spettacolo. Michele Straniero si prese una singolare denuncia motivata con l’aver cantato dei versi che non erano previsti nel copione consegnato alla direzione.
Le cronache dei giorni seguenti il 21 giugno registrano che lo spettacolo ottenne, alle repliche successive, un buon successo che aprì le porte alle sue successive rappresentazioni in giro per l’Italia, prima fra tutte a quella di Milano.
Può essere istruttivo leggere la stampa dei giorni immediatamente successivi allo “scandalo” di Bella Ciao. L’Unità, a firma di Leoncarlo Settimelli, prese decisamente le difese del lavoro del Nuovo Canzoniere Italiano denunciando l’azione di censura della direzione del Festival. L’Avanti fece anche qualcosa di più: il suo corrispondente Gianfranco Zaccaro attaccò i fascisti, la direzione del Festival e lo stesso vescovo di Spoleto e difese lo spettacolo, ma nell’edizione del 24 giugno pubblicò un lungo articolo dello stesso giornalista in cui si analizzava e si valorizzava la collana dei Dischi del Sole, quasi a volerne ricordare e difendere il valore documentario e politico oltre alle contingenze del singolo spettacolo. Di tutt’altro tenore il commento del Corriere della Sera che, a firma di Franco Abbiati, sfoggiava verso il canto popolare un trito paternalismo da fetta di salame e bicchiere di vino a proposito dei canti che si ascoltano nelle “osterie della Romagna” durante “i vagabondaggi della stagione novella” e che sarebbero stati snaturati da Bella Ciao che “sapeva di chiuso, di teatrino aulico, anche nelle strofe inneggianti al ‘Sol dell’avvenir’”. Un atteggiamento che non si deve pensare imputabile solo a poca dimestichezza con la musica popolare, bensì a due ragioni concorrenti: svuotare il canto popolare del suo significato sociale e politico e al contempo negarne il valore culturale relegandolo a sfogo e divertimento di qualche giovanotto avvezzo al Sangiovese.
Probabilmente, anche in queste contraddizioni stanno il senso profondo e il vero valore non solo di Bella Ciao, ma di tutta l’attività del Nuovo Canzoniere Italiano.
IL NUOVO CANZONIERE ITALIANO, LA POLITICA, LA CULTURA POPOLARE
L’attività che coinvolse alla fine degli anni cinquanta e nei primi sessanta i ricercatori, i musicisti e i letterati che ho citato, andava invece proprio nella direzione di valorizzare la cultura popolare nel suo senso proprio e antropologico di cultura, vale a dire di modo complessivo di concepire il mondo e di organizzare i dati della propria esperienza. Una cultura, quella del canto popolare, che nei primi anni sessanta era quasi completamente trascurata anche nei partiti operai, tanto che le feste dell’Unità e dell’Avanti la dimenticavano a vantaggio del ballo liscio o delle canzoni strappalacrime in stile Villa o Tajoli.
Non solo, ma questo lavoro si svolse in una congiuntura delicata della società italiana. Non si dimentichi, a questo proposito che la musica popolare italiana era nel suo corpus principale, di origine contadina, ma che la società aveva già preso la sua direzione industriale. Nel Nuovo Canzoniere Italiano e nel caso specifico in Bella Ciao si realizzò l’incontro tra chi rappresentava la tradizione del canto legato alla terra nella persona di Giovanna Daffini, ex mondina e del Gruppo Padano di Piàdena e i giovani protagonisti del folk revival, Sandra Mantovani, Caterina Bueno, Silvia Malagugini, Maria Teresa Bulciolu, Michele Straniero, Giovanna Marini. Un incontrò da cui nacque una cultura musicale nuova, che seppe coniugare la ricerca sulla cultura storica delle classi subalterne con le nuove esigenze di un canto popolare legato alle lotte operaie e studentesche degli anni seguenti (due filoni che ancora oggi coesistono all’interno dell’Istituto Ernesto De Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario, fondato proprio da componenti del Nuovo Canzoniere Italiano).
Il Nuovo Canzoniere Italiano, attraverso le canzoni dei suoi componenti non ha solo offerto la colonna sonora delle lotte degli anni sessanta e settanta (Morti di Reggio Emilia di Amodei, I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini, Cara Moglie di Della Mea e tante altre), ma ha profondamente influenzato la cultura e il mondo della stessa politica, in un rapporto non sempre facile e talvolta in contrasto con gli allora partiti “tradizionali” della classe, imponendo sempre all’attenzione la voce concreta del punto di vista proletario e popolare. Ancora, vale la pena di ricordare che il lavoro di Cantacronache e del Nuovo Canzoniere Italiano ha contribuito anche a rompere gli steccati tra musica colta e musica popolare. Se proprio la sera della prima di Bella Ciao una signora della Spoleto borghese, di fronte all’impostazione vocale popolare di Giovanna Daffini urlò che “se devo ascoltar cantare la mia donna di servizio resto a casa” (celebre il rimbecco di Giorgio Bocca “stai zitta, carampana”), non fu certo questo l’atteggiamento di diversi compositori che non solo si interessarono in quegli anni alla musica popolare ma instaurarono anche rapporti di collaborazione, in forma diversa, con il Nuovo Canzoniere Italiano. Tra questi, non solo i già citati Manzoni e Carpi, ma anche Luciano Berio, ch si impegnò in una ricerca sul campo a Ceriana (Liguria) e che s’ispirò alla vocalità popolare nelle Folk-songs e in Questo vuol dire che…… Ancora più importante l’interesse di Luigi Nono che nel 1967 propose delle sue composizioni (e così fecero anche Giorgio Gaslini, Giacomo Manzoni e Bruno Maderna) al Teatro del Popolo di Milano, affiancando, nell’attenzione del pubblico, la sua produzione alla musica popolare per sottoporre al giudizio dello spettatore due forme di comunicazione che, ciascuna con i suoi mezzi, dichiaravano la loro opposizione alla gestione capitalista della società. Più tardi, per Non consumiamo Marx, Nono si avvalse di registrazioni sul campo di Gualtiero Bertelli (in particolare la contestazione della Biennale di Venezia) e la sua collaborazione continuerà negli anni seguenti. Peraltro anche Giovanna Marini proviene da una formazione classica che proprio attraverso il Nuovo Canzoniere Italiano si incontrò con la musica popolare in una serie di intrecci che continuano ancora oggi.
La convinzione era, evidentemente, che il riferimento alla lotta di classe potesse far superare fratture culturali ed estetiche, pregiudizi e classificazioni create dal potere e che servono al perpetuarsi dell’egemonia culturale della borghesia.
E’ quindi vero, come ha scritto Cesare Bermani nel suo libro Una storia cantata (Istituto DeMartino/Jaca Book, 1997) dedicato al Nuovo Canzoniere Italiano che Cantacronache e Il Nuovo Canzoniere Italiano hanno profondamente influenzato non sol ola musica leggera, la musica colta, la didattica musicale e l’etnomusicologia ma anche la storiografia, l’antropologia, il teatro e l’educazione sia dei ragazzi che degli adulti.
La ripresa di Bella Ciao è stata quindi un’occasione importante e significativa di riflessione su tutti questi aspetti di una storia musicale che s’intreccia profondamente con la storia delle classi subalterne italiane.
Su tutti questi aspetti si tornerà nel convegno indetto per il 17 giugno dalle 10.30 alle 17.30 alla Sala Napoleonica di Via Sant’Antonio 10 a Milano, promosso da Franco Fabbri e Nicola Scaldaferri. Progetto di questo convegno è non solo quello di mostrare e far conoscere documenti della storia del Nuovo Canzoniere Italiano e dell’Istituto Ernesto De Martino, ma anche intrecciare gli studi di giovani ricercatori con le testimonianze e le riflessioni di alcuni dei protagonisti storici di quelle vicende.
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