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Il Movimento No Tav di Wu Ming 1

Un viaggio che non promettiamo breve di Wu Ming 1 (Einaudi, 2016) è un testo fondamentale per chiunque sia interessato al movimento No Tav, uno fra pochi movimenti di lotta popolari in Italia capace di sopravvivere nel tempo, nonostante la dura repressione giudiziaria a cui è e stato ed è tuttora sottoposto. Basti ricordare gli oltre 1000 indagati negli ultimi sei anni e mezzo, con imputazioni che vanno dall’accusa di terrorismo a 5 ragazzi per il rogo di un compressore (poi fortunatamente cadute in Cassazione) all’istigazione a delinquere per lo scrittore Erri De Luca, reo di aver invitato al boicottaggio del TAV in un’intervista del 2013 (De Luca è stato successivamente assolto per insussistenza del fatto).

Anticipato da una serie di articoli su Internazionale, il testo ricostruisce (come da sottotitolo) “venticinque anni di lotte No Tav”. Le sue 652 pagine restituiscono il senso di un imponente lavoro di ricerca basato sull’analisi di centinaia di atti giudiziari, di documenti prodotti dal movimento, di libri e articoli di giornale, nonché di svariate interviste ad attivisti e a giornalisti che si sono occupati della lotta No Tav come Luca Rastello e Maurizio Pagliassotti.

La domanda da cui parte Wu Ming 1 è di non facile risposta: perché proprio in di Val di Susa? Come è stato possibile che, come l’autore scrive a pagina 30, “sotto l’aspetto della resistenza, quel margine estremo di territorio nazionale, quel lembo d’Italia misconosciuto, quella zona di confine fosse diventata un centro, e territori centrali fossero diventati più marginali”?

La risposta secondo l’autore sta in alcune pre-condizioni. In primis le lotte precedenti dei valsusini contro altre grandi opere inutili: quella persa contro l’autostrada A32, “invasiva e deturpante, oltreché (…) la più cara d’Italia” (p. 244), e quella vinta contro il mega-elettrodotto a Grand Ile- Piossasco (ora però di nuovo in discussione). Risalendo il corso della storia a ritroso, Wu Ming 1 individua poi radici più antiche, che si sono fuse insieme con evidente successo dal 1991 ad oggi: la lotta partigiana e quella operaia, il cristianesimo di base e le sue pratiche di non violenza. Il che spiega la composizione straordinariamente eterogenea del movimento No Tav odierno, che va dai “Cattolici per la vita della valle” fino ai militanti dei centri sociali.

Benché ovviamente concentrato sulla Val di Susa, il libro dedica spazio anche ad altri scempi ad alta velocità e ai movimenti che vi si oppongono, come i No Tav che si oppongono al Terzo Valico fra Genova ed Alessandria. La logica che ha permeato lo sviluppo dell’alta velocità in Italia ben si confà al “keynesismo criminale” che ha caratterizzato il modello di sviluppo italiano negli ultimi decenni: “l’obbiettivo non è finire l’opera, ma drenare denaro pubblico” (p. 314). Inevitabile quindi che la critica alle grandi opere diventi anche critica del modello di sviluppo capitalistico.

Due sono gli insegnamenti che mi sembra si possano trarre da questo testo e in generale dall’esperienza del movimento No Tav. Il primo è che la forza di questo movimento stia nell’essere un’esperienza di lotta popolare che è andato oltre l’autoreferenzialità delle singole componenti ed è stato capace di superare la dicotomia imposta dal nemico fra una parte “buona” moderata e una parte “cattiva” di violenti. E così alle incursioni al cantiere partecipano spesso e volentieri militanti over 60. Il secondo è che i No Tav valsusini sono stati in grado di reggere un trattamento mediatico ostile nei loro confronti (di cui il testo riporta molteplici esempi, basti citare il caso Marco Bruno, reo di aver chiamato un carabiniere “pecorella) grazie ad un enorme lavoro di contro-informazione, basato su analisi tecniche di grande competenza e pratiche comunicative efficaci. Sono elementi da tenere in considerazione, in Val Susa (dove la battaglia contro il TAV continua) e altrove.

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