Si è spento lunedì a Leeds all'età di 91 anni Zygmunt Bauman, sociologo polacco di grande fama. Non intendiamo qui ripercorrere la sua vasta opera, ma ci concentreremo invece su uno dei suoi contributi di maggiore impatto.
Sotto il profilo teorico uno dei grandi contributi del sociologo polacco è la formulazione dell'idea di una società liquida, in cui le relazioni lavorative, umane, affettive e politiche perdono la lo sostanzialità per ridursi a relazioni effimere, volatili, in ultima istanza usa e getta cosi come le merci che questa società ha come obbiettivo di produrre. Questo è certamente un aspetto indubitabile di quella che David Harvey ha definito (contro il postfordismo) come l'era dell'accumulazione flessibile – ovvero quella trasformazione avvenuta tra fine anni settanta e primi anni ottanta caratterizzata dall'estendersi della globalizzazione, dall'ascesa della finanza e dei sistemi di produzione just-in-time. Il concetto rischia tuttavia di rimanere indeterminato e spesso utilizzato nella vulgata compatibilista dei media e della teoria sociale “debole” (basti pensare all'entusiasmo con cui “Repubblica” riproponeva gli editoriali di Bauman).
Occorre prendere atto che il capitalismo è caratterizzato da due tendenze: una all'accentramento e un'altra alla dispersione, a seconda degli assemblaggi più convenienti. Le forze sociali del lavoro e gli assetti storico sociali avevano trovato una convergenza in quel patto sociale fordista che ha garantito una certa stabilità a fasce di lavoratori irrigimentati nella grande fabbrica (esempio, per Bauman, della modernità “solida”) e iscritti a grandi sindacati e partiti, conoscendo un momento di parziale demercificazione della forza lavoro. Tuttavia questa è stata una parentesi nella storia, arrestata alla fine degli anni '70 dalla controrivoluzione neoliberale di Thatcher e Reagan. Si potrebbe quindi sostenere che nel capitalismo la liquidità e flessibilità sono elementi da sempre presenti e costituenti: ad esempio la forza lavoro è risultata fin dalla sua origine flessibile, essa tende ad inseguire gli andamenti del capitale e i suoi passaggi da vari rami industriali, mercificandosi a seconda delle esigenze della classe capitalista.
Uno dei rischi a cui la metafora della società liquida può portare è un quello di immaginare una mutazione antropologica, di stampo pasoliniano, per cui il mondo del lavoro è condannato all'atomizzazione e all'impotenza e i produttori si liquefarrebbero in consumatori asserviti. Una tentazione che può affiancarsi a quella dei teorici della fine del conflitto sociale e ad una forma di pessimismo antropologico che per nulla giova a chi quel conflitto sta provando ad agirlo invece che subirlo, tentando di rovesciare quella “lotta di classe dall'alto” condotta dal padronato in guerra di classe dal basso.
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