Donald Trump ha deciso il ritiro formale degli Stati Uniti dall’Unesco – l’organizzazione delle Nazioni Unite con quasi 200 paesi membri preposta a promuovere la collaborazione scientifica, culturale e nell’educazione – denunciandone il suo «pregiudizio anti-israeliano». Gli Usa avevano già smesso di finanziare nel 2011 l’agenzia delle Nazioni Unite dopo la sua decisione di includere la Palestina come stato membro, ma avevano deciso di mantenere il proprio ufficio nella sede centrale di Parigi per cercare di continuare ad avere un peso politico sulle sue decisioni. Insomma volevano contare ma senza pagare. Secondo fonti citate dall’agenzia Associated Press, la decisione è stata presa in seguito alle recenti risoluzioni dell’Unesco che hanno condannato Israele e gli insediamenti nei territori occupati in Cisgiordania, risoluzioni che Washington considera anti-israeliane ma che il resto del mondo considera pienamente legittime.
Non è una sorpresa che anche Israele abbia deciso di ritirarsi, come ha annunciato il governo di Tel Aviv in un comunicato. “Il capo del governo” Benjamin Netanyahu “ha dato disposizione al ministero degli Esteri di preparare l’uscita di Israele dall’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura) parallelamente agli Stati Uniti”, si legge nella nota. “La mia personale raccomandazione al premier Benjamin Netanyahu – aveva detto l’ambasciatore israeliano nell’organismo, Carmel Shama-Hacohen – è quella di restare incollati agli Usa e lasciare immediatamente l’Unesco”.
L’ultimo “peccato” commesso dall’Unesco agli occhi di Washington e Tel Aviv, era stato commesso quando a luglio aveva dichiarato il centro storico di Hebron, nei Territori Palestinesi Occupati da Israele della Cisgiordania, come World Heritage Site, cioè un sito patrimonio dell’umanità non riconoscendone l’occupazione israeliana. A Hebron una minoranza di coloni israeliani appoggiati dall’esercito, controlla e vessa quotidianamente la maggioranza degli abitanti palestinesi della città, anche nei luoghi religiosi storici.
Oggi sul Corriere della Sera, uno degli esponenti più influenti della lobby sionista in Italia, Paolo Mieli, cura non casualmente un lungo editoriale nel quale prende la questione alla larga, accusando soprattutto l’Italia (uno degli stati più complici e asserviti ai diktat israeliani) di eccessiva indulgenza verso l’elezione di un esponente del Qatar a direttore generale dell’Unesco. Di fatto invitando l’Italia a seguire Usa e Israele nell’abbandono dell’organizzazione internazionale. E’ un particolare curioso, perché la stessa solerzia non era stata dimostrata da Mieli quando l’Arabia Saudita era stata nominata presidente di turno della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite. Nè dalla sua penna sono mai stati messi in discussione gli abusi pluridecennali dell’occupazione coloniale israeliana contro i palestinesi.
C’è però un dettaglio che sfugge ai sionisti “de noantri” ma anche alle autorità statunitensi ed israeliane. Oggi gli Usa non sono più decisivi per le sorti delle organizzazioni e delle relazioni internazionali, sono importanti certo per il loro peso specifico, ma il mondo ormai non coincide più – come dal dopoguerra agli anni ‘90 – con gli interessi e le scapricciate di Washington, tantomeno con quelle di Tel Aviv, è un mondo che tende fortemente al policentrismo. Se ne dovranno fare una ragione, entrambi.
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