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I nuovi volti del fascismo

Già negli anni novanta del secolo scorso il sociologo Alain Bihr si cimentò in una monumentale ricerca comparativa L’avvenire di un passato. L’estrema destra in Europa: il caso del Fronte Nazionale francese” che (meritoriamente tradotto da BFSJaca Book) ha avuto il pregio di mettere a fuoco anticipatamente i movimenti politici di estrema destra, xenofobi e razzisti radicati e diffusi su scala europea.

Ora che i consensi a queste formazioni sono cresciuti a dismisura e si moltiplica l’attivismo dei gruppuscoli che compongono la galassia neo-fascista, mentre in Ungheria e in Polonia il quadro politico è dominato da pulsioni autoritarie, può essere utile – per inquadrare e comprendere i nuovi sviluppi della dinamica storica – la lettura del bel dialogo tra Regis Meyeran e lo storico Enzo Traverso, contenuto nel libro “I nuovi volti del fascismo” (Ombre corte editore: pag. 142, euro 13).

Partendo dall’analisi del fascismo classico e della fase storica intercorsa fra le due guerre mondiali, contraddistinta dalla contrapposizione tra comunismo e fascismo e dalla crisi economica scoppiata nel 1929, Traverso evidenzia come sul piano comparativo siamo allo stesso modo in presenza di una perdurante stagnazione economica, accompagnata però da una serie di notevoli sconvolgimenti sul piano politico, determinati dall’affermazione – dopo l’89 – di un pervasivo totalitarismo capitalistico.

Per “totalitarismo capitalistico” si intende che il primato assegnato indiscutibilmente al mercato è coincidente con il dispiegarsi di una soggettività antropologicamente immedesimata nella figura dell’imprenditore di se stesso, costantemente in competizione – per non soccombere di fronte alle molteplici avversità che si presentano nella cosidetta postmodernità – n ogni contesto lavorativo.

Questo scenario, che apparentemente viene alimentato dal mito dell’assoluta libertà di consumo e di movimento, è anche il prodotto della fine dei partiti di massa, sostituiti da formazioni leggere e improvvisate per l’appuntamento elettorale, impersonificate da leader mass-mediatici,dall’indebolimento identitario del movimento operaio e delle sue organizzazioni di rappresentanza, ma soprattutto dalla completa separazione dai bisogni delle classi popolari e del mondo del lavoro di quelle sinistre diventate appendici e strumento delle politiche neoliberiste.

Si pensi, senza andar lontano, alla parabola che ha investito il PS francese, il Pasok greco o alla recente debacle del PD; e come l’incremento delle diseguaglianze sociali e il disagio materiale ed esistenziale, che turba masse sempre più atomizzate, siano stati interpretati dal discorso sovranista, xenofobo, razzista e islamofobico del Fronte Nazionale, della Lega Nord e negli Stati Uniti da Trump. Un discorso che fondandosi sulle parole d’ordine del ripristino dell’autorità e della sicurezza, del nazionalismo e del protezionismo economico, nonché della chiusura delle frontiere rispetto alla temuta invasione dei migranti, accredita nell’immaginario collettivo i movimenti post-fascisti quali unici ”difensori degli interessi delle classi popolari“.

Si tratta di movimenti e formazioni che in alcuni casi non celano la loro filiazione dal fascismo storico, mentre in altri casi tendono, sulla scorta di un certo revisionismo storico, a distinguere tra fascismo buono (quello dello Stato interventista) e fascismo cattivo (quello imperiale e colonialista) o a negare sia i reiterati episodi di fascismo strisciante quotidiano, che le vessazioni contro gli stranieri. Al contempo, stante l’involuzione del rapporto fra le classi, il declino della politica e l’evidente debolezza delle forze anticapitaliste, non hanno però alcun ritegno a manifestare la loro avversione contro la globalizzazione, a sostenere la bontà dell’uscita dall’euro e a indirizzare il risentimento popolare contro le élites economiche e finanziarie, per poi propugnare soluzioni nazionalistiche e reazionarie rispetto alle misure da adottare per contrastare la crisi economica (ad esempio la flat tax) o in materia di compressione dello Stato sociale.

Per queste ragioni Traverso preferisce adottare la categoria di post-fascismo per cogliere la composizione eclettica di questo fenomeno globale, in quanto da un lato non vi è alcun rimando ai valori forti del passato, mentre dall’altro lato emerge una grande capacità di adattamento allo spirito mutevole del tempo e dei diversi contesti nazionali. Ciò non lo esime però dal segnalare la sua intrinseca pericolosità, poiché nell’eventualità di una sempre possibile disintegrazione dell’Unione Europea, per via di una serie di spinte centrifughe, il “post-fascismo potrebbe assumere i tratti di un neofascismo“.

* da La bottega del Barbieri

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