Le chiamano Fondazioni umanitarie ma sono solo la punta di diamante del processo di ricolonizzazione del mondo. Il libro di Nicoletta Dentico “Ricchi e buoni?” uscito recentemente ha il grande merito di avere finalmente scoperto il velo che oscurava la realtà predatoria delle grandi Fondazioni umanitarie che altro non sono se non nuovi strumenti ideati al fine di garantire sempre maggiore ricchezza per l’elite finanziaria, per quei pochi cioè che detengono la maggior parte della ricchezza mondiale.
Il tema ci sembra cruciale per almeno per due motivi. La narrazione ufficiale, quella imposta da chi detiene il potere, esalta i motivi umanitari che hanno dato vita a progetti e “donazioni” fatte proprio da chi ha le maggiori responsabilità nel definire le attuali rotte del profitto. E’ possibile parlare di un capitalismo buono? Di chi si arricchisce causando una progressiva sofferenza e miseria nella gran parte del pianeta ma poi restituisce a quelle stesse popolazioni qualcosa del mal tolto sotto forma di programmi sanitari, agrari o educativi?
Fare chiarezza su una materia così non facilmente decifrabile e non sempre immediatamente riconoscibile è sicuramente un contributo significativo per sottrarsi alla manipolazione alla quale siamo sottoposti.
Scrive Vandana Shiva nella prefazione al libro: ”Il filantropocapitalismo è ricolonizzazione in versione moderna. Se i beni comuni di un tempo erano la terra e i territori, i beni comuni di oggi, sottratti all’accesso dai plutocrati, sono la vita stessa. I nostri semi e la biodiversità, i nostri corpi e la nostra mente, queste sono oggi le colonie…”
Il libro in realtà è un’inchiesta documentata, che attinge a un’ampia bibliografia internazionale, portata avanti con rigore e passione; un tempo si sarebbe parlato di un ottimo lavoro di controinformazione.
E proprio qui sta il secondo motivo per cui ci sembra importante che questa opera sia uscita proprio ora: se da una parte nessuno osa porre domande al Bill Gates di turno sul senso degli aiuti che così generosamente sembra offrire dall’altra assistiamo all’intensificarsi della lettura sinceramente paranoica che sta avendo particolare fortuna in tempo di pandemia: ossia il complottiamo nelle sue numerose varianti che ha però la sola costante di lasciare inalterato lo stato presente delle cose, senza offrire alcuno strumento per una reale trasformazione sociale.
La storia si apre con alcune delle vicende più significative della Fondazione Rockefeller, il magnate che grazie al petrolio nel giro di pochi anni divenne l’uomo più ricco del mondo. Sebbene la mission della Fondazione a suo nome contenesse nel suo documento programmatico tutta la ovvia retorica che abbonda in tali circostanze, nel 1914 a Ludlow, nel Colorado, le guardie private al servizio dei proprietari delle miniere della famiglia Rockefeller compirono un massacro uccidendo durante uno sciopero 21 persone, 12 delle quali erano donne a bambini. Roosevelt ebbe a osservare che “nessun numero di associazioni benefiche in grado di spendere somme così ingenti può in qualche modo compensare le cattive condotte con cui quelle fortune sono state acquisite”.
L’ascesa del robber baron, come era stato soprannominato il magnate, proseguì però dirigendo il fulcro dell’attività della Fondazione fuori dagli Stati Uniti, aprendo sedi in vari paesi. In questo modo riuscì a sviluppare “la competenza americana nel campo della salute internazionale come materia di politica estera, intrecciando la lotta contro le malattie con le priorità della geopolitica americana”. Questo modello servì poi per dare vita a nuovi progetti altrettanto ambiziosi nel settore dello sviluppo agricolo. E’ interessante notare come già allora l’area di intervento della Fondazione si estendesse attraverso alleanze anche con le multinazionali del settore chimico. Scrive la Birn, un’attenta studiosa canadese della realtà di queste Fondazioni, che al molto dare è seguito anche il molto avere e che, la Fondazione Rockefeller “ha operato non solo come entità filantropica, ma anche allo stesso tempo come agenzia nazionale, bilaterale, multilaterale, internazionale e transazionale”.
Non sembra corretto parlare della filantropia, o comunque di certa filantropia diretta emanazione delle più importanti concentrazioni di capitale, senza metterne in luce l’aspetto di profitto economico e anche di arrembaggio agli organismi sovranazionali più prestigiosi. E quest’ultimo aspetto per gli artefici della nuova strategia finanziaria non è da considerarsi affatto un obiettivo secondario. Non è facile rappresentare la ragnatela di vantaggi che la “scelta etica”, per così dire, assicura. Tutto questo abilmente nascosto dietro il mito miracolistico secondo cui chi è stato capace di fare così grandi fortune in qualche modo sarà in grado di operare altrettanto bene anche per il bene collettivo.
Nella strategia del “fare bene per la società” i filantrocapitalisti intravedono un nuovo motore di successo aziendale in quanto la funzione sociale attrae potentemente sia clienti che investitori.
Su questo aspetto dobbiamo saperci muovere con grande maestria per non rischiare di cadere in una sterile contrapposizione dal sapore ideologico, ossia dobbiamo essere in grado con grande puntualità di indicare che cosa sta accadendo a livello globale, che cosa quella data Fondazione, espressione di una certa multinazionale, in realtà sta perseguendo al di là di un obiettivo particolare o locale.
Non ci possiamo permettere di trascurare il fatto che un singolo programma o più linee di intervento possano essere “oggettivamente” utili e di aiuto per determinati settori dell’economia o della salute. Nel libro tra vari altri esempi viene ricordato il contributo determinante della Fondazione Ford alla caduta del regime dell’apartheid in Sudafrica e come accanto a questo “con lauti finanziamenti ha agito da motore di strategie politiche poi divenute egemoniche nel campo della salute e dell’agricoltura”.
Un altro aspetto estremamente complesso al quale possiamo qui solo accennare è quello della penetrazione ormai irreversibile di rappresentanti dei grandi capitali privati nelle più prestigiose assisi e organismi internazionali dove siedono a pari titolo accanto ai rappresentanti governativi.
Per concludere due ultime considerazioni che riprendiamo dal libro di Nicoletta Dentico e che proponiamo qui soprattutto per il loro valore metodologico, per essere sempre capaci di leggere la realtà nella sua complessità.
Nel campo sanitario a partire dal 2000 quando la Fondazione Bill e Melinda Gates “apre la via all’impero della generosità strategica” uno dei principali campi di intervento risulta essere quello della salute che viene affrontato con stile aziendale analogo a quello impiegato in Microsoft e con la stessa vocazione monopolistica. Così, quello che inesorabilmente succede che saranno i vari esperti aziendali a dettare le linee di intervento spesso anche sostenute con denaro pubblico.
Accenniamo qui al problema dei vaccini: “un vaccino contro il rotavirus per prevenire la diarrea infantile può essere elegante, ma non rimpiazza gli interventi necessari a drenare le cause della diarrea – un sistema fognario, la disponibilità di acqua pulita,un’abitazione e una nutrizione adeguate. Niente da fare: il punto di caduta per Gates è che gli investimenti devono essere orientati ad approcci immediati, quantificabili e incentivanti nell’ottica del ritorno economico, e questo con i vaccini si può fare…”
Qualcosa di molto simile troviamo anche negli interventi della Fondazione indirizzati allo sviluppo agricolo che spesso hanno danneggiato gli ecosistemi aumentando in realtà solo la quantità di cibo stoccato senza che questo abbia significato una significativa diminuzione delle persone colpite da fame cronica. “Insomma, l’abbondanza di cibo non riempie la pancia degli affamati e l’agrobusiness non è davvero la soluzione del problema”. Senza parlare poi della dipendenza da sostanze chimiche costose e dannose di vaste aree agricole forzate alle monocolture.
Nicoletta Dentico “Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo” Edizione EMI 2020
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Gian claudio
Nulla è così ripugnante come la carità, la filantropia dellimperialismo. ROSA LUXEMBURG 1919