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Friedrich Engels: la scienza della Rivoluzione

Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.

Friedrich Engels, Dialettica della natura

Intervista a Salvatore Tinè*

Il 200° anniversario della nascita di Friedrick Engels (1820/1895) – nonostante le limitazioni derivanti dalla crisi pandemica – ha suscitato, tra studiosi, militanti politici e attivisti sociali un interessante dibattito circa la figura di questo grande rivoluzionario e il suo contributo alla costruzione della teoria scientifica del Socialismo.

Assistiamo alla ripresa di studi engelsiani e sono stati programmati alcuni convegni di riflessione e confronto i quali testimoniano come – ancora oggi – le intuizioni, il contributo teorico e il portato dell’intera vita di Engels contengono, inalterate, lezioni politiche utili per interpretare l’attuale corso storico del capitalismo e la necessaria lotta per il superamento dei rapporti sociali vigenti.

Incontriamo il Professore Salvatore Tinè, dell’Università di Catania – nonché compagno militante comunista – al quale chiediamo di rispondere a queste nostre domande le quali sono – volutamente – impostate per ottenere un sintetico distillato del pensiero di Friedrich Engels adatto ad una fascia di compagni poco avvezzi alla conoscenza del pensiero e delle problematiche poste dal grande rivoluzionario tedesco.

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Ad un giovane attivista o, anche, ad un compagno che non ha al suo attivo un bagaglio di formazione politica complesso, come sintetizzeresti la figura di Engels (soprattutto il suo sodalizio con Karl Marx) e il contributo espresso, lungo tutta la sua vita, alla definizione della teoria rivoluzionaria?

Io credo che il contributo di Engels alla definizione del marxismo come teoria rivoluzionaria, e insieme metodo di analisi scientifica materialistica della storia, sia stato fondamentale.

Agli inizi degli anni ’40 dell’800, prima ancora di Marx, egli approda al comunismo sulla base della convinzione che le prospettive della rivoluzione democratica in Germania dipendono ormai dall’iniziativa della nuova classe rivoluzionaria sorta dallo sviluppo della moderna industria capitalistica, il proletariato.

Nello stesso tempo il suo approdo al materialismo muove da una critica radicale dell’idealismo di Hegel che lo avvicina ai “giovani” della sinistra hegeliana e che tuttavia mantiene ben fermo il nucleo rivoluzionario di quel pensiero, ovvero la concezione dialettica della realtà, il nesso e insieme la contraddizione tra ciò che è “razionale” e ciò che è “reale”.

Approdato attraverso Feurbach e la sua scoperta della realtà oggettiva della natura e del sensibile, Engels trarrà ben presto dalla dialettica hegeliana un nuovo metodo di analisi oggettiva della realtà in grado di coglierla nel suo movimento, nella concreta storicità delle sue contraddizioni.

E’ sulla base di tale metodo che procede ad un’analisi della situazione della classe operaia in Inghilterra, condensata in un grande libro pubblicato nel 1845, dove la contraddizione dialettica viene individuata nell’antagonismo inconciliabile tra capitale e lavoro salariato, nel conflitto irriducibile tra il carattere di “merce” della forza-lavoro – su cui si basa il sistema sociale fondato sulla concorrenza – e sulla proprietà capitalistica dei mezzi di produzione, da un lato, e la soggettività sociale e politica del lavoro salariato dall’altro.

A questo straordinario lavoro di inchiesta sulla condizione operaia e sulle prime forme in cui si esprime l’associazionismo proletario nelle punte più avanzate dello sviluppo capitalistico, si accompagna una prima riflessione sulla nuova scienza dell’“economia politica” come riflesso teorico del sistema capitalistico.

Si può dire che sia stato Engels ad iniziare quel programma di “critica dell’economia politica” che avrebbe impegnato a lungo Marx nel lavoro di redazione del Capitale. Bisogna inoltre sottolineare il contributo importantissimo di Engels all’elaborazione della concezione materialistica della storia.

Alla base di essa v’è infatti proprio la considerazione della struttura economica come base dell’evoluzione sociale, che in qualche modo era già implicitamente contenuta nella prima riflessione critica sull’economia politica del giovane Engels.

Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente legati alla teoria rivoluzionaria, non si può sottovalutare il suo contributo alla scrittura del Manifesto del partito comunista e alla chiara delineazione della natura scientifica, e non più utopistica, del socialismo e del comunismo su cui si basa la teoria rivoluzionaria del Manifesto.

E’ solo sul terreno dell’oggettiva evoluzione della formazione sociale capitalistica, e sulla base dello sviluppo delle sue contraddizioni immanenti ed intrinseche, che maturano le condizioni della rivoluzione politica, intese da Marx ed Engels come conquista del potere dello Stato da parte del proletariato e organizzazione di quest’ultimo in classe dominante, nella prospettiva di una società senza classi e senza Stato.

Non a caso proprio sul tema del nesso tra Stato e rivoluzione, Engels ritornerà più volte nel corso del suo lavoro teorico, teso a definire sia la realtà dello Stato, e il suo ruolo sempre più importante nei processi di socializzazione delle forze produttive e nello stesso processo di accumulazione capitalistica, sia la necessità del suo superamento nella prospettiva del comunismo.

Direi in generale che Engels non perde mai di vista proprio a partire da una salda concezione scientifica e materialistica del comunismo il nesso tra scienza e rivoluzione, tra teoria e politica. Se è vero che il mondo bisogna trasformarlo, è altrettanto vero che bisogna studiarlo, conoscerlo nelle sue leggi e nelle sue dinamiche oggettive per trasformarlo effettivamente.

In questa luce vanno anche interpretati i suoi grandi contributi sul tema delle scienze della natura di cui Engels coglie acutamente il ruolo centrale nella moderna industria capitalistica e più in generale sul rapporto uomo-natura, come base della stessa dialettica della storia e della società.

Puoi indicare il percorso logico/mentale che è stato in grado di compendiare un lavoro di scandaglio teorico dai molteplici e diversificati aspetti come quello prodotto da Engels? Una ricerca rigorosa che ha spaziato ampiamente dalla “situazione della classe operaia in Inghilterra” allo studio “sull’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato”, fino alla sferzante polemica con “la scienza sovvertita del signor Eugen Duhring’s”, e senza dimenticare il potente, quanto attuale, testo sulla “dialettica della natura”.

Il lavoro del 1845 su “La situazione della classe operaia in Inghilterra” muove da un rapporto diretto con la realtà della rivoluzione industriale e della condizione operaia in Inghilterra. Engels coglie il graduale, contraddittorio ma oggettivo determinarsi di una volontà politica rivoluzionaria del proletariato sul terreno immediato della lotta sindacale in fabbrica, evidenziandone i limiti e insieme le potenzialità di sviluppo politico.

Ma la lotta della classe operaia in Inghilterra è inquadrata da Engels in un più ampio contesto europeo, in cui stanno maturando le condizioni dell’esplosione delle rivoluzioni democratiche e nazionali, ma già segnate da un forte protagonismo sociale e politico del proletariato, delle rivoluzioni del ’48.

E’ un contesto che ad Engels appare segnato dal convergere del comunismo “filosofico” della Germania arretrata, erede della dialettica di Hegel, e dal socialismo e comunismo politici francesi, figli della Rivoluzione del 1789 e del giacobinismo, con il possente, ma ancora privo di una chiara prospettiva politica, movimento proletario inglese.

La drammatica sconfitta delle rivoluzioni del ’48 e in modo particolare il fallimento dell’insurrezione operaia del giugno a Parigi, segnerà l’inizio di una nuova fase del pensiero e dell’opera di Engels.

Si allontana definitivamente la prospettiva della rivoluzione imminente ed emerge l’esigenza di comprendere più in profondità le forme nuove, sia economiche che politiche, che il dominio capitalistico viene assumendo dopo la vittoria della controrivoluzione e le ulteriori potenzialità di sviluppo e di rafforzamento, che sembra rivelare, pur di fronte all’inarrestabile avanzata politica ed organizzativa del movimento operaio nei principali paesi dell’Europa nel corso della seconda metà dell’Ottocento. Si allargano così le prospettive di studio e di ricerca di Engels.

Già lo scritto su “La guerra dei contadini in Germania” del 1850 rivela un notevole grado di approfondimento delle complesse dinamiche sociali e politiche della lotta di classe. Il parallelismo tra la sconfitta della guerra dei contadini nel 1525 e quella della rivoluzione democratica tedesca del 1848 è un modello di analisi storica, in grado di connettere l’oggettiva evoluzione economica e sociale delle classi con le dinamiche e le forme politiche ed ideologiche in cui storicamente si sviluppano e si risolvono i loro conflitti.

Criterio metodico fondamentale di tale analisi è il nesso dialettico, di azione reciproca, tra economia e politica, tra struttura e sovrastruttura; fermo restando la funzione in ultima analisi decisiva e determinante della struttura economica, ovvero dei modi di produzione corrispondenti ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive e quindi ad una specifica divisione in classi della società.

Nel testo ”Anti-Dühring” pubblicato nel 1878, Engels avvia un lavoro di ricerca inteso ad allargare e sviluppare ulteriormente la teoria marxista, posta di fronte al problema di comprendere e analizzare in una prospettiva rivoluzionaria le nuove trasformazioni del capitalismo in una fase matura, già monopolistica, del suo sviluppo.

La crescita del capitale finanziario si accompagna ad un nuovo ruolo dello Stato nella direzione generale dell’economia e nello stesso controllo e gestione dei processi di accumulazione capitalistica. Con straordinaria acutezza, Engels individua nella trasformazione dello Stato borghese nel “capitalista collettivo ideale” una nuova morfologia del dominio capitalistico e un nuovo, più avanzato terreno della lotta di classe tra borghesia e proletariato, nella prospettiva del socialismo e del comunismo.

Non a caso proprio al tema dello Stato dedicherà un grande libro, “La nascita della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, pubblicato nel 1884, una ricostruzione geniale della genesi e dell’evoluzione di alcune fondamentali forme di potere pubblico e di dominio politico della società, che hanno scandito insieme all’evoluzione delle formazioni sociali lo stesso progresso della “civiltà” umana, ogni volta in rapporto con determinati, specifici processi di sviluppo delle forze produttive e quindi con determinate forme di di divisione del lavoro sociale e di divisione in classi della società.

E’ una nuova prospettiva più vasta e unitaria quella che la teoria marxista acquista in questa fase della ricerca teorica di Engels. Con il libro sullo stato del 1884, Engels ci ha dato infatti una organica teoria marxista dello Stato, che coniuga la prospettiva dell’evoluzione storica delle formazioni economico-sociali con la prospettiva politica della rivoluzione e della dittatura del proletariato, come fase di transizione al socialismo e al comunismo.

Di questo lavoro di ricerca è parte anche il progetto engelsiano di una “dialettica della natura” che individua nello sviluppo delle scienze naturali degli ultimi decenni dell’800 uno degli elementi principali della crescita dell’industria capitalistica e delle forme di ricambio organico tra uomo e natura, che caratterizzano i nuovi e più avanzati processi di socializzazione delle forze produttive.

L’intreccio tra la contraddizione di classe e quella tra uomo e natura, il nesso tra “dialettica della storia” e “dialettica della natura” si fa strettissimo e ripropone un tema caro al giovane Marx, quello del comunismo come sintesi tra naturalismo e umanismo.

Nel corso dei decenni – particolarmente da ambienti accademici afferenti scuole teoriche “post/marxiste e/o post/moderne” – è stata alimentata una leggenda circa la presunta sudditanza di Engels alle concezioni positiviste (ricordiamo che il positivismo era il pensiero scientifico dell’epoca) e – quindi – l’inadeguatezza della sua produzione teorica nell’interpretare la moderna contemporaneità capitalistica. Come credi si possa confutare questa interessata distorsione che prova a relegare il pensiero di Engels (ed ancora di più quello di Karl Marx) alla sfera del puro esercizio filosofico a scapito di quella scienza della rivoluzione che è stata la missione di vita di Friedrich e Karl?

L’accusa di positivismo così frequentemente mossa ad Engels contrasta paradossalmente con un’altra accusa di segno contrario, che non meno di frequente gli viene mossa, quella di un eccesso di “hegelismo”. Non credo tuttavia che essa sia fondata.

Lo spiccato interesse di Engels verso le scienze della natura non discende da una visione positivistica o naturalistica della realtà, ma al contrario da una acutissima percezione del carattere di principale forza produttiva della società acquisita dalla scienza nel modo di produzione capitalistico; ovvero dal processo di sempre più profonda storicizzazione e socializzazione di quel nesso di ricambio organico tra uomo e natura in cui consiste il lavoro umano e su cui non può non basarsi qualunque formazione sociale.

La dialettica della natura va allora compresa nella prospettiva politica e rivoluzionaria del comunismo, ovvero della ricomposizione del nesso tra scienza e lavoro sulla base di una regolazione cosciente, compiutamente sociale e non più capitalistica dello sviluppo delle forze produttive.

La dialettica della natura è essa stessa un momento di quel passaggio dal regno della necessità al regno della libertà in cui Marx ed Engels hanno identificato il comunismo come superamento del capitalismo e insieme punto culminante del cammino della civiltà umana.

Siamo da qualche decennio nel XXI° Secolo e la crisi sistemica del Modo di Produzione Capitalistico è una costante, anche se non lineare, con cui impattiamo. La stessa crisi pandemica globale mostra – drammaticamente – i caratteri della crisi di egemonia della borghesia e l’urgenza della necessità del cambio di sistema e dell’alternativa politica e sociale. Ricordare adeguatamente Engels, riprendendo gli insegnamenti dei grandi teorici del Socialismo è – sicuramente – la premessa per una azione comunista a tutto tondo. Che suggerimenti ti senti di avanzare per mettere – di nuovo – in moto una sorta di offensiva teorica dei comunisti per riqualificare la loro funzione nella società?

Engels ha sempre insistito sulla necessità della lotta teorica come terreno fondamentale della lotta di classe. E’ un insegnamento oggi più vero e importante che mai. La crisi attuale del modo di produzione capitalistico ha certamente un carattere sistemico e generale.

Ma proprio per questo essa impone ai comunisti uno studio attento dei modi e delle forme in cui il dominio capitalistico, in risposta alla crisi, si riorganizza su scala mondiale e a tutti i livelli della produzione e della riproduzione sociale complessiva.

I comunisti possono svolgere un ruolo fondamentale nelle costruzione di una soggettività sociale e politica antagonista solo innalzandosi ad una considerazione complessiva di questi processi, all’altezza della vera e propria crisi di civiltà che essi di fatto configurano.

Engels ci ha dato degli strumenti teorici fondamentali per cogliere a questa altezza, a questo così arduo livello di generalità, i caratteri dell’attuale crisi del modo di produzione capitalistico, indicandoci i modi possibili per affrontarla sul terreno di una lotta lunga e difficile, nella prospettiva di una possibile transizione al comunismo.

 *  Università degli Studi – Catania

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