Nel quadro della campagna antirussa che imperversa nel paese in guerra, qualcuno si è premurato della sorte dei prigionieri ucraini raccontando la storiella dei nazisti vinti fatti sfilare nella Piazza Rossa come “trofei”.
A riprova della “bestialità e della barbarie” di quel popolo.
Sono andato a rivedermi le immagini della prima “parata della vittoria”. Il 24 giugno del 1945.
Il “9 maggio” arrivò anni dopo in un contesto molto diverso.
Il punto più significativo di quella manifestazione è la sfilata delle 200 bandiere catturate ai battaglioni tedeschi gettate nella polvere ai piedi del mausoleo di Lenin.
A portarle in parata come trofei c’erano 200 commissari del NKVD.
Di prigionieri nemmeno l’ombra.
I prigionieri sfilarono per le strade di Mosca quasi un anno prima, il 17 luglio 1944, coi loro generali catturati alla testa, come appare da un vecchio documentario dell’epoca sovietica.
C’era ancora la guerra.
Erano tanti, trasferiti dalla periferia di Mosca verso la stazione e i treni che li avrebbero portati nei campi di lavoro a est.
Fu una operazione logistica, visto che camion ce ne erano ben pochi, che la propaganda riuscì a trasformare in una occasione per rafforzare la fiducia nella vittoria a venire.
Se si riguardano quelle immagini, quello che salta agli occhi è la compostezza dei vinti e dei vincitori.
Non ci stanno feriti, malati, scene di naturale comprensibile violenza privata verso i prigionieri.
E non ci stanno scene di disprezzo, di odio, di rivalsa, fra la folla che li vede sfilare.
Non uno sputo, non una ingiuria.
Donne, ragazzi, vecchi, a vederli marciare muti.
Se si guarda quel vecchio documentario non si vede odio negli occhi di quella folla.
Eppure ognuno di loro aveva un marito, un padre, un figlio, un fratello morto al fronte.
C’è solo la gioia della liberazione da un incubo, il sollievo, e perfino un po’ di meraviglia nel guardare in faccia di che stoffa era fatta la “razza superiore” dei dominatori.
Gente come loro, come i loro mariti e i loro padri.
Certo il commentatore non si lascia scappare l’occasione per sbeffeggiare la fine della loro “gita” a Mosca.
E l’immagine finale delle autobotti, che lavano la strada dove erano passati i portatori malati della febbre nazista, non lascia dubbi su quale messaggio si voleva dare.
Ma non ci furono linciaggi e, se ci furono dimostrazioni di ostilità, non furono affatto considerate degne di essere documentate.
Non fu un baccanale orgiastico in cui le belve vincitrici bevevano il sangue dei loro incauti aggressori.
Fu un funerale.
E l’unica cosa che il popolo russo testimoniò in quella occasione fu il profondo desiderio che fosse l’ultimo dei funerali alla guerra.
Ora immaginate per un attimo le SS responsabili delle Fosse Ardeatine sfilare, da prigionieri, per le strade del ghetto.
Fra le mogli e i figli di chi avevano scannato…
Ma il nemico va dipinto sempre come disumano, barbaro, incivile.
Non seppellisce i morti e tortura i prigionieri.
Mentre i nostri avvinazzati reduci da guerre mai fatte, compresi i marò che in Somalia provavano l’efficacia delle granate fra le cosce delle ragazzine, sono eroi, civilissimi rappresentanti della “razza” occidentale.
* da Facebook
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Vannini Andrea
BELLISSIMA “PILLOLA”. GRAZIE A MARIO GANGAROSSA.