La vicenda della testa dell’anarchico Giovanni Passanante, è stata riportata all’attenzione pubblica dallo spettacolo teatrale di Ulderico Pesce. Nel 2011 divenne anche un film diretto da Sergio Colabona. In tempi in cui le autorità e i mass media rilanciano come ossessi la minaccia anarchica, è una storia che merita di essere conosciuta.
Nel 1878 l’anarchico Giovanni Passannante fu autore di un fallito attentato alla vita di re Umberto I, il primo nella storia della dinastia Savoia. Condannato a morte, la pena gli fu commutata in ergastolo. La pena di morte fu sospesa dal Re, non per clemenza ma per una vendetta ancora più atroce. La sua prigionia fu spietata e lo condusse alla follia. Dal carcere venne allora trasferito nel manicomio di Montelupo Fiorentino fino alla sua morte nel 1910.
Portato nel carcere fortezza di Portoferraio, Giovanni Passannante venne rinchiuso in una cella piccolissima, umida, buia, senza servizi igienici e sotto il livello del mare. Il pavimento, in terra battuta, permetteva l’infiltrazione dell’acqua marina, provocando nell’ambiente condizioni di insalubrità.
Passanante era inoltre legato ad una corta catena pesante 18 chilogrammi, che gli consentiva di fare solo due o tre passi, e in completo isolamento, non poté ricevere visite e lettere. Nonostante il Corriere dell’Elba avesse annunciato che in quella gabbia angusta “sarà tenuto per qualche tempo, dipoi sarà posto insieme agli altri a subire la vera pena della galera” in realtà Passannante visse in quelle condizioni per 10 anni.
Con il passare del tempo tale detenzione influì sulla sua salute, sia mentale sia fisica. Si ammalò di scorbuto, fu colpito dalla tenia, perse i peli del corpo, la pelle si scolorì, le palpebre si rovesciarono sugli occhi, le guance si vuotarono e si gonfiarono e, secondo alcune testimonianze, arrivò a cibarsi dei propri escrementi. I barcaioli che passavano nelle vicinanze della torre udivano spesso le urla di strazio del detenuto. Dopo due anni, i carcerieri lo fecero salire in una cella al di sopra del livello del mare, ma le condizioni di vita rimasero immutate.
Anche allora un deputato, Agostino Bertani, incontrò l’anarchico già dopo il suo arresto nel 1879, e dopo un lungo diverbio con il ministero, ottenne il permesso di recarsi nel carcere di Portoferraio per visitarlo una seconda volta, accompagnato dalla giornalista Anna Maria Mozzoni. Nel 1885 il deputato e la giornalista giunsero alla fortezza-carcere. Al deputato Bertani fu imposto di vedere Passannante solo attraverso la serratura e nel massimo silenzio, poiché il detenuto non doveva accorgersi della presenza di altre persone. Il politico rimase scioccato per la condizione in cui versava (e dichiarò che “Questo non è un castigo, è una vendetta peggiore del patibolo; il re non sa nulla, non è possibile che lo sappia, egli non tollererebbe un fatto che getta su lui un’ombra odiosa; è una vigliaccheria da cortigiani”. L’on. Bertani e Anna Maria Mozzoni denunciarono il trattamento inflitto a Passannante, suscitando un enorme scandalo politico e mediatico.
L’anarchico Passannante alla fine venne spostato nel manicomio di Montelupo Fiorentino, essendo divenuto completamente folle, fino alla sua morte avvenuta nel 1910, dopo 32 anni passati tra carcere e manicomio.
Dopo la morte il cadavere di Passannante, obbedendo alle teorie dell’antropologia criminale dell’epoca, che sostenevano la persistenza di cause fisiche alla “devianza”, venne sottoposto ad autopsia e decapitato. Del suo corpo non si ebbero più notizie, ma il cervello e il cranio di Passannante, immersi in una soluzione di cloruro e zinco, furono preservati prima nel manicomio di Montelupo Fiorentino, poi vennero portati alla Scuola Superiore di Polizia associata al carcere giudiziario Regina Coeli di Roma.
Nel 1936 i suoi resti, assieme ai suoi appunti, vennero trasferiti presso il Museo Criminologico dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma in via Giulia, dove il cervello, immerso in formalina, venne conservato in una teca di vetro sigillato.
Il cervello e il cranio di Passannante vi rimasero esposti sino al 2007 quando, grazie alla denuncia e allo spettacolo dell’attore Ulderico Pesce furono tumulati nel paese d’origine, Salvia. Lo stesso paese che dopo l’attentato di Passannante al Re, per penitenza dovette cambiare nome assumendo quello di “Savoia”. Oltre a cambiare il nome del suo paese di origine, anche l’intera famiglia dell’attentatore fu dichiarata folle e suo fratello Giuseppe, ritenuto affetto da alienazione mentale, venne internato nel manicomio criminale di Aversa.
Il fallito attentato contro il Re da parte di Giovanni Passanante, venne realizzato ventidue anni dopo da un altro anarchico, Gaetano Bresci, che a Monza uccise a colpi di pistola Re Umberto I il 19 luglio del 1900.
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