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Bertolucci, Bresson, Mann e Favino

Per temperare in qualche modo la polemica scaturita in questi giorni dalle dichiarazioni di PIERFRANCESCO FAVINO, peraltro riciclate da una retorica protezionistica tanto miserabile quanto vetusta (quante volte abbiamo ascoltato rivendicazioni simili!), forse conviene rifarsi alla filosofia dell’autore (e che autore!) finito nel mirino del j’accuse: MICHAEL MANN.

Nel suo cinema denso e tellurico, MANN si è trovato altre volte, prima di questo suo FERRARI, ad avere a che fare con personaggi ispirati a persone reali. Accade in INSIDER, ispirato alla vicenda di un biochimico che sfida l’industria del tabacco per svelarne i letali segreti.

Per quel film del 1999 MANN dichiarò esplicitamente di non aver affatto cercato i suoi protagonisti basandosi sulle somiglianze fisiche, culturali o tantomeno anagrafiche dei personaggi che voleva raccontare. In quel caso, puramente e semplicemente, MANN cercò attori che rispondessero allo “spirito del ruolo”.

Ed è proprio questo che deve fare un regista quando si mette a ricercare l’unica realtà che dovrebbe interessarlo, ossia la realtà del proprio film.

È questo che dovrebbe fare perché la realtà, a cinema, non è mai il reale (non lo è mai stato, nemmeno nelle paradigmatiche opere del neorealismo). Perché in un film l’impressione di verità è più importante di qualunque verosimiglianza (e per ribadirlo non c’è bisogno di scomodare le teorie di BAZIN o, per altri versi, di DELEUZE).

Per questa polemica relativa all’utilizzo di un attore straniero per un personaggio italiano basterebbe un esempio illuminante: quello di NOVECENTO, film del 1976 per il quale il regista BERTOLUCCI chiamò STERLING HAYDEN e GERARD DEPARDIEU a interpretare contadini emiliani e BURT LANCASTER con ROBERT DE NIRO e DONALD SUTHERLAND per i borghesi durante l’autunno e l’inverno del fascismo.

Chi ha il coraggio di sostenere che quella di BERTOLUCCI sia stata solo una paraculata fatta per ragioni commerciali, o magari una soluzione imposta dai produttori associati o dalla 20th Century Fox che distribuì il film?

Grazie a quella scelta (a suo tempo contestatissima e con motivazioni simili a quelle favinesche), NOVECENTO ha acquistato un valore aggiunto, quello di essere un film che del suo autore esprime l’amore forsennato e divorante per la storia (la sua concezione materialistica) come per il cinema.

Grazie a questa scelta poetica che non tiene conto di veridicità etniche e culturali, BERTOLUCCI ci dice che la storia e il cinema hanno bisogno l’uno dell’altro. E questo perché entrambe hanno bisogno del mito per essere decifrate e comprese.

E al fine di smentire l’essenza stessa di questa polemica protezionistica di FAVINO sull’usurpazione degli stranieri basta recuperare la filosofia di un altro maestro che non smette d’ispirarci, ROBERT BRESSON (un cineasta che puntava al mistero del vero più che all’evidenza di ogni naturalismo), il quale raccomandava ai suoi attori di vivere nel film che stavano interpretando come se si ritrovassero “in un paese straniero”.

Le migliori performance dei film della nostra vita sono state quelle di interpreti che, in un modo o nell’altro (presi dalla strada o meno) ci appaiono smarriti, ospiti inquieti del film nel quale sono stati chiamati a rappresentare niente di più che qualche traccia di realtà.

* da Facebook, segnalato da Nevio Gambula

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2 Commenti


  • Maddalena

    Peccato che Mann nel suo film su Ferrari non racconti per niente l’essenza dell’uomo Ferrari, ma solo una storia banale fatta di vicende private e un’ossessione per la competizione sportiva tra vetture da corsa.
    Ferrari era ben altro rispetto a questa misera biografia, l’attore che lo interpreta è stato bravissimo e non c’entra con la storia raccontata nel film.


    • Redazione Contropiano

      L’oggetto dell’articolo non è palesemente questo, però…

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