Il ritorno degli Almamegretta nella loro città, sul palco dell’Arena Flegrea per il concerto che si terrà il 12 Settembre prossimo, avrebbe potuto (e dovuto) essere un momento di forte risonanza culturale e politica.
La band, da sempre simbolo di fusione tra sonorità dub, reggae, elettroniche e tradizioni mediterranee-e soprattutto con una particolare attenzione alla cultura araba e mediorientale – ha scritto pagine importanti (tra gli anni ’90 e i primi anni 2000) della musica e della cultura underground italiana.
Sonorità e testi che hanno portato avanti una visione meticcia, alternativa e profondamente critica verso le ingiustizie del mondo globalizzato.
Abbiamo ancora in testa i riff di Black Athena e gli echi dei Giacobini Neri, che innovano l’immaginario sonoro al di là degli steccati eurocentrici e “razzializzanti“.
Eppure e non da oggi qualcosa inizia a stonare. Non sugli spartiti, ovviamente, ma nelle modalità di promozione e di rappresentazione della band.
Il frontman storico del gruppo, Raiz (Gennaro Della Volpe) da tempo esprime pubblicamente una vicinanza ideologica e culturale a Israele, nazione nella quale si è anche trasferito per alcuni periodi, vivendo tra Napoli e Tel Aviv.
La moglie Daniela Shualy, scomparsa un anno fa e madre della figlia Lea, era infatti di origini ebraiche. Ed era stata anche, molto probabilmente, la ragione principale per cui Gennaro si era avvicinato all’ebraismo, al complesso dei suoi codici liturgici e ad una “particolare” concezione del mondo.
Una posizione dunque personale e intima quella di Raiz, certo – in cui non ci permettiamo assolutamente di entrare: ci mancherebbe! – ma che assume un peso diverso quando ad assumerla è l’intero gruppo.
Gruppo che ha costruito la propria identità artistica sull’empatia verso le culture oppresse, la contaminazione mediterranea e il rispetto per il mondo arabo.
Qualcuno potrebbe ovviamente obiettare che gli altri componenti della band non hanno mai formulato posizioni politiche collettive ma – in questo come in molti altri casi – il silenzio rischia di diventare condivisione, assenso e tacita acquiescenza.
Nel pieno di un’estate segnata dai continui massacri a Gaza, dal peggioramento della crisi umanitaria in Palestina e da un silenzio assordante della comunità internazionale sul genocidio, sorprende e delude l’assenza totale di una presa di posizione da parte del gruppo durante i concerti o in dichiarazioni pubbliche.
Nessun riferimento alla situazione, nessun gesto, nemmeno una parola.
Sembra che il sound, i testi, le copertine esemplificative dei loro lavori artistici siano diventati pura astrazione e mero virtuosismo elettronico.
Un silenzio che stona ancora di più in questo momento, se si considera che una larga fetta della comunità artistica italiana sta esprimendo una chiara riprovazione del genocidio in corso.
Si pensi alla lettera aperta di condanna contro Israele e le politiche genocidarie di Netanyahu firmata da attori, registi, giornalisti e intellettuali e indirizzata alla Mostra internazionale d’arte cinematografica e alla Biennale di Venezia per denunciare le responsabilità del governo sionista e chiedere la messa a disposizione di spazi all’interno delle due kermesse, dove si possa discutere di quanto sta accadendo in Palestina.
Chi conosce dunque gli Almamegretta, chi è cresciuto con Animamigrante, Sanacore, Indubb, Lingo, si chiede oggi come sia possibile ignorare ciò che accade a pochi chilometri dalle coste di quel Mediterraneo che gli Alma tanto hanno cantato ed evocato.
I loro brani, intrisi di riferimenti alla sofferenza dei popoli del sud del mondo, alla diaspora, all’identità nomade e migrante, sembrano ora scontrarsi con una realtà in cui la coerenza tra arte e pensiero politico viene meno o annegata in una sorta di maionese impazzita, dove si sovrappongono e confondono passate autenticità creative e attuali diplomazie del silenzio.
Le simpatie sioniste di Raiz, che non ha mai nascosto la propria adesione al giudaismo e la propria affinità culturale con Israele, sono senza dubbio – come già detto – una questione personale e spirituale.
Ma quando questa posizione si traduce in una mancanza di solidarietà pubblica verso la popolazione palestinese vittima di genocidio e ormai in condizioni disperate – diventando quindi un “atto politico” – la questione si fa seria ed esula delle cosiddette “libere interpretazioni”.
D’altronde Raiz partecipa sovente – e anche in questo periodo in cui la macelleria israeliana non si placa, mietendo migliaia di vittime tra i bambini – ad iniziative pro Israele.
Come dimenticare per esempio la sua adesione ad un appuntamento nell’Ottobre del 2010 a Roma, dove andò in scena una farsa tragica organizzata dai coloni israeliani. Una farsa tragica dal titolo “Per la verità. Per Israele”.
Se si prendono in esame le falsificazioni della realtà spacciate per verità dall’entità sionista in questi due anni, ci sarebbe da ridere.
Una risata che può solo lasciare il posto ad un ghigno di rabbia ed orrore di fronte alla catastrofe umana cui stiamo assistendo, scientemente organizzata dallo stato d’Israele.
Un’iniziativa quella di Roma alla quale, per la verità, aderirono anche tante altre insigni personalità della cultura, della politica, del mondo scientifico e dell’arte italiana: Lucio Dalla, Massimo Ranieri, Walter Veltroni, Piero Fassino, Furio Colombo, Francesco Rutelli, Giovanna Melandri, Rita Levi-Montalcini, Umberto Veronesi, Paolo Mieli, Pierluigi Battista, Giorgio Albertazzi, Roberto Saviano.
E d’altronde, contro quella farsa filo israeliana – e soprattutto a dire il vero contro Saviano – prese posizione un compagno eticamente ineccepibile come il compianto Vittorio Arrigoni. Morto assassinato a Gaza per la sua inappuntabile coerenza a sostegno della causa palestinese.
Ancora più difficile da comprendere è perciò il silenzio degli altri componenti del gruppo, che sappiamo distanti dalle posizioni espresse dal loro componente più rappresentativo e pubblicamente esposto.
Possibile che nessuno senta l’urgenza di una parola, di una presa di posizione, di una minima distanza da atteggiamenti ideologici che, nel contesto attuale, risultano oggettivamente divisivi e rischiano di apparire tacitamente complici con il massacro in atto?
Napoli, città storicamente vicina alle cause dei popoli oppressi, accoglierà il concerto con il consueto calore. Non abbiamo dubbi. Ma siamo altrettanto certi che non mancheranno contestazioni, proteste, critiche e domande verso un atteggiamento complessivo degli Almamegretta che definire indifferentista sembra finanche troppo buono.
Domande che ineludibilmente riguardano il senso dell’impegno artistico oggi, in una società dove l’intera sfera di quella che – con Marx – definiamo sovrastruttura è pervasa e impregnata dell’ideologia del capitale, del dogma del mercato e del dominio imperialistico e neocoloniale dell’Occidente.
Quell’Occidente che con indigeribile ipocrisia si dichiara “democratico” e al quale si inscrive anche la teocratica e oscurantista entità sionista.
Può una band continuare a parlare di identità araba, di resistenza, di meticciato, mentre evita accuratamente di citare uno dei genocidi più evidenti della nostra epoca?
Chiediamo allora di spezzare questo velo di ipocrisia e di subordinazione verso il totem dell’innominabilità pubblica: lo stato terrorista di Israele!
Perché la musica – come l’arte tutta – se vuole essere davvero politica non può permettersi ambiguità e sotterfugi.
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Flavia
ottimo!
Pino marella
per questi artistucoli contano di più gli euro che la vita di 30.000 bambini e altri centomila adulti uomini e donne..Poi del silenzio degli Almamegretta gli frega na mazza a nessuno .
Pietro
Raiz era un vanesio cialtrone prima ed è un vanesio buffone oggi
Marco
troppe parole, quasi a giustificare un giudizio che non può che essere di condanna per chiunque appoggi il sionismo.