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Vittorio è stato ucciso

 

Uno degli arrestati per il sequestro e l’assassinio di Vittorio Arrigoni, sarebbe nipote di Ahmed Bahar, esponente di rilievo di Hamas a Gaza ed ex presidente del Consiglio Legislativo Palestinese. Fonti che abbiamo raccolto da Gaza riferiscono che Vittorio Arrigoni sarebbe stato avvicinato da alcune persone mentre si trovava in palestra in uno dei quartieri più “difficili” di Gaza City. Si sarebbe allontanato con loro intorno alle 11.00 e da quel momento è scomparso. A Gaza le condoglianze per Vittorio,conosciutissimo e stimato da tutta la popolazione e organizzazioni palestinesi, si raccolgono in due punti diversi: uno allestito dalle autorità di Hamas, l’altro nel locale dove Vittorio era solito incontrare i suoi amici e compagni a Gaza.

Sulla matrice del gruppo che ha ucciso Arrigoni, intanto si segnalano le prese di distanze sia dei gruppi salafiti presenti a Gaza – accusati in un primo tempo – sia la comparsa sui siti vicini ad Al Qaida di banner nel quale l’uccisione di Vittorio Arrigoni viene definito un “atto criminale”. Si tratta di segnali indicativi del fatto che il gruppo dei sequestratori omicidi appartenga a un network diverso da quelli indicati fino ad ora e che appartengono tutti a delle reti diverse da quella saudita-statunitense.

Il governo italiano su Gaza non perde occasione per lavorare male, anzi malissimo. Dopo aver fatto proprio l’embargo israeliano contro i palestinesi della Striscia, non ha più nessun uomo né interlocutore sul campo, condizione questa che si sarebbe rivelata utilissima in situazioni come queste. Non solo. Ha affidato la gestione della vicenda di Vittorio Arrigoni al consolato italiano a Gerusalemme invece che all’ambasciata italiana al Cairo, che ha molta più esperienza e conoscenze su quanto avviene all’interno e intorno a Gaza. Un esempio di dilettantismo ma soprattutto la conseguenza ovvia e negativa dell’atteggiamento servile verso le autorità israeliane.

 

La trattativa con la richiesta di liberazione dei prigionieri salafiti era dunque un diversivo. Due persone sono state arrestate, una terza viene ricercata.

Dalle prime ricostruzioni, sarebbe stato ucciso già ieri sera – probabilmente strangolato con un cavo metallico o qualcosa di simile – e’ il risultato di un primo sommario esame condotto sul cadavere da medici locali di Gaza alla presenza di cooperanti che hanno confermato l’identificazione di Arrigoni. Evidenti appaiono in particolare i segni sul collo, con tracce di sangue che avevano dapprima fatto pensare a un possibile sgozzamento. Tali conclusioni sembrano confermare la versione diffusa fin dalla nottata da Hamas, secondo cui Vittorio era già morto da «qualche ora» al momento dell’irruzione dei miliziani nell’appartamento-covo.

La restituzione del corpo  di Vittorio, secondo fonti della cooperazione internazionale a Gaza, dovrà attendere la riapertura del valico di Eretz, fra la Striscia e Israele: chiuso di norma, senza eccezioni, tutti i venerdì e sino all’intera giornata di sabato. Quindi, non prima di domenica.

Una delle fazioni salafite attive a Gaza, al-Tawhid wal-Jihad, ha intanto negatocon un comunicato di essere responsabile della uccisione di Vittorio. Lo riferisce la agenzia di stampa palestinese Maan. Ieri i rapitori di Arrigoni avevano lanciato un ultimatum in cui avevano chiesto la liberazione di un dirigente di al-Tawhid wal-Jihad (detenuto da Hamas) in cambio dell’ostaggio. Ma adesso questa organizzazione si dice estranea al sequestro, «che è comunque la conseguenza naturale – afferma – della politica di Hamas contro i salafiti»

Vittorio Arrigoni, attivista di 36 anni,vicino ai palestinesi per scelta, da anni a Gaza, unica voce libera da quell’inferno a cielo aperto, è stato ucciso. Il suo corpo è stato trovato in un appartamento di Gaza City dai miliziani di Hamas, nel cuore della notte.

Yiab Hussein, portavoce del ministero dell’Interno del governo di Hamas a Gaza, ha reso noto che Vittorio  sarebbe stato soffocato qualche ora prima del blitz. Ieri sera era stato diffuso un video su youtube in cui si vedeva Vittorio legato, bendato, ferito forse da percosse, trattenuto per i capelli e senzacambiamenti di  espressione.  A rivendicare c’era lala Brigata Mohammed Bin Moslama, sigla quasi sconosciuta della galassia salafita di Gaza, in qualche modo affine ad Al Qaida. Nel video scorreva una sovraimpressione in arabo che lo accusava di propagare i vizi dell’Occidente fra i Palestinesi, imputava all’Italia di combattere contro i Paesi musulmani e ingiungeva a Hamas di liberare i salafiti detenuti nella Striscia entro 30 ore (le 16 italiane di oggi).

Secondo Hussein, le indagini hanno portato all’arresto d’un primo militante salafita, che ha rivelato dove si trovava “il covo”: un appartamento nel rione Qarame. Una breve sparatoria ha portato alla cattura di un secondo salafita. Vittorio però era già morto. 

Hussein ha espresso la volontà di Hamas di «stroncare ora tutti i componenti del gruppo» dei rapitori e ha condannato l’uccisione di Arrigoni – indicato come «un amico del popolo palestinese» – definendola «un crimine atroce contro i nostri valori».

«Ci sono forze che vogliono destabilizzare la Striscia di Gaza, dopo anni di stabilità e sicurezzà. E ha inoltre ipotizzato che gli ultraintegralisti – negli ultimi due anni ci sono stati tentativi di sollevazione contro Hamas, come quello represso nel sangue nel 2009 nella moschea-bunker di Rafah – abbiano sequestrato Arrigoni non solo per cercare di ottenere il rilascio dei loro compagni arrestati, ma anche perchè ideologicamente ostili alla presenza di stranieri e “infedeli”.

In qualche msura è anche un gesto contrario al possibile arrivo della nuova Freedom Flotilla. Arrigoni è stato il primo straniero a essere rapito a Gaza dopo il giornalista britannico della Bbc Alan Johnston, circa quattro anni fa, da un altro gruppo locale simpatizzante di Al Qaida, l’Esercito dell’Islam, e liberato dopo 114 giorni di prigionia e lunghe trattative.

L’attivista italiano erano molto noto a Gaza dove lavorava per conto dell’International Solidarity Movement. Aveva partecipato in passato alla missione di una delle prime flottiglie salpate per sfidare il blocco marittimo imposto da Israele.

Una dura  condanna di questa assurda uccisione arriva anche dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. «Condanniamo questo crimine odioso ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla famiglia della vittimma», ha detto alla stampa Saeb Erekat, esponente di spicco dell’Anp. «Questo crimine non ha niente a che vedere con la nostra storia e con la nostra religione». Profondo cordoglio è stato espresso anche dall’ International Solidarity Movement (Ism),la organizzazione filo-palestinese in cui Arrigoni si era messo in vista con la sua prolungata attività a Gaza. Secondo Khalil Shahin – un ricercatore di Gaza che lo conosceva – «Arrigoni aveva ricevuto una cittadinanza onoraria per il suo lavoro a favore del popolo palestinese».

 

Questo il link del suo blog, da cui informava il mondo su quel che accadeva a Gaza, aggiornato con passione unica fino all’altroieri, poche ore prima d’essere rapito.

http://guerrillaradio.iobloggo.com/

 

 

Vittorio con i pescatori di Gaza, viene ferito dagli israeliani

Vittorio con i pescatori di Gaza, viene ferito dagli israeliani

Il contributo a un’inchiesta Rai

Il contributo a un'inchiesta Rai

 

L’articolo di Michelangelo Cocco, su “il manifesto” di oggi, gli ha dedicato. Ovviamente prima che si sapesse dell’uccisione.

 

Quelle corrispondenze dall’inferno della guerra

 

Se c’è una data che ha cambiato la vita di Vittorio Arrigoni questa è il 27 dicembre 2008. Mentre una buona parte di mondo sta smaltendo i postumi delle feste natalizie, Arrigoni, pacifista e attivista con una lunga esperienza di Palestina alle spalle, viene sorpreso nella «sua» Gaza dai bombardamenti israeliani di «Piombo fuso», l’offensiva militare contro la Striscia che si concluderà il 18 gennaio successivo con un bilancio di circa 1400 palestinesi morti (per due terzi civili). Da mesi i miliziani sparano i loro razzi all’interno dello Stato ebraico che risponde con «esecuzioni mirate» che molto spesso uccidono innocenti. Ma l’inferno che viene scateno il 27 dicembre è inedito e terribile, e segnerà profondamente la coscienza di Vittorio che sentirà il dovere di raccontare al mondo ciò che ha vissuto in prima persona: l’attacco di uno degli eserciti più all’avanguardia del pianeta contro la popolazione di un fazzoletto di terra desertica, una prigione a cielo aperto per l’embargo decretato da Tel Aviv contro «i terroristi» di Hamas che non si rassegnano a vivere chiusi in gabbia.
«Avete presente Gaza? Ogni casa è arroccata sull’altra, ciascun edificio è posato sull’altro. Gaza è il posto al mondo a più alta densità abitativa, per cui se bombardi da diecimila metri di altezza, è inevitabile che tu faccia una strage di civili. Ne sei cosciente e consapevole, non si tratta di un errore, di danni collaterali. Così, bombardando la caserma di polizia di Al Abbas, in pieno centro, è rimasta coinvolta nelle esplosioni anche la scuola elementare lì a fianco. Era la fine delle lezioni e i bambini erano già in strada, decine di grembiulini azzurri svolazzanti si sono macchiati di sangue». Con queste parole Vittorio descrisse dalle colonne del manifesto il primo giorno di «Piombo fuso». Con i corrispondenti stranieri bloccati dalla censura militare all’esterno di Gaza, mentre la stragrande maggioranza dei mass media si faceva le solite domande (Quanti morti? Operazione chirurgica? Durerà a lungo?) Vittorio, spostandosi in ambulanza, visitando gli ospedali, parlando con le famiglie delle vittime, raccontava in presa diretta la barbarie della risposta israeliana al lancio di «missili» Qassam da Gaza. E concludeva tutti gli articoli con un auspicio che riflette in maniera perfetta il suo spirito umanitario: «Restiamo umani».
Vittorio l’avevamo già conosciuto qualche anno prima, l’ultima volta che riuscì a visitare la Cisgiordania accedendovi attraverso Israele. All’aeroporto Ben Gurion della capitale Tel Aviv era stato fermato, detenuto per qualche giorno e malmenato da quegli agenti che negli ultimi anni hanno accolto senza cerimonie, e spesso respinto, gruppi di attivisti pro palestinesi che la propaganda israeliana dipinge come «fiancheggiatori del terrorismo». Raccontò quell’esperienza per il nostro giornale e ci sembrò giusto darle ampio risalto, perché in quel periodo (seconda intifada, gli attentatori palestinesi si facevano esplodere tra i civili israeliani) si accumulavano le denunce di attivisti a cui veniva vietato di raggiungere i palestinesi delle città della West Bank.
Forse anche per la difficoltà di raggiungere Ramallah e dintorni dopo il foglio di via da Israele, Vittorio aveva concentrato su Gaza il suo impegno di pacifista e media-attivista. Il suo blog (guerrillaradio.iobloggo.com) e le corrispondenze per il nostro giornale diventarono durante «Piombo fuso» un punto di riferimento per migliaia di persone che in Italia continuano a sostenere il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi ma che sono state abbandonate dai partiti della sinistra timorosi, dopo l’11 settembre, di difendere una popolazione che è in gran parte musulmana.
Così il nostro collaboratore raccontava la sua giornata, il 10 gennaio 2009: «Poco fa ci hanno comunicato con il lancio di nuovi volantini che la terza fase della guerra al terrorismo sta per iniziare. Sono cortesi i militari israeliani, chiedono collaborazione alla popolazione di Gaza, prima di schiacciarli come insetti. Se i volantini non sono abbastanza persuasivi, ci pensa l’aeronautica a bussare dolcemente sui tetti delle case di Gaza. È una nuova prassi degli ultimi giorni, piovono bombe un pochino più leggere, abbastanza per scoperchiare i tetti delle abitazioni e invitare gli abitanti all’evacuazione». Le tecniche «anti-terrorismo» sperimentate dall’esercito israeliano durante «Piombo fuso», descritte in presa diretta da Vittorio. I grandi giornali (solo quelli non smaccatamente filo-israeliani, s’intende) ne avrebbero parlato soltanto molto più tardi.

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