Come questa. Il breve e-mail spedito da Madrid a sua moglie Maribel, che da venerdì mattina ne aveva perso completamente le tracce, per lo meno confermava che il «Giovanni deportato» era vivo, anche se cacciato su due piedi dal paese in cui vive ormai da una ventina d’anni. A Madrid, dove era arrivato nel pomeriggio di ieri da Città del Messico, era pronto un volo per Roma. Deportato, cacciato, espulso.
Questa volta le autorità messicane hanno fatto le cose per bene. Ci avevano già provato in dicembre quando individui armati l’avevano preso a punta di pistola a San Cristóbal de las Casas, nel Chiapas, dove risidede abitualmente (e dove insegna antropologia nell’Università autonoma del Chiapas), e, dopo averlo accusato di portarsi addosso marijuana (accusa falsa), l’avevano lasciato andare solo a notte fonda scusandosi tanto per «la confusione». In realtà l’appuntamento era solo rimandato. E venerdì è scattata la trappola.
Convocato verso le 10 negli uffici dell’Inm, Instituto nacional de migración, per rinnovare come ogni anno il permesso di soggiorno, è semplicemente sparito. Sparito lui, sparita la sua moto, spento il cellulare. Vista l’aria che tira nel narco-Messico, dove la violenza è fuori controllo e i morti cadono a pioggia, c’era di che preoccuparsi. Nel pomeriggio Maribel ha chiamato il consolato italiano a Città del Messico, che nel sequestro di dicembre era stato sollecito a intervenire. Ma questa volta il console Guide De Marco non è riuscito a fare nulla, se non informare la moglie, verso le 21.30, che l’Inm dell’aeroporto della capitale federale gli aveva comunicato che Gianni era stato imbarcato sul volo delle 18.56 per Madrid e Roma. Inutile il ricorso d’urgenza presentato dalla moglie presso il tribunale di Tuxtla verso le 9 di sera: Gianni stava già volando. Non gli hanno consentito neanche di fare un telefonata, l’hanno caricato così come stava sull’aereo e via.
In tutta evidenza una vendetta politica. Lo tenevano d’occhio fin dai tempi dell’insurrezione zapatista. Gli volevano fare pagare i suoi articoli per il manifesto, (ovviamente) molto critici verso il controverso presidente Calderón e la sua «guerra» contro i narcos – con le forze armate per le strade – che non ha sconfitto i narcos e ha riempito i cimiteri facendo del Messico la nuova Colombia. L’appiglio formale pare sia l’accusa di non figurare accreditato come giornalista straniero (anche se le sue collaborazioni al manifesto sono praticamente gratis et amore Dei)
Il console De Marco ha riferito a Maribel che ieri la diplomatica italiana avrebbe presentato una nota di protesta alle autorità messicane (cosa che avrebbe dovuto fare e non fece anche dopo «il sequestro» di dicembre).
Ieri della «deportación» di Gianni scriveva anche La Jornada, il quotidiano di sinistra messicano. Che notava come dopo essere stato «arrestato dalla polizia federale» sia stato subito «deportado» in Italia, «senza che si sappia di quale delitto è accusato». Il suo «delitto» ora lo conosciamo. Riferire verità che non piacciono al potere.
Questa volta le autorità messicane hanno fatto le cose per bene. Ci avevano già provato in dicembre quando individui armati l’avevano preso a punta di pistola a San Cristóbal de las Casas, nel Chiapas, dove risidede abitualmente (e dove insegna antropologia nell’Università autonoma del Chiapas), e, dopo averlo accusato di portarsi addosso marijuana (accusa falsa), l’avevano lasciato andare solo a notte fonda scusandosi tanto per «la confusione». In realtà l’appuntamento era solo rimandato. E venerdì è scattata la trappola.
Convocato verso le 10 negli uffici dell’Inm, Instituto nacional de migración, per rinnovare come ogni anno il permesso di soggiorno, è semplicemente sparito. Sparito lui, sparita la sua moto, spento il cellulare. Vista l’aria che tira nel narco-Messico, dove la violenza è fuori controllo e i morti cadono a pioggia, c’era di che preoccuparsi. Nel pomeriggio Maribel ha chiamato il consolato italiano a Città del Messico, che nel sequestro di dicembre era stato sollecito a intervenire. Ma questa volta il console Guide De Marco non è riuscito a fare nulla, se non informare la moglie, verso le 21.30, che l’Inm dell’aeroporto della capitale federale gli aveva comunicato che Gianni era stato imbarcato sul volo delle 18.56 per Madrid e Roma. Inutile il ricorso d’urgenza presentato dalla moglie presso il tribunale di Tuxtla verso le 9 di sera: Gianni stava già volando. Non gli hanno consentito neanche di fare un telefonata, l’hanno caricato così come stava sull’aereo e via.
In tutta evidenza una vendetta politica. Lo tenevano d’occhio fin dai tempi dell’insurrezione zapatista. Gli volevano fare pagare i suoi articoli per il manifesto, (ovviamente) molto critici verso il controverso presidente Calderón e la sua «guerra» contro i narcos – con le forze armate per le strade – che non ha sconfitto i narcos e ha riempito i cimiteri facendo del Messico la nuova Colombia. L’appiglio formale pare sia l’accusa di non figurare accreditato come giornalista straniero (anche se le sue collaborazioni al manifesto sono praticamente gratis et amore Dei)
Il console De Marco ha riferito a Maribel che ieri la diplomatica italiana avrebbe presentato una nota di protesta alle autorità messicane (cosa che avrebbe dovuto fare e non fece anche dopo «il sequestro» di dicembre).
Ieri della «deportación» di Gianni scriveva anche La Jornada, il quotidiano di sinistra messicano. Che notava come dopo essere stato «arrestato dalla polizia federale» sia stato subito «deportado» in Italia, «senza che si sappia di quale delitto è accusato». Il suo «delitto» ora lo conosciamo. Riferire verità che non piacciono al potere.
* da “il manifesto” del 17 aprile 2011
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