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A Gaza cercando la verità

INVIATO A GAZA

«Le indagini sull’assassinio di Vittorio Arrigoni sono in corso ma io non ho aggiornamenti, adesso provo a chiamare un paio di comandanti della sicurezza». Si mostra gentile il vice ministro degli esteri del governo di Hamas, Ghazi Hamad. «Occorre fare chiarezza, lo dobbiamo a Vittorio e a tutto il popolo italiano». Ma il suo tentativo di aiutarci va a vuoto. Due capi dei servizi di sicurezza si dicono indisponibili perché «molto occupati». Hamad promette di procurarci un appuntamento con uno dei responsabili delle indagini (ma a quattro giorni di distanza dal nostro colloquio non abbiamo ancora ricevuto telefonate dal vice ministro). Probabilmente in molti sono impegnati negli accordi del Cairo. Indisponibile è anche il portavoce del ministero dell’interno Ihab Ghusein. Dopo aver atteso una ventina di minuti nel suo ufficio, un suo assistente ci comunica che non arriverà a causa di un improvviso lutto in famiglia. Ok, andrà meglio la prossima volta. Ma in carcere a Gaza ci sono tre dei cinque assassini di Vittorio e il governo di Hamas è tenuto a rendere noti al più presto i verbali degli interrogatori.
Più concreto è il colloquio con Khalil Shaeen, vice direttore del Centro per i Diritti Umani di Gaza che ha ricevuto dalla famiglia Arrigoni l’incarico di seguire le indagini. Shaeen è stato un amico stretto di Vittorio. «Sono in contatto con il governo e la polizia – ci dice – è mia ferma intenzione arrivare a capire perchè quei cinque hanno ucciso Vik». Shaeen ha ricostruito le ultime ore del suo amico. «Vittorio andava in palestra quasi ogni sera – ricorda – e lo ha fatto anche quel mercoledì sera (13 aprile). Ha anche prenotato un tavolo alla trattoria “Addar”, dove mangiava spesso». I suoi sequestratori lo tenevano d’occhio e, aggiunge l’attivista dei diritti umani, «Vittorio ne conosceva due, in particolare Bilal Omari, che frequentava la stessa palestra». La polizia, ha proseguito Shaeen, ha accertato che all’uscita della palestra Vittorio si stava preparando per andare all’«Addar» quando è giunto un taxi con a bordo due dei sequestratori, tra i quali Omari, che si sono offerti di accompagnarlo al ristorante. «Vittorio ha accettato e da quel momento di lui non si è saputo più nulla», aggiunge Shaeen. Vik è stato portato prima a Tel Hawa e poi nell’appartamento di Karame (Sudaniyeh) dove è stato assassinato.
Nessuno si è sorpreso del mancato arrivo alla trattoria. Vittorio non di rado cambiava all’improvviso i suoi programmi. È scattato l’allarme soltanto diverse ore dopo, il pomeriggio successivo (14 aprile), quando è apparso su Youtube il video girato dai rapitori che si sono proclamati militanti del gruppo salafita al Tawhid wal Jihad e hanno chiesto la scarcerazione dello sceicco Abdel-Walid al-Maqdisi, arrestato due mesi prima da Hamas. Secondo Shaeen, gli investigatori sono stati in grado di arrivare subito a due dei rapitori, Farid Bahar e Tamer Hasasnah, sulla base di una soffiata giunta da alcuni abitanti di Sudaniyeh che avevano notato un giovane, a loro sconosciuto, a bordo di una moto che faceva la spola tra Gaza city e un’abitazione del loro sobborgo. È possibile, dicono a Gaza, che gli altri sequestratori, tutti molto giovani, presi dal panico dopo aver appreso dell’arresto dei loro compagni abbiano strangolato Vittorio e provato a far perdere le loro tracce. Potrebbe essere questa la ragione del mancato rispetto dell’ultimatum che avevano lanciato. Ma è solo una ipotesi. Forse il gruppo aveva programmato di ucciderlo in ogni caso. «La polizia grazie alle confessioni dei due arrestati – afferma Shaeen – ha potuto individuare subito la casa ed era certa di liberare Vittorio. Un comandante di Hamas mi ha assicurato giovedì sera (14 aprile) che l’italiano sarebbe tornato libero al più presto. Ma nel corso della notte la polizia mi ha comunicato che era stato trovato il corpo senza vita di Vik».
Gli altri tre rapitori successivamente sono stati individuati dalla polizia in una casa tra Nuseirat e Deir al Balah. Due, Bilal Omari e Abdel Rahman Breizat (un giordano) sono stati uccisi nel blitz delle forze speciali di Hamas; il terzo, Mohammad Salfiti, rimasto ferito, è in prigione assieme agli altri arrestati. Perché hanno ucciso Vittorio? A Gaza le tesi prevalenti sono due: i sequestratori hanno agito su ordine dei servizi segreti israeliani, interessati a mostrare i palestinesi come «belve» che uccidono i loro amici e chi li aiuta (qualche giorno prima dell’assassinio di Vittorio, a Jenin era stato freddato l’attore ebreo-palestinese Juliamo Mer-Khamis); oppure i cinque rapitori erano effettivamente dei fanatici di orientamento salafita che volevano cacciare via da Gaza, o uccidere, un occidentale del quale non conoscevano le attività e che consideravano soltanto un portatore di idee e stili di vita contrari ai costumi e alle abitudini locali. Questa seconda tesi fa arricciare il naso a molti, specie in Italia, ma a Gaza viene ritenuta credibile da non pochi palestinesi, inclusi alcuni esponenti di Hamas. Interrogativi giganteschi si concentrano sulla figura di Abdel Rahman Breizat, il giovane giordano (era nato nel 1989) ritenuto la «mente» del sequestro di Vittorio. Il vice ministro Ghazi Hamed ci ha detto che il fratello è conosciuto in Giordania come un salafita e lui stesso era stato interrogato un paio di volte dal mukhabarat. A Gaza era entrato un anno e mezzo fa con un convoglio internazionale. Aveva lasciato la Striscia qualche mese dopo e vi era tornato di recente, non si sa bene come e da dove. Chi era Abdel Rahman Breizat?

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