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Guerra di Libia? Una rapina a mano armata

Cirenaica merchant bank

Dalle casseforti del raìs alle compagnie di Bengasi.

di Barbara Ciolli

Come dirottare i beni congelati della Libyan investment authority (Lia) e della Central bank of Libya (Cbl), le due casseforti del regime di Muammar Gheddafi, e gli investimenti della National oil corporation (Noc) libica sulle nuove istituzioni finanziarie, che sono state costruite a loro immagine e somiglianza a Bengasi, capitale degli insorti dall’esplosione della rivolta.
Ne discuteranno, il 5 maggio, i potenti del mondo, riuniti a Roma per il gruppo di contatto sulla Libia.
IL VERTICE DI ROMA SUL PIANO ONU. Nella capitale, dove sono al lavoro anche i vertici miliari degli Stati dell’Ue per organizzare la missione Eufor Libya, i ministri degli Esteri della comunità internazionale, i rappresentanti della Lega Araba e il segretario di Stato americano Hillary Clinton hanno fissato una riunione per esaminare un «piano di riconciliazione, coordinato dall’Onu, e che prevede il cessate il fuoco e l’apertura di un corridoio umanitario».

Le nuove Central bank e Oil company di Bengasi

I canali per far arrivare aiuti economici ai ribelli saranno le neo-costituite, Central bank of Bengasi e la Lybian oil company, finora scatole vuote fondate, lo scorso 19 marzo dal Consiglio nazionale di transizione (cnt), in alternativa futura alla Cbl e alla Noc.
HSBC, IL FORZIERE DELLE LIBIA. Quanto alla Lia, l’autorità arrivata a veicolare fino a 70 miliardi di dollari di fondi sovrani libici in investimenti internazionali (tra cui le quote rilevate nelle italiane di Unicredit, Finmeccanica ed Eni), in Gran Bretagna i suoi asset congelati sono in gran parte custoditi nei forzieri della Hsbc, maggiore istituto di credito inglese e sesto gruppo bancario al mondo.
E non è un caso se, alla fine di aprile, un team di alti funzionari del colosso finanziario custode degli enormi introiti di Gheddafi dal petrolio (circa 37 miliardi di dollari) riposti nel Regno Unito, è sceso in Cirenaica per prendere contatti con la nuova Central bank.
FRANCESI IN MISSIONE SEGRETA. Un paio di settimane prima, il 13 aprile, un airbus della Difesa era decollato alla volta di Bengasi dallo scalo militare di Parigi, classificato come «volo umanitario del governo francese» e con a bordo, oltre al personale ospedaliero e ai medicinali, una ventina di manager di colossi petroliferi e industriali d’Oltralpe, in missione segreta per stringere contatti e contratti con i rappresentanti del Cnt e con i dirigenti nominati ai vertici delle nuove istituzioni.

Gli investimenti del post conflitto

Perché è chiaro che gli scambi in ponte per sostenere i ribelli nella guerra civile con il Colonnello, sono solo l’antipasto dei rapporti commerciali e degli investimenti strategici che potranno decollare dopo la fine del conflitto, approfittando della ricostruzione.
Finora si è parlato di una vendita di petrolio in cambio di aiuti e anche di un parziale scongelamento dei beni bloccati l’8 marzo 2011, in seguito alle misure Onu, da reindirizzare al Consiglio di transizione.
IL PRESSING DI UNICREDIT ED ENI. Tra gli almeno 120 miliardi di dollari sottoposti alle sanzioni internazionali, in Italia sono stati stimati rientrare circa 7 miliardi e i gruppi nazionali maggiormente interessati dalle partecipazioni libiche (Unicredit il 7,5%, Finmeccanica 2% ed Eni 1%) hanno fatto anch’essi pressioni per convogliare una porzione dei beni verso Bengasi.
Ma è pacifico che, rispetto agli assetti strategici precedenti al conflitto, all’Italia toccheranno solo le briciole degli affari in cantiere. Durante la visita del presidente del Cnt Mustafa Abdel Jalil e di altri emissari degli insorti a Roma, Unicredit ed Eni hanno già discusso di possibili licenze da attivare in Cirenaica.
TOTAL E BP IN AVANSCOPERTA. Ma con la scelta di schierarsi, da subito, dalla parte dei ribelli, Nicolas Sarkozy e il suo drappello di grandi investitori, tra i quali la multinazionale petrolifera della Total, si sono assicurati un posto al sole. Ma anche l’inglese British petroleum (Bp), in virtù dell’interventismo di David Cameron, si è posizionata in prima linea per scalzare l’Eni dal predominio energetico in Libia.
ITALIA, FANALINO DI CODA. Durante il regime della National oil corporation il cane a sei zampe, pagando nel 2007 un miliardo di dollari, si era accaparrata concessioni fino al 2042, seguìta dalla tedesca Wintershall. Se, al posto della compagnia nazionale, il meccanismo entrerà in vigore il meccanismo della Lbyan oil company, il bello e il cattivo tempo lo faranno gli inglesi e dei francesi.
Nel nuovo risiko energetico costruito a tavolino dagli alleati in terra di Cirenaica, l’Italia sarà il fanalino di coda, seguìta dal blocco dei Paesi (Germania, Cina, Russia e Turchia) che hanno detto no alle bombe dei volenterosi.

Mercoledì, 04 Maggio 2011

 

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Gli insorti libici hanno chiesto agli alleati 3 miliardi di dollari. È questa la somma che serve per «evitare la catastrofe umanitaria», ha detto Ali Tarhouni, responsabile delle Finanze di Bengasi.
IL TRUST PER I RIBELLI. E il gruppo di contatto riunito il 5 maggio a Roma ha risposto. Il segretario di Stato Hillary Clinton e il ministro degli Esteri Franco Frattini hanno di fatto istituito un trust, un fondo fiduciario per finanziare il Consiglio nazionale di transizione.
Nel tesoretto hanno messo soldi per primi i ricchi Paesi del Golfo, a cominciare dal Kuwait che ha già iniettato nel trust 180 milioni di dollari. Che vanno ad aggiungersi ai 70 già stanziati da Qatar ed Emirati Arabi.
Troppo pochi per coprire le esigenze dello Stato nascente. Come invocato anche dalla Casa Bianca, per raggiungere quelle cifre c’è bisogno di scongelare i fondi di Gheddafi bloccati con la Risoluzione Onu 1973.
SERVE IL RICONOSCIMENTO. Più facile a dirsi che a farsi. «In teoria», ha spiegato a Lettera43.it, Natalino Ronzitti esperto di diritto dell’Istituto affari internazionali, «ci vorrebbe una seconda Risoluzione, con tutti i tempi tecnici che essa richiede». Ma gli insorti non possono aspettare. Così i grandi riuniti a Roma hanno deciso, per il momento, di destinare al tesoretto anche gli interessi maturati dai fondi del raìs congelati, circa 30 milioni di euro.
Secondo Ronzitti siccome l’articolato normativo prevede che i beni di Gheddafi potranno essere scongelati solo a favore del «popolo libico», è necessario che i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riconoscano, singolarmente o in concerto, che esso sia rappresentato dal Cnt. Fino a ora Francia e Italia hanno formalmente riconosciuto il governo di Bengasi come unico interlocutore diplomatico della Libia. Ma il resto d’Europa, anche in questo caso, è diviso.

Giovedì, 05 Maggio 2011

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Ditta Gheddafi & Figli

Fondi, hotel e conti segreti: ecco dov’è il tesoro del rais.

di Gea Scancarello

Il cavallo di Troia con cui il rais di Tripoli si è guadagnato un posto d’onore sulla scena internazionale è un tesoretto da 70 miliardi di dollari. Tutti provenienti dal petrolio, che ha benedetto il suolo nordafricano con le ottave riserve mondiali.
GHEDDAFI RE MIDA. Se la natura lo ha aiutato, il dittatore è stato però talentuoso nel farli fruttare nella cosiddetta ditta Gheddafi & Co., ragnatela di interessi e partecipazioni che spaziano dall’editoria al calcio. A titolo privato e come fondi statali; tutti, in ogni caso, accolti come manna dalle cancellerie occidentali a caccia di liquidità.
A fianco alle operazioni finanziarie sotto gli occhi di tutti, Muammar e la numerosa prole pare si siano però assicurati anche la pensione, particolarmente necessaria nel caso di caduta del regime. Secondo gli analisti qualche miliardo di petrodollari, confluiti nei paradisi fiscali del Golfo.

I fondi Lia e Lafico per la diversificazione economica

I trofei più significativi della gestione economica del Colonnello sono arrivati con la creazione di due fondi d’investimento attivi in Europa, la Lybian investment authority (Lia) e la Lybian arab foreign investment company (Lafico). Entrambi ben noti agli italiani: il primo ha in mano, tra le altre cose, il 2,5 % di Unicredit (la Banca centrale libica detiene un ulteriore 4,9%, portando la quota nordafricana al 7,4%); l’altro possiede il 7,5% di Juventus.

LIA: DAL FT A FINMECCANICA. Secondo le stime, la Lia da sola vale tra i 60 e gli 80 miliardi; un capitale che Alistair Newton, della banca giapponese Nomura, ha definito «opaco». Giudizio che non ha impedito ai consigli di amministrazione europei di aprire le proprie porte ai soci libici: oltre a Unicredit (leggi), Lia controlla il 2% di Finmeccanica , il 3% di Pearson – il gruppo che possiede anche il quotidiano finanziario Financial Times – e parecchi private equity ad alta liquidità (leggi la mappa del business italo-libico).
Il più noto è il Carlyle di Abu Dhabi che, solo in Italia, gestisce un patrimonio da 500 milioni di euro, principalmente in immobili di lusso.
LAFICO: DA FIAT ALLE TLC. È però il Lafico ad avere ramificazioni più importanti nel nostro Paese. Oltre alla Juventus, nel cui consiglio di amministrazione è presente anche il figlio di Gheddafi, Al-Saadi, il fondo ha in tasca il 22% dell’azionariato dell’azienda tessile Olcese, il 2% di Fiat e quasi il 15% di Retelit, una telecom meneghina quotata a Piazza Affari.  
Secondo la ricostruzione del britannico Guardian, la partecipazione più significativa è tuttavia un’altra. Quella in Quinta Communications, casa di produzione e distribuzione cinematografica parigina cofondata dal premier Silvio Berlusconi (detentore del 22% dell’azionariato) e del magnate tunisino Tarak Ben Ammar. Il fondo libico ne ha in mano il 10%, attraverso una controllata olandese, e ha piazzato un proprio uomo, Jasem Etunsi, nel board direttivo a fianco di quelli espressi dal primo ministro italiano.

L’hotel vicino Rieti e il progetto a Fiuggi

Oltre a essersi impegnati a diversificare l’economia nazionale, Gheddafi e prole hanno però operato anche direttamente sui mercati europei, con investimenti mirati e qualche colpo di testa.

ANTRODOCO E L’ORO BLU. Alla seconda categoria può essere ascritto l’improvviso amore per Antrodoco, il borgo di 2.800 anime nel Reatino in cui il Colonnello incappò in visita di piacere durante una il G8 dell’Aquila, cui era stato invitato da Berlusconi in qualità di ospite speciale.
L’estate scorsa, previo versamento di 15 milioni di euro al sindaco Maurizio Faina, il rais ha iniziato i lavori per la costruzione di un albergo di lusso con beauty farm, unitamente a uno stabilimento per imbottigliare l’acqua minerale. E pare che altri 250 milioni siano a disposizione per la città di Fiuggi, dove costruire un beauty-centre termale: manca tuttavia ancora l’autorizzazione formale.
ALBERGHI IN INGHILTERRA. Nel Regno Unito i Gheddafi si sono concentrati invece sul mattone, acquistando per 10 milioni di sterline una villa lussuosa ad Hampstead, il ricco sobborgo di Londra. Nella capitale, hanno rilevato inoltre un complesso commerciale nella centralissima via dello shopping Oxford street, che ospita ora alcuni negozi delle catene Boots e New Look, oltre a uffici nella City.

In Africa, tra soldi e sporchi e investimenti sottratti

Non tutte le mosse economiche e finanziarie del rais e del suo clan sono però avvenute alla luce del sole. Secondo diverse ricostruzioni, ci sarebbe Gheddafi dietro al sostentamento di alcuni dei più crudeli regimi africani: per esempio quello di Robert Mugabe, in Zimbawe, sostenuto per anni con fiumi di petrodollari. E il Colonello avrebbe foraggiato anche la lotta della tribù Zaghawa del Darfur nei conflitti etnici che hanno dilaniato il Paese per decenni, ottenendo peraltro una contropartita importante: pare che tra i mercenari assoldati per sedare la sommossa di questi giorni ci siano proprio miliziani zaghawa.

FIGLI IN AFFARI. Nella stessa Libia, infine, i sette figli biologici del Colonello, più un nipote adottato, distraggono proventi da praticamente qualsiasi attività nazionale: petrolio e gas, telecomunicazioni, infrastrutture e hotel, il cui controllo è saldamente nelle loro mani.
Stando al Financial Times, il figlio “riformatore” Seif al-Islam succhierebbe ampi share dei 10 miliardi di dollari incassati ogni anno per l’esportazione dell’oro nero, attraverso il controllo di una delle aziende dell’indotto della compagnia nazionale
Mohammed, il primogenito, è a capo del Comitato generale delle Poste e delle telecomunicazioni, e il suo nulla osta è necessario per avviare qualsiasi attività nel settore. Saad, calciatore mancato, prospera nell’edilizia: per invogliare i turisti ai soggiorni in Libia starebbe costruendo grandi resort nell’ovest del Paese.
PARACADUTE D’EMERGENZA. Tutte attività che consentono di rosicchiare capitali significativi da assicurare all’estero. «Nessuna previsione sul loro effettivo ammontare potrebbe essere corretta», ha detto Tim Niblock, professore in politiche mediorientali all’Università di Exeter, «ma qualsiasi stima rischia di essere al ribasso». Di certo, svariati miliardi di dollari, che secondo gli analisti finanziari sono fluiti nelle casse di Dubai e del Sud-est asiatico. Un morbido paracadute in caso di crollo del regime.

Mercoledì, 23 Febbraio 2011

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Silvio, Gheddafi & il business

I libici sempre più forti in Italia.

di Vita Lo Russo

 

Dalla nascita del Regno Unito di Libia, nel 1950, le relazioni bilaterali tra il Paese e l’Italia hanno attraversato diverse fasi. Il colpo di Stato del 1969, che ha portato al potere Muammar Gheddafi, ha riaperto il contenzioso sul passato coloniale.
I nodi centrali della questione riguardavano i beni confiscati alle imprese e ai privati italiani nel 1970 e le richieste libiche di risarcimento per i danni coloniali e di guerra. Un momento di forte tensione si è raggiunto nel 1986, a seguito dell’attacco americano a Tripoli e Bengasi e all’attacco missilistico libico di Lampedusa. Ma i rapporti sono andati migliorando dal 1994, con l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi.

1994. Si è riaperta la strada dei colloqui tra Italia e Libia anche sul fronte politico e istituzionale. In sospeso la questione dei crediti che non è stata affrontata negli accordi di “amicizia” Dini-Mountasser del 1998, giudicati sostanzialmente inutili.
1997. Il fondo sovrano Lybian  investment authority (Lia) è entrato in Unicredit con lo 0,56% del capitale.
2002.  Lafico ha acquistato circa 6,4 milioni di azioni della Juventus, pari al 5,31% del capitale della società. Nel 2009 la partecipazione è salita a 7,5%.
2003. Silvio Berlusconi e Gheddafi, in un incontro al vertice, hanno cercato di superare l’impasse con gesti simbolici: l’Italia ha proposto di costruire un ospedale, ma il colonnello ha chiesto di realizzare un’autostrada. Intanto, sono cominciati i lavori di costruzione del Greenstream di Eni che vengono terminati nel 2004. Attraverso questo gasdotto sottomarino passano attulmente otto miliardi di metri cubi di metano, utilizzati quasi esclusivamente per produrre energia elettrica.
2006: È stato distrutto il consolato italiano a Bengasi.
2008. Gheddafi e Berlusconi hanno firmato un trattato di amicizia e cooperazione, di nuovo a Bengasi. In base agli accordi, l’Italia ha pagato 5 miliardi di dollari come compensazione per l’occupazione militare e la Libia ha adottato misure per combattere l’immigrazione clandestina dalle sue coste, favorendo gli investimenti nelle aziende italiane. Nello stesso anno, il fondo sovrano libico ha portato a 4,9% la sua partecipazione in  Unicredit. Quindi è nata Libco, la conglomerata ingegneristica partecipata al 60% da Impregilo e al 40% da Libyan development investment. Sempre nel 2008, sono cominciate le manifestazioni di interesse nei confronti di Terna, con un prospettato impegno per una quota variabile tra l’1% e il 2%.
2010. I fondi riconducibili al colonnello Gheddafi in Unicredit hanno superato il 7%:  la Lybian Investment Authority (Lia) possiede il 2,5% e la coppia formata da Banca centrale libica e Lybian arab foreign investment company controllano il 4,6%.
Nel frattempo, Ansaldo ha conquistato un contratto del valore complessivo di 247 milioni di euro per realizzare la ferrovia sulla tratta da Sirte a Bengazi, in Libia (550 chilometri). Ansaldo aveva già ottenuto un contratto da 451 milioni di euro per le linee Ras Ajdir-Sirth e Al-Hisha-Sabha nel 2009.
2011. La Lia ha portato al 2,01% la sua presenza in Finmeccanica.

Lunedì, 21 Febbraio 2011

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