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“Dopo l’attacco alla Mavi Marmara sono cambiate molte cose”.

 

Signor Oruç cos’è cambiato nel sostegno internazionalista ai palestinesi dall’assalto omicida a Mavi Marmara?

Da quel momento sono cambiate molte cose soprattutto per l’attivismo turco. I militari israeliani hanno attaccato una nave di una nazione alleata e hanno ucciso cittadini turchi. E’ la prima volta che questo accade dal secondo conflitto mondiale. Israele ha compiuto un gravissimo errore, gli sarà difficile trovare nell’area mediorientale un Paese determinato a sostenerlo come si era dimostrata la Turchia. In tutta la regione solo un paio di soggetti appoggiano attualmente Israele, mentre ovunque sale la coscienza sui crimini perpetrati a danno dei palestinesi, a Gaza e in Cisgiordania. L’Onu deve intervenire e porre fine a un embargo illegale, contrario a qualsiasi principio umanitario. Per ragioni di diritto internazionale il commercio e ogni genere di attività dovrebbero essere riattivate nella Striscia. Israele non può giustificare in alcun modo il suo operato.

 

All’iniziale riprovazione del governo Erdogan contro Israele sono seguite altre azioni diplomatiche?

Dopo l’attacco le relazioni diplomatiche non si sono interrotte, sono però sensibilmente diminuite. L’ambasciatore israeliano è tuttora ad Ankara mentre la Turchia mantiene a Tel Aviv solo un funzionario. C’è un oggettivo deterioramento dei rapporti.

Qual è il sentire del popolo turco verso la condizione dei Gazawi?

Basta girare per qualsiasi strada turca, di città o campagna, e chiedere alle persone se conoscono il caso di Mavi Marmara. Il 95% risponde che nella vicenda la Turchia ha ragione da vendere. Quell’assalto ha completamente cambiato la mentalità dei turchi e oggi molti scettici sono diventati solidali con la missione.

Nelle prossime elezioni turche quanto pesa la politica estera di Davotoglu e qual è l’idea sulle rivolte di Maghreb e Mashreq?

Negli ultimi otto anni la Turchia ha sensibilmente mutato la sua politica estera. Oggi siamo un importante membro delle Nazioni Unite e ciò che accade da noi viene osservato con attenzione nel mondo. Naturalmente le situazioni del bacino del Mediterraneo incidono moltissimo nella nostra politica interna. L’opposizione è meno attenta a esse mentre l’attuale Esecutivo le ritiene d’importanza vitale. Alla maggioranza dei turchi questa linea di condotta piace, una consistente fetta della popolazione sta dando credito al governo.

Cosa pensate dell’omicidio dell’attivista italiano Arrigoni?

Conoscevo molto bene e condividevo quello che faceva Arrigoni perché lo facciamo anche noi. Vittorio ha dato alla causa palestinese tutto se stesso: i suoi pensieri, il suo corpo, l’intera vita. Molta gente pensa alla situazione di Gaza, lui era fisicamente lì. Vittorio era un vero sostenitore del dramma di quelle persone. Abbiamo conosciuto a fondo lui e i suoi princìpi e dal primo momento ne abbiamo condannato l’assassinio. Si è trattato d’un crimine enorme, contro di lui, la famiglia, l’umanità intera. Esempi come il suo servono per cambiare il mondo perché con la pace si può cambiare. Con tutto il rispetto per ogni religione, il concetto espresso non è religioso: devo aiutare le persone perché sono umano. Vittorio restiamo umani con te.

 

Quali obiettivi si pone l’odierna iniziativa del Freedom Flotilla?

A Gaza un milione e mezzo di palestinesi vivono come in prigione, né Israele né l’Egitto fanno nulla per risolvere questa situazione. I gazawi hanno bisogno di aiuto umanitario perché Israele ha distrutto case, infrastrutture, ha azzerato la metà di Gaza e molti dei suoi centri operativi e artigianali. Gli abitanti della Striscia non vogliono mendicare, non si ritengono mendicanti, necessitano di sostegno, per ora umanitario, ma soprattutto vogliono che finisca l’embargo. Da poco è stato riaperto il valico di Rafah, da lì viene nuovamente introdotto materiale sanitario, si spera che quest’apertura rilanci l’attività economica e commerciale della popolazione. La missione di Freedom Flotilla è proprio quella di eliminare l’embargo illegale.

Uno dei temi dell’International Solidarity Movement è il BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) nei confronti della politica sionista. Sono misure diffuse in Turchia?

Molti turchi non conoscevano a fondo la storia palestinese, non sapevano quel che accadde e cosa continua ad accadere nei Territori Occupati. Ora le cose stanno cambiando. Da un anno a questa parte si lavora principalmente sul boicottaggio dell’economia israeliana e delle maggiori compagnie statunitensi che la supportano. Parecchi prodotti israeliani vengono respinti, anche altre aziende internazionali si stanno adeguando.

Cosa pensate del recente riavvicinamento fra Fatah e Hamas?

Tutto il bene possibile. I due partiti devono assolutamente comprendersi, hanno pagato un altissimo prezzo individuale e collettivo, hanno gli stessi propositi e lavorano per la nazione palestinese. Con la firma del Cairo si ristabilisce una via per intraprendere passi comuni e raggiungere uno Stato effettivamente indipendente. Milioni di palestinesi guardano al prossimo settembre e sperano in un pronunciamento favorevole dell’Onu per una vera autodeterminazione. Come struttura umanitaria noi sosteniamo quest’azione altamente rappresentativa per il futuro di pace.

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