Manifestazioni non armate lungo confini e linee armistiziali alle quali l’esercito israeliano ha reagito con estrema durezza, facendo una quindicina di morti, specie sul Golan e in Libano. Secondo il commento di Tel Aviv siamo di fronte a una nuova strategia, l’«utilizzo delle masse», «coordinata da Siria, Hamas e Hezbollah con la direzione dell’Iran».
In realtà a Israele spaventa, e parecchio, la lotta popolare non armata che avrebbero intenzione di intraprendere i palestinesi con l’appoggio di migliaia di attivisti arabi. Lo stesso ministro della difesa Ehud Barak Barak sottolineava ieri che questa nuova fase è volta a rendere più evidente agli occhi della comunità internazionale l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e la violazione del diritto internazionale. Qualcuno sostiene che sia anche questa la ragione per cui Israele ha scongelato i fondi palestinesi per 60 milioni di euro che aveva bloccato dopo la riconciliazione Hamas-Fatah.
Il governo Netanyahu intanto lavora dietro le quinte per impedire la partenza delle navi della Flotilla2 diretta a Gaza, sapendo che la Marina militare non può permettersi di usare di nuovo la forza contro un convoglio civile (un anno fa rimasero uccisi nove attivisti turchi sulla nave Mavi Marmara). Oltretutto la proclamazione unilaterale di indipendenza palestinese in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est – che il presidente dell’Anp Abu Mazen intende annunciare il prossimo settembre all’Onu – rischia di spaccare il fronte dei governi occidentali: alcuni sono favorevoli a riconoscerla, pur di mettere fine alla paralisi diplomatica. Per questa ragione Netanyahu, nell’imminenza di una visita negli Usa, attende il nuovo discorso che il presidente Obama rivolgerà al mondo arabo-islamico e che, con ogni probabilità, illustrerà anche la posizione americana verso il conflitto israelo-palestinese.
Vanno interpretati con attenzione nel frattempo i segnali contradditori che arrivano dall’Egitto, paese centrale nel mondo arabo, che dopo l’entusiasmante ribellione contro l’ex rais Hosni Mubarak e aver fatto intravedere nuove posizioni anche in politica estera, ora fa lentamente retromarcia. La polizia militare ha arrestato 186 persone dopo gli scontri di domenica notte nei pressi dell’ambasciata israeliana al Cairo. Poco prima nella capitale egiziana si era svolta la visita di Amos Gilad (capo del dipartimento politico e di sicurezza del ministero della difesa israeliano), la prima di cui si sappia di un alto funzionario di Tel Aviv in Egitto dopo la caduta di Mubarak.
In occasione della Nakba peraltro migliaia di attivisti egiziani si erano concentrati ai valichi del Sinai per marciare verso la Striscia di Gaza, ma sono stati fermati dall’esercito. Lo sviluppo più importante però è la nomina del ministro degli esteri egiziano Nabil el Arabi come nuovo segretario della Lega Araba al posto di Amr Mussa. A una lettura superficiale, la scelta di el Arabi pare mirata a dare una scossa alla moribonda Lega araba. In realtà – dice l’analista Mouin Rabbani – «mette fuori gioco un esponente politico egiziano che nelle ultime settimane si era espresso a favore della fine del blocco di Gaza e per la riapertura del valico di Rafah, oltre a sostenere la ripresa di piene relazioni diplomatiche con l’Iran facendo irritare i monarchi sauditi». Non è un caso perciò che proprio Riyadh abbia insistito per la nomina di el Arabi: in modo da sottrargli il ministero degli esteri che dovrebbe andare all’ex ambasciatore egiziano a Washington, Nabil Fahmy, considerato un «moderato». Così dopo le speranze alimentate dalle rivolta arabe anche in politica estera e sulla questione palestinese, il Medio Oriente rischia la palude di sempre. O annunci di svolte di cartapesta. Come quello del capo dello stato italiano Giorgio Napolitano ieri a Betlemme: i palestinesi a Roma, ha detto, non avranno più solo un rappresentante ma un vero e proprio ambasciatore. in una sede diplomatica ufficiale. Un ambasciatore senza Stato.
In realtà a Israele spaventa, e parecchio, la lotta popolare non armata che avrebbero intenzione di intraprendere i palestinesi con l’appoggio di migliaia di attivisti arabi. Lo stesso ministro della difesa Ehud Barak Barak sottolineava ieri che questa nuova fase è volta a rendere più evidente agli occhi della comunità internazionale l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e la violazione del diritto internazionale. Qualcuno sostiene che sia anche questa la ragione per cui Israele ha scongelato i fondi palestinesi per 60 milioni di euro che aveva bloccato dopo la riconciliazione Hamas-Fatah.
Il governo Netanyahu intanto lavora dietro le quinte per impedire la partenza delle navi della Flotilla2 diretta a Gaza, sapendo che la Marina militare non può permettersi di usare di nuovo la forza contro un convoglio civile (un anno fa rimasero uccisi nove attivisti turchi sulla nave Mavi Marmara). Oltretutto la proclamazione unilaterale di indipendenza palestinese in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est – che il presidente dell’Anp Abu Mazen intende annunciare il prossimo settembre all’Onu – rischia di spaccare il fronte dei governi occidentali: alcuni sono favorevoli a riconoscerla, pur di mettere fine alla paralisi diplomatica. Per questa ragione Netanyahu, nell’imminenza di una visita negli Usa, attende il nuovo discorso che il presidente Obama rivolgerà al mondo arabo-islamico e che, con ogni probabilità, illustrerà anche la posizione americana verso il conflitto israelo-palestinese.
Vanno interpretati con attenzione nel frattempo i segnali contradditori che arrivano dall’Egitto, paese centrale nel mondo arabo, che dopo l’entusiasmante ribellione contro l’ex rais Hosni Mubarak e aver fatto intravedere nuove posizioni anche in politica estera, ora fa lentamente retromarcia. La polizia militare ha arrestato 186 persone dopo gli scontri di domenica notte nei pressi dell’ambasciata israeliana al Cairo. Poco prima nella capitale egiziana si era svolta la visita di Amos Gilad (capo del dipartimento politico e di sicurezza del ministero della difesa israeliano), la prima di cui si sappia di un alto funzionario di Tel Aviv in Egitto dopo la caduta di Mubarak.
In occasione della Nakba peraltro migliaia di attivisti egiziani si erano concentrati ai valichi del Sinai per marciare verso la Striscia di Gaza, ma sono stati fermati dall’esercito. Lo sviluppo più importante però è la nomina del ministro degli esteri egiziano Nabil el Arabi come nuovo segretario della Lega Araba al posto di Amr Mussa. A una lettura superficiale, la scelta di el Arabi pare mirata a dare una scossa alla moribonda Lega araba. In realtà – dice l’analista Mouin Rabbani – «mette fuori gioco un esponente politico egiziano che nelle ultime settimane si era espresso a favore della fine del blocco di Gaza e per la riapertura del valico di Rafah, oltre a sostenere la ripresa di piene relazioni diplomatiche con l’Iran facendo irritare i monarchi sauditi». Non è un caso perciò che proprio Riyadh abbia insistito per la nomina di el Arabi: in modo da sottrargli il ministero degli esteri che dovrebbe andare all’ex ambasciatore egiziano a Washington, Nabil Fahmy, considerato un «moderato». Così dopo le speranze alimentate dalle rivolta arabe anche in politica estera e sulla questione palestinese, il Medio Oriente rischia la palude di sempre. O annunci di svolte di cartapesta. Come quello del capo dello stato italiano Giorgio Napolitano ieri a Betlemme: i palestinesi a Roma, ha detto, non avranno più solo un rappresentante ma un vero e proprio ambasciatore. in una sede diplomatica ufficiale. Un ambasciatore senza Stato.
da “il manifesto” del 17 maggio 2011
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