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La Nato: escalation aerea

  

La ferma intenzione della Nato di continuare la guerra è la sola certezza per la Libia dove giorno dopo giorno sale il bilancio di civili uccisi nei bombardamenti degli aerei dell’Alleanza. Ieri aprendo la riunione di Bruxelles il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha annunciato che andrà avanti l’offensiva aerea in Libia, dopo aver ottenuto il sostegno degli alleati per una proroga oltre i 90 giorni inizialmente previsti, e avendo a disposizione i mezzi necessari per portare a termine l’operazione. «Abbiamo la disponibilità degli “asset” necessari per continuare le operazioni», ha detto Rasmussen incoraggiando «altri alleati ad ampliare il loro sostegno», ossia permettendo l’impiego di aerei che ora sono impegnati solo a garantire la «No-fly Zone» sulla Libia, anche nei raid contro bersagli al suolo.
L’offensiva si intensificherà e nonostante le smentite di Rasmussen dovrebbe vedere presto l’impiego di truppe di terra, come indica la partecipazione, già da qualche giorno, di elicotteri da combattimento francesi e britannici agli attacchi contro l’esercito governativo libico. La Nato è convinta che il regime sia al «collasso» e l’invio di reparti speciali pare scontato di fronte alla determinazione del colonnello Muammar Gheddafi di non arrendersi e di rimanere nella sua terra. Corpi scelti da utilizzare negli scontri strada per strada, casa per casa, quando i ribelli del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) di Bengasi, aiutati dalle bombe «umanitarie» arriveranno, almeno nelle previsioni della Nato, a Tripoli. «Gheddafi deve andarsene» ha detto perentorio Mike Mullen, il capo dello stato maggiore interforze statunitensi. Ma le certezze di Rasmussen e Mullen non convincono tutti. «La Nato e Rasmussen dicono che Gheddafi si sta isolando – ha commentato il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa – e vedono una caduta imminente del colonnello, che certo non cederà. Di guerre lampo abbiamo visto solo l’attacco alla Polonia mentre quella (del presidente francese Sarkozy) sta diventando una guerra infinita». E dopo l’aumento dei bombardamenti aerei? «Credo – ha aggiunto Arpino – si andrà verso una nuova risoluzione dell’Onu, prevedendo forse di aiutare gli insorti sul terreno. Ma anche questa non mi pare una buona idea. La verità è che ci si è messi in un bel pasticcio».
«Far salire la pressione» significa aumentare il numero dei raid aerei che continuano a mietere vittime. La Nato si «rammarica» ma solo nella giornata di martedì 31 libici sarebbero rimasti uccisi in 60 bombardamenti dal cielo. Certo, non è possibile verificare la piena attendibilità dei dati forniti dal regime di Gheddafi ma il fatto che l’Alleanza abbia espresso «rammarico» indica che i comandi militari Nato sanno quello che accade, anche ai civili, quando missili e bombe colpiscono quelli che vengono descritti semplicemente come «centri di comunicazione del regime». Rasmussen a Bruxelles ha ripetuto cose già dette decine di volte: «Posso assicurare che i nostri comandi sono concentrati ad evitare vittime civili e che sono attenti al modo in cui conducono le operazioni per proteggere la popolazione». Bombardamenti sono proseguiti anche ieri. I caccia, secondo la tv satellitare al Jazeera, hanno effettuato 25 attacchi su Tripoli. Sul terreno i soldati fedeli a Gheddafi a loro volta avrebbero cannoneggiato la zona orientale di Misurata nel tentativo di avanzare verso la città facendo, secondo fonti locali, almeno 12 morti.
Intanto l’inviato russo Mikhail Margelov ha lasciato ieri la Libia con un nulla di fatto, potendo solo constatare che le divisioni tra i rappresentanti del governo di Tripoli e quelli del Cnt di Bengasi restano profonde. Soprattutto sul fatto che il leader Muammar Gheddafi debba lasciare il Paese, come chiesto dai ribelli. Le speranze di una soluzione politica restano vane nonostanze gli sforzi di mediazione di Margelov, arrivato martedì a Bengasi, dove ha incontrato Mustafa A
bdul Jalil, capo del Cnt. «La Russia vuole vedere la Libia come uno Stato unico, indipendente, sovrano e democratico, parte integrante del mondo arabo e parte inalienabile dell’Unione Africana», ha detto Margelov a Voice of Russia. La «Russia sta cercando di costruire un ponte tra queste due branchie separate della società libica», ha aggiunto il mediatore di Mosca. Da Ankara ieri hanno annunciato che la prossima riunione del cosiddetto «gruppo di contatto» sulla Libia, in programma per luglio, si svolgerà in Turchia.
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Manlio Dinucci
I RAID ATLANTICI
Uranio impoverito e bombe tricolori

 

Tra le bombe che piovono sui due milioni e mezzo di abitanti dell’area urbana di Tripoli, ora anche in pieno giorno, vi sono sicuramente quelle italiane. Si tratta di una «operazione aerea combinata» cui partecipano cacciabombardieri di più paesi, comunica il Comando della forza congiunta alleata a Napoli. In poco più di due mesi la Nato ha compiuto oltre 10mila operazioni aeree sulla Libia, di cui circa 4mila con bombe e missili, effettuate per la maggior parte da cacciabombardieri di Gran Bretagna, Francia, Italia e Canada, e da aerei Usa Predator/Reaper telecomandati. L’aeronautica italiana non rivela quante bombe e missili ha lanciato (secondo una stima, oltre 200 in un mese), ma comunica di che tipo sono.
Nel documento «Unified Protector: le capacità di attacco dell’AM» (6 giugno), specifica che sono bombe a guida laser e Gps della statunitense Raytheon, dei tipi Gbu-16 Paveway II da circa mezza tonnellata e Gbu-24 Paveway III da una tonnellata: quest’ultima, sganciata a bassa quota a oltre 15 km dall’obiettivo, è «una bomba di precisione usata per distruggere i più resistenti bunker sotterranei». Anche la bomba Gbu-32 Jdam della statunitense McDonnell Douglas, a guida inerziale e Gps, lanciata a circa 25 km dall’obiettivo, viene usata contro «target rinforzati». Ciò significa che queste bombe hanno sicuramente testate penetranti a uranio impoverito e tungsteno per distruggere edifici rinforzati. Gli aerei italiani usano anche missili da crociera a lungo raggio Storm Shadow, fabbricati dalla Mbda di cui fa parte Finmeccanica, la cui carica esplosiva è «ottimizzata per neutralizzare strutture corazzate e sotterranee», e missili Agm-88 Harm della Raytheon per «la soppressione dei radar nemici».
Queste bombe e missili di ultima generazione – impiegati nella guerra contro la Libia, cui il governo Berlusconi fa partecipare l’Italia – non avrebbero potuto essere usati se nel 2007 il governo Prodi non avesse deciso di ammodernare i cacciabombardieri Tornado (con una spesa di oltre 50 milioni di euro), facendo tesoro dell’esperienza dei Tornado nella guerra contro la Jugoslavia, cui il governo D’Alema aveva fatto partecipare l’Italia. E’ grazie a questo impegno bipartisan che l’Aeronautica può oggi dichiarare di aver acquisito il «potere aerospaziale». Ciò significa – si spiega nel documento – avere assoluta libertà di manovra al di fuori delle limitazioni imposte dalla geografia del globo, dare massimo risalto alla mobilità (raggiungere sempre più in fretta lontani teatri operativi) e all’autonomia nel sostenere operazioni che possono protrarsi nel tempo. «Operazioni che hanno come imperativo quello di conseguire gli obiettivi posti dall’autorità politica al più basso costo possibile in termini di vite umane e risorse». Pensando ovviamente alle proprie vite e risorse, non a quelle che la guerra distrugge in Libia. Anche se, mentre gli aerei italiani lanciano su Tripoli bombe da una tonnellata a uranio impoverito, la Nato assicura che, in base alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, «scopo dell’operazione Protettore unificato è proteggere i civili e le aree con popolazione civile da attacco o minaccia di attacco».
da “il manifesto” del 9 giugno 2011

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