Mentre a Bengasi veniva annunciata la morte, Tripoli veniva scossa da due o tre potenti esplosioni mentre la Tv libica annunciava che aerei della Nato stavano sorvolando la capitale. In giornata si erano diffuse notizie del suo arresto da parte degli stessi insorti per presunti contatti con il regime. Jalil ha detto che il generale era stato convocato a Bengasi davanti a una commissione di inchiesta che doveva discutere di «questioni militari». Altre fonti invece avevano parlato di un interrogatorio dove Younes avrebbe dovuto chiarire i «presunti legami tra alcuni suoi parenti e il regime di Gheddafi». Una versione questa che si legherebbe alle notizie diffuse in giornata, e non confermate, secondo le quali Younes era stato arrestato per «avere contrabbandato armi alle forze pro-Gheddafi». Stando a queste versioni, il generale avrebbe avuto una condotta da “doppiogiochista”, poco chiara agli occhi degli stessi ribelli, che avrebbero deciso di prelevarlo dal fronte, proprio là dove da diversi mesi stava guidando le operazioni militari, per riportarlo a Bengasi. Altre fonti dicevano invece che era stato lui a rientrare alla base ma che era impaziente di ritornare al fronte.
Nella conferenza stampa, Jalil lo ha definito »un eroe della rivoluzione del 17 febbraio« ed ha annunciato che sono stati proclamati tre giorni di lutto. Anche se la presenza di Younes a Bengasi era stata annunciata in giornata non è del tutto certo che l’agguato sia avvenuto nel feudo dei ribelli. Per aggiungere mistero a mistero, Jalil non ha nemmeno chiamato direttamente in causa il regime di Muammar Gheddafi. Nè si si ha notizia di dove sia finito il corpo del generale. Sessantasette anni, Younes, è stato per quasi mezzo secolo il compagno d’armi del rais. Ha ricoperto la carica di ministro dell’Interno del governo libico; ebbe anche l’incarico di torturare e imprigionare gli oppositori fino a non poco tempo fa. Secondo fonti dei ribelli, Younes avrebbe anche avuto un ruolo di primo piano negli assalti nel 2006 con decine di morti, al consolato generale d’Italia a Bengasi, devastato da manifestanti che protestavano contro le vignette blasfeme di Maometto. Poi, con lo scoppio della guerra, la decisione che cambia la sua vita: passare da numero due del regime a comandante in capo delle battaglie di Bengasi e della Cirenaica. »Ha passato circa 40 anni come braccio destro di Gheddafi e quando decise di unirsi cinque mesi fa alle forze ribelli, qualcuno tra di noi ebbe qualche dubbio sulla sua lealta«, affermano oggi fonti ribelli locali, facendo chiaramente intendere la loro poca fiducia in un uomo, rimasto forse »troppo tempo« a contatto con il Colonnello.
Abdel Fattah Younes, 67 anni, il capo dello stato maggiore degli insorti libici in lotta contro il regime «assassinato» ieri in circostanze ancora poco chiare, era un personaggio discusso sia prima che dopo essere passato dalla parte dei ribelli. Ex amico personale di Muammar Gheddadi, era stato il numero due del regime e compagno d’armi del colonnello. Diventato poi ministro dell’interno, era stato accusato di essere stato uno degli ingranaggi più spietati della macchina della repressione del dissenso. Quando era passato dalla parte degli insorti era stato accolto a Bengasi con tutti gli onori ma nella capitale della rivoluzione c’è chi continuava a guardare a lui con un certo sospetto.
Younes si era posto in contrapposizione con un altro leader militare ribelle, Khalifa Hifter, in una rivalità che per mesi ha generato confusione tra le forze degli insorti. Quando a marzo era stato nominato capo di stato maggiore delle milizie ribelli, disse di avere migliaia di combattenti ai suoi ordini e che i suoi uomini stavano marciando su Tripoli. La sua leadership militare, tuttavia, secondo diversi osservatori non ha prodotto i risultati sperati: nonostante l’appoggio aereo della Nato, infatti, le sue forze non sono riuscite a far registrare progressi significativi sul campo di battaglia. Il capo del Consiglio nazionale di transizione, Mustapha Abdul Jalil, nell’annunciare la sua uccisione lo ha definito un «eroe della rivoluzione del 17 febbraio». Il Cnt però lo aveva richiamato a Bengasi per un’audizione davanti a una commissione di inchiesta. Pare fosse sospettato di legami con Tripoli, di contrabbando d’armi e addirittura di spionaggio.
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