“La calunnia è un venticello Un’auretta assai gentile Che insensibile sottile Leggermente dolcemente Incomincia a sussurrar.” (da “Il barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini)
Nel 1816 Rossini compose la famosa aria “La calunnia è un venticello” – nell’opera “Il barbiere di Siviglia” scritta su libretto di Cesare Sterbini – che racconta come basti seminare un piccolo dubbio, un sospetto, un’infima menzogna, per creare una valanga tale di falsità contro qualcuno da distruggerlo e metterlo al bando.
Nel XX secolo Goebbels, ministro della propaganda nazista, diceva: “le bugie ripetute tante volte diventano realtà”. A quanto pare i media moderni e i portavoce governativi attuali hanno tenuto in grande considerazione e messo in pratica con notevole perizia la lezione di entrambi, per attaccare quei paesi che non intendono sottostare ai dettami di Washington.
Come ha denunciato il Granma, negli ultimi giorni la stampa e i rappresentati di alcuni governi hanno scatenato una nuova campagna di accuse contro Cuba, approfittando, senza alcuno scrupolo, della morte di Wilman Villar Mendoza un detenuto comune, che forse solo nel caso di Cuba diviene una notizia di impatto internazionale e motivo di ennesimo attacco al governo, accusato come al solito di essere un regime che reprime i diritti civili.
Il metodo utilizzato è sempre lo stesso, attaccare Cuba ripetendo menzogne nella speranza che a via di ripeterle, diventino una verità riconosciuta.
E’ utile, per capire la disonestà intellettuale degli accusatori, conoscere il caso Villar: il detenuto è stato arrestato nello scorso luglio per aggressione e lesioni personali nei confronti di sua moglie, dopo una denuncia fatta dalla suocera. Al momento dell’arresto Villar aveva aggredito anche gli agenti. Dopo il processo, a novembre è stato condannato a 4 anni di prigione per reati di disprezzo, aggressione e resistenza. Una volta condannato, seguendo un percorso ormai classico negli ultimi tempi, è entrato in contatto con la “dissidenza” cubana, con lo scopo di poter beneficiare delle misure di grazia previste dal governo cubano per i prigionieri di questo tipo.
Questa persona non è morta perché faceva, in quanto dissidente, lo sciopero della fame o perché non si è tenuta nella giusta considerazione la sua condizione di salute: Villar “è morto a causa di una insufficienza multi organica associata a un severo processo infettivo respiratorio, nonostante abbia ricevuto tutte le cure mediche necessarie, compresi i medicinali e trattamento specializzato, in terapia intensiva dell’ospedale principale di Santiago de Cuba.” 1)
Sono francamente poco credibili le imputazioni mosse a Cuba, soprattutto perché vengono da paesi il cui sistema carcerario è stato spesso messo sotto accusa; ma anche perché, con grande cinismo, adottano sempre la politica di due pesi e due misure: quelli che nei loro paesi vengono considerati terroristi, a Cuba diventano dissidenti vittime del regime; quelle che sono a dir poco discutibili condizioni carcerarie dei loro paesi, neanche vengono prese in considerazione, mentre sempre pronto è l’uso della menzogna sulle condizioni del sistema carcerario cubano.
Diverse agenzie di stampa spagnole hanno riportato le dichiarazioni formulate dalla Vicepresidente del governo spagnolo Soraya Sáenz del Partido Popular e il Comunicato del Ministero degli Affari Esteri. Da parte sua, l’Alta Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e della Sicurezza Comune Catherine Ashton ha dichiarato che questo caso pone dubbi sul sistema giudiziario e penitenziario cubano.
Forse se si fossero informati un po’ più approfonditamente sulla realtà dei fatti, essendoci in Spagna una disoccupazione giovanile altissima e una preoccupante violenza contro le donne, avrebbero evitato di spendere denaro in una campagna fatta per presentare la brutale aggressione di Villar contro la moglie, come dissidenza politica.
Forse farebbero meglio a investigare sulle tante morti per suicidio o le cui cause sono ancora da accertarsi, che avvengono nelle loro carceri; o sui frequenti atti di brutalità della polizia contro i manifestanti che si verificano sempre più frequentemente in Spagna e in altri paesi europei come l’Italia e la Grecia. 2)
Invece nessuno sembra preoccuparsi del drammatico superaffollamento delle prigioni spagnole, dove il 35% della popolazione carceraria è rappresentato da immigrati (vedi ultimo rapporto dell’ ACAIP- sindacato delle prigioni – datato 3 aprile del 2010), né delle morti dei prigionieri, come quella di Tohuami Hamdaoui, d’origine marocchina che si era dichiarato innocente e che è morto dopo uno sciopero della fame volontario durato vari mesi.
Perché meravigliarsi di questo complice disinteresse, se è passata sotto silenzio anche un’oceanica manifestazione che ha visto nei giorni scorsi a Bilbao la partecipazione di più di 100 mila persone che chiedevano il rispetto dei diritti umani e politici dei circa 700 prigionieri politici dispersi nelle carceri di Spagna e Francia; che richiedevano con forza il cambiamento netto nella politica penitenziaria dello Stato Spagnolo, a partire dalla immediata applicazione delle leggi che prevedono la scarcerazione dei detenuti che abbiano scontato i tre quarti della pena, che soffrano di infermità incompatibili con la reclusione, e che, soprattutto, reclamavano il diritto per il detenuto di scontare la pena il più vicino possibile al luogo d’origine, denuncia questa di una violazione sistematica dei diritti non solo dei prigionieri ma anche dei loro familiari.
Né sembra meno preoccupante la situazione in Italia dove troppo lunga è la lista dei detenuti morti nelle carceri o dei morti per brutalità della Polizia di Stato o della polizia penitenziaria. Lasciamo che parlino i numeri di uno studio effettuato dall’Agenzia “Ristretti Orizzonti”. In 12 anni nelle carceri italiane sono morti 1.942 detenuti: a causa di suicidi (circa un terzo del totale), assistenza sanitaria insufficiente, overdose o per cause non chiare.
Il tasso di suicidi in carcere è altissimo: nel periodo che va dal 1980 al 2007 è stato di circa 20 volte quello registrato nella popolazione libera. La ricerca più completa sul suicidio in carcere, con dati sempre aggiornati, è curata dall’Agenzia “Ristretti Orizzonti”. I suicidi avvengono prevalentemente nelle carceri più affollate e nei periodi iniziali della pena – cioè quando l’individuo deve confrontarsi con la prospettiva del tempo vuoto da trascorrere rinchiuso – e in quelli finali, cioè quando per l’individuo, ormai ridotto a dipendere anche mentalmente dall’istituzione in cui ha vissuto per anni e anni, privato nel tempo di relazioni, famiglia, risorse economiche proprie, la porta del carcere si apre solo verso il nulla. 3)
L’Italia, aspettando il «piano carceri», ha già subìto una prima condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per «trattamenti inumani e degradanti» e altre se ne profilano, con tanto di risarcimento danni per milioni di euro ai detenuti. L’articolo 27 della Costituzione dice infatti che le pene «non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». In sostanza, il carcere dev’essere un luogo che produce sicurezza collettiva, nel rispetto della dignità dei detenuti. Quanto di più lontano dalla realtà italiana, il nostro da tempo è sempre meno un Paese civile e uno Stato di diritto. 4)
Solo ieri – 26 Gennaio 2012 – è passato finalmente al Senato della Repubblica Italiana il decreto per evitare il sovraffollamento delle carceri e per avviare la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari dal 2013: i famigerati manicomi criminali che non garantiscono né le cure, né il rispetto della dignità dei detenuti.
Passando dalla culla della civiltà europea ai paesi del nuovo mondo che hanno speculato sulla morte del cubano Villar, la situazione non migliora molto, tutt’altro.
Anche il Cile, come la Spagna, ha adottato la politica di due pesi e due misure: il portavoce del governo cileno – il Ministro Andrés Chadwick – ha affermato che Villar era un detenuto politico, morto dopo 50 giorni di sciopero della fame. Un nuovo paladino dei diritti umani questo ministro che sembra aver dimenticato i suoi giorni di leader studentesco, quando era legato ai militari golpisti di Pinochet che massacrarono il suo popolo cileno ed esportarono con il “Piano Condor” nei paesi limitrofi (Argentina, Uruguay, Paraguay…) l’utilizzo del sequestro, della sparizione e della tortura per perseguitare ed eliminare gli oppositori alla dittatura militare. Ma ammesso e non concesso che il tempo possa aver cancellato nella sua memoria simili orrori, con quale coraggio parla di diritti umani calpestati a Cuba, quando il suo governo applica oggi la legge antiterrorista ai Mapuches in sciopero della fame? O quando gli squadroni della polizia uccidono donne Mapuches, abusano sessualmente delle ragazzine e assassinano sparandogli alle spalle i giovani?
Nel coro delle voci indignate che si sono levate contro Cuba, non poteva mancare quella degli Stati Uniti che vorrebbero esportare democrazia, ma che in realtà riescono solo ad esportare guerra, fame, miseria e, peggio ancora, un totale disprezzo dell’umanità (vedi stupri, botte, torture della prigione di Abu Ghraib o di Guantánamo, o il non rispetto dei corpi dei nemici uccisi da parte dei militari statunitensi).
Ma anche per ciò che avviene sul loro territorio, gli Stati Uniti non possono dare lezioni a nessuno: infatti il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha riconosciuto che in questo paese avvengono ogni giorni gravi violazioni in materia di diritti delle donne, di discriminazione razziale, di abusi contro le minoranze etniche, di condizioni disumane delle prigioni, di errori giudiziari nelle condanne a morte soprattutto nei confronti dei “neri”. La civilissima Europa ha forse alzato, sdegnata, la voce per i 3 detenuti morti nel novembre 2011 negli USA, durante uno sciopero della fame di massa praticato dai detenuti della California?
Per non parlare, tornando alle questioni che riguardano Cuba, delle gravissime violazioni dei diritti umani compiute dal Governo degli Stati Uniti nei confronti dei cinque patrioti cubani, ostacolando sistematicamente le visite delle madri, delle mogli e dei figli dei prigionieri, la qual cosa costituisce una sanzione addizionale per loro e per i loro cari.
Confinati in celle di isolamento per un periodo di 17 mesi senza aver commesso alcuna colpa, i cinque agenti chiamati per combattere il terrorismo hanno ricevuto, nel periodo di detenzione che dura ormai da tredici anni, un trattamento da delinquenti comuni.
Ci sembra interessante a questo punto dare la voce a María Florencia Palma, avvocatessa argentina C.P.A.C.F T°96 F°823, che ha descritto e commentato la sua visita al sistema penitenziario cubano effettuata nel luglio del 2011 al “Centro de Mujeres de Occidentes”, un’unità penitenziaria femminile di L’Avana, nell’ambito del ”VII Incontro Internazionale Scuola estiva 2011” su temi penali contemporanei e del IX Congresso Internazionale della Società Cubana di Scienze. 5)
L’avvocatessa argentina afferma che il fine che si propone il sistema penale cubano è quello della rieducazione, del recupero dei reclusi, a partire dal rispetto dell’essere umano e della sua dignità.
Fin dall’inizio della Repubblica, Fidel Castro – memore della lezione di José Martí che sulla Costituzione aveva affermato “ Io voglio che la legge fondamentale della nostra Repubblica sia il culto dei cubani per la dignità piena dell’uomo”, e che in assoluto credeva che solo la cultura renda l’uomo davvero libero – aveva in programma di trasformare le prigioni in scuole e a questo principio sono informati in seguito tutti i programmi di rieducazione e tutti gli accorgimenti e le procedure messe in atto nei penitenziari, nonostante le poche risorse di Cuba.
La Palma descrive i vari aspetti del sistema penale cubano che prevede una classificazione della popolazione penitenziaria femminile in gruppi, che si dividono in Collettivi di massima, di media e di minima sicurezza. Il passaggio dall’uno all’altro avviene secondo un processo graduale, che inizia quando la detenuta entra nell’istituzione ed è valutata da un gruppo di psicologi e medici, che ne analizzano la situazione socio familiare e le attitudini, al fine di individuare il programma riabilitativo più consono per un reale reinserimento nella società. L’apprendimento per le internate è graduale e si traduce nel passaggio da un collettivo all’altro fino al termine della pena.
Ci sono diversi programmi di trattamento per le internate; per quelle che entrano incinte o con bambini è previsto il programma “Educa tuo figlio”, che è diretto dal Ministero dell’Istruzione e a cui partecipano diversi organismi statali tra cui la Federazione delle Donne Cubane, ed è teso a sviluppare un insieme di azioni educative e di cura sociale che garantiscano un adeguato trattamento ai bambini e alle loro mamme, e che coinvolgano anche il loro ambito familiare. Tra gli altri programmi previsti per la rieducazione, ci sono il Programma per lo sviluppo dello sport e il Programma per lo sviluppo della cultura che include attività in relazione alla musica, al teatro e alla danza.
L’ Art.27 del Codice penale cubano descrive lo scopo delle sanzioni che non è solo quello di punire, ma anche quello di rieducare i detenuti ai principi di comportamento onesto verso il lavoro e verso la società, e di prevenire il commettere nuovi delitti, sia da parte degli stessi sanzionati, sia da parte di altre persone.
L’Art. 31.1 dispone che la rieducazione al lavoro e lo stesso lavoro svolto dai reclusi nei penitenziari segua regole e fruisca di diritti: esso è remunerato e se dal lavoro in carcere derivassero invalidità o addirittura morte, la famiglia riceverebbe la pensione corrispondente.
E’ garantita l’assistenza ospedaliera in caso di malattia e la possibilità di aumentare la propria cultura e conoscenza tecnica, il riposo lavorativo settimanale, la possibilità di scambi di corrispondenza con non reclusi, ricevere visite e articoli di consumo e persino l’uso del “padiglione coniugale”. Pure il linguaggio è stato rivisto nelle carceri cubane per evitare terminologie che implicano la degradazione dell’essere umano che sta scontando una pena.
I programmi di trattamento utilizzati dal sistema penale cubano sono basati sul rispetto della dignità della detenuta e sul suo reinserimento nella società. Scontata la pena, lo Stato garantisce a ogni internata un impiego.
Rafforzati dall’analisi dell’avvocatessa María Florencia Palma, siamo convinti che questo ennesimo attacco mediatico a Cuba è frutto di una scelta politica ben precisa: creare una falsa immagine di sistematiche violazioni delle libertà a Cuba, che possano in futuro giustificare un intervento per proteggere i civili indifesi, visto che questo sembra oggi il metodo adottato per liberarsi di governi scomodi (Cuba non ha il petrolio, ma nelle giornate limpide si riesce a vedere il Messico o la Florida!)
Per tornare al nostro amato Rossini, ricordiamo che Don Bartolo all’infido maestro di musica Don Basilio -che gli proponeva per l’appunto di inventare una calunnia che mettesse in cattiva luce il suo avversario e ne sminuisse la figura, facendolo apparire come “uomo infame, un’anima perduta” – risponde: “Eh sarà ver, ma diavolo! Una calunnia è cosa che fa orrore!”.
Evidentemente a due secoli di distanza dalla rappresentazione de “Il barbiere di Siviglia”, la dignità intesa come “nobiltà che l’uomo ha per sua natura, per i suoi pregi” e la morale intesa come “conformità ai principi del giusto e dell’onesto”, sono ormai valori rari che è impensabile pensare di trovare nell’ambito di certe cancellerie o sistemi informativi “embedded” piegati ai disegni e alle direttive di Washington.
Fonti:
1)http://www.cubadebate.cu/noticias/2012/01/23/editorial-de-granma-denuncia-deliberada-manipulacion-politica-tras-muerte-de-preso-comun/
3)http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.htm
a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa