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Atene ha due mesi di tempo per non fallire

Ma non ha affatto risolto il problema finanziario e il rischio di fallimento.

Il capo dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha dato ora anche una dead line: due mesi. “Se ad Atene non si mette realmente mano alle riforme”, precisa Juncker, non ci si potranno attendere «i gesti di solidarietà da parte degli altri». Sembra quasi incredibile, dopo quel che la Grecia è stata costretta a fare.

«Se dovessimo constatare che in Grecia va tutto di traverso», afferma il premier lussemburghese, «allora non ci sarebbe nessun nuovo programma di aiuti, con la conseguenza che a marzo arriverebbe la dichiarazione di fallimento».

Al centro della “critica” sono le privatizzazioni delle aziende di Stato, ritenute ancora troppo timide. Evidente l’interesse di numerose imprese multinazionali per un business considerato “sicuro” in tempi di crisi. Aziende statali, forse non funzionanti nel migliore dei modi, ma al centro di un sistema di servizi in monopolio, ben riparati dalla concorrenza.

Persino l’ex vice presidente della Bce, mandato direttamente da Francoforte ad Atene a “mettere a posto” le cose (proprio come Monti, insomma) avverte che «il confine tra il corretto completamento delle procedure e un impasse è molto sottile». Al termine dell’Eurogruppo telefonico di ieri, Venizelos ha detto che «c’è grande impazienza e pressione non solo dalla troika ma anche dagli Stati dell’Eurozona». In ogni caso, è stato autorizzato il piano per ricapitalizzare le banche greche e le privatizzazioni. Restano ancora da definire due ambiti: la liberalizzazione del mercato del lavoro (proprio come in Italia!) – con l’abbassamento dei salari nel settore privato – e la manovra correttiva di bilancio per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2012.

Va avanti anche la trattativa sulla “ristrutturazione del debito”. I negoziati con i creditori privati – sostanzialmente le banche, in corso da tre mesi – sono bloccati per contrasti sui rendimenti dei bond che dovranno essere offerti ai creditori in cambio della cancellazione del 50% del debito greco. I privati insistono su un rendimento minimo del 4% che limiti le perdite reali delle banche – valutate a circa il 60% del valore dei bond a fronte di un 50% nominale – ma il governo greco (spalleggiato dai paesi della zona euro) e l’Fmi ritegono difficile che possa andare oltre il 3%.
Ma se non ci sarà questo accordo non potrà essere sbloccata la tranche di aiuti europei, che è subordinata all’adozione di nuove misure di austerità. Se non vi sarà un accordo con le banche entro il 13 febbraio, insomma, il prossimo rimborso dei prestiti – fissato per il 20 marzo – potrebbe essere impossibile. A quel punto, la dichiarazione di fallimento della Grecia sarebbe obbligatoria.

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