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Firmato il “Fiscal compact”

«Ora avete il compito di convincere i vostri Parlamenti», ha detto Van Rompuy. E in effetti la frase è rivelatrice del “nuovo ordine mentale” della governance europea. I leader decidono, i Parlamenti vanno convinti, i popoli debbono accettare senza protestare. Il loro parere – i loro interessi – non hanno importanza.

Proponiamo l’articolo di Anna Maria Merlo,  scritto – come suo costume – senza grandi concessioni alle opinioni, perché ad un certo punto è obbligata a sottolineare che ormai nelle leadership del continente “c’è ormai una forte insofferenza per le verifiche democratiche, mentre cresce la rivolta dei cittadini contro l’austerità”.. Una constatazione che andiamo proponendo da tempo, ma che si sta facendo strada – com’è giusto – con la forza dei fatti.

Fiscal Compact contestato e un vertice sottotono

Anna Maria Merlo
PARIGI
Avrebbe dovuto essere il Consiglio europeo di tutte le verifiche, da mesi indicato come un appuntamento cruciale. Ma il vertice che si è aperto ieri sera a Bruxelles, con «meno drammi» dei precedenti, sostiene il presidente della Commissione José Manuel Barroso, vista la relativa calma dei mercati, non affronta nessun nodo centrale. Il vertice dell’eurogruppo, che avrebbe dovuto seguire oggi, è stato annullato: la Germania rifiuta di discutere adesso delle capacità del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, la struttura permanente che dovrebbe succedere al Fesf, il fondo salva-stati. Sulle capacità del Mes – che potrebbe accumulare i 500 miliardi di euro promessi con quello che resta del Fesf (per arrivare a una forza d’urto di 750 miliardi), come chiedono Fmi e Washington – potrebbe essere convocato un vertice straordinario a fine mese.
Oggi, 25 dei 27 paesi della Ue firmano il patto di bilancio, il famoso Fiscal Compact imposto da Angela Merkel, che prevede l’inserimento della «regola aurea» dell’equilibrio di bilancio nelle Costituzioni. Gran Bretagna e Repubblica ceca hanno già rifiutato. La firma solenne dei capi di stato e di governo apre il periodo delle ratifiche nazionali. Ma c’è una sorpresa: il primo ministro irlandese, Edna Kenny, ha annunciato martedì che a Dublino ci sarà un referendum sul nuovo trattato, già a maggio o giugno. La Costituzione irlandese lo impone, anche se le autorità europee avevano sperato di poterlo evitare visto che, tecnicamente, non si tratta di un impegno comunitario ma di un «trattato intergovernativo». A Bruxelles e nelle capitali che contano c’è ormai una forte insofferenza per le verifiche democratiche, mentre cresce la rivolta dei cittadini contro l’austerità: il referendum irlandese irrita (l’Irlanda aveva già votato «no» a Nizza e a Lisbona), alla Grecia ne era stato vietato uno sulle misure di rigore che aveva ventilato l’ex primo ministro Papandreu, ed è accolta con particolare freddezza l’ipotesi di François Hollande – candidato socialista alle presidenziali francesi del 22 aprile e 6 maggio (in testa nei sondaggi) – di «rinegoziare» il trattato che impone austerità, per dotarlo di una parte dedicata allo stimolo della crescita e alla governance.
Sarkozy non ha tempo per far approvare il trattato prima delle presidenziali, mentre il Mes è passato al parlamento francese, ma con l’astensione dei socialisti, che non rifiutano lo strumento di solidarietà, ma lo stretto legame stabilito dalla Germania con il contestato Fiscal Compact. Molte incognite pesano cosi’ sull’entrata in vigore del trattato, che sulla carta sarà operativo quando 12 paesi su 25 lo avranno ratificato.
A causa di queste incognite è stata rimandata la discussione sul Mes: la Germania, principale contribuente, ha legato strettamente l’approvazione del Fiscal Compact al varo del Meccanismo di stabilità, strumento di solidarietà cui potranno accedere solo i paesi che avranno accettato la regola aurea. C’è sempre la Grecia sul tavolo della discussione dei dirigenti europei, che hanno accettato il secondo piano di aiuti di 130 miliardi. Papademos dovrà precisare – soprattutto a Germania, Olanda e Finlandia, che lo pretendono – i dettagli delle 38 «azioni prioritarie di tagli e risanamento» imposte per dare il via libera al piano di aiuti; mentre il fatto che non siano scattati i Cds (l’assicurazione sul rischio default) lascia un po’ di respiro.
A Bruxelles si è aperto però un caso Spagna: Mariano Rajoy, il nuovo primo ministro, preme per ottenere un allentamento delle modalità di applicazione del patto di stabilità. La Spagna, che aveva previsto un deficit del 6%, sarà all’8,5% quest’anno e non riuscirà a ridurlo al 4,4% entro fine 2012, come si era impegnata a fare. Ma la Commissione ha respinto ogni ammorbidimento. Intanto dodici paesi, tra cui Italia, Gran Bretagna e Polonia, chiedono politiche economiche più attente allo stimolo e non solo all’austerità. A immagine di un’Europa senza anima, mentre le proteste delle popolazioni crescono (il 29 febbraio c’è stata una giornata europea contro l’austerità), lo scialbo Herman Van Rompuy sarà confermato per altri due anni e mezzo nella carica di presidente del Consiglio europeo e otterrà anche i galloni di «uomo euro».
da “il manifesto”

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