Scandalo Bo, che coincidenza
Michelangelo Cocco
PECHINO
PECHINO
Dopo il siluramento del «principe rosso» per motivi disciplinari il Partito chiede il «sostegno energico» della popolazione. Per il blogger Michael Anti è un caso «costruito» dal governo REAZIONI Per il Pcc «giusta decisione». Incidenti a Chongqing Nelle stesse ore in cui la tv annunciava le disgrazie politiche di Xilai e quelle giudiziarie della moglie, accusata di aver ucciso un uomo d’affari britannico, nella «sua» città scoppiavano disordini con decine di feriti. Ma le autorità negano ogni collegamento
Gli incidenti sono scoppiati martedì sera, nelle stesse ore in cui prima l’agenzia di Stato Xinhua e poi il Tg delle 23 annunciavano la clamorosa rimozione di Bo Xilai dal Politburo e dal Comitato centrale del partito comunista cinese (Pcc). Decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Chongqing, la megalopoli nel centro del Paese governata da Bo fino al 14 marzo scorso. Gli scontri (decine di feriti lievi dopo l’intervento massiccio delle forze dell’ordine) si sono verificati nel distretto di Wansheng, recentemente accorpato a quello, più povero, di Qijiang. I residenti di Wansheng protestavano, perché l’unione tra i due quartieri avrebbe provocato nel primo una riduzione degli assegni pensionistici e un peggioramento dell’assistenza sanitaria.
Contattati dall’Associated press, funzionari del governo di Chongqing hanno sottolineato che tra il siluramento del leader del Pcc e i disordini non ci sarebbe alcun collegamento diretto, soltanto una coincidenza temporale.
Dai popolarissimi weibo (il twitter cinese) sono state subito bloccate le ricerche con parole chiave come «Wansheng», «Qijiang» e «Chongqing». Il governo di Chongqing sul suo sito internet ha rassicurato i residenti di Wansheng: le loro pensioni e la loro assistenza medica verranno tutelate.
Il giorno dopo l’annuncio dell’indagine per omicidio nei confronti di Gu Kailai, la moglie di Bo, e del siluramento del «principino» (figlio di un leader della rivoluzione del 1949) che sperava di entrare nel Comitato permanente del Politburo, ieri il Pcc ha iniziato a spiegare ai cittadini la sua versione dei fatti, per contrastare le voci che in mancanza d’informazioni attendibili proliferano sul web. E perché bisognerà chiudere presto lo scandalo, per fare in modo che la transizione politica decennale che avrà luogo in autunno con il 18° Congresso, dopo la tempesta scatenata dal caso Bo, avvenga nella maniera più ordinata possibile.
Con un editoriale del Quotidiano del popolo (l’organo ufficiale del Partito) il Pcc ha chiesto alla popolazione un «sostegno energico» per quella che definisce una «decisione giusta», perché «Bo ha violato in maniera grave la disciplina del partito provocando un danno alla causa e all’immagine del partito e dello Stato».
Il governo di Londra ha accolto con favore la decisione d’indagare Gu per la morte di Neil Heywood, 41enne uomo d’affari britannico da vent’anni legato alla famiglia di Bo e trovato senza vita nella sua stanza d’albergo di Chongqing il 15 novembre scorso. «Per noi è molto importante conoscere la verità su questo caso molto inquietante e tragico» ha dichiarato il premier David Cameron, in visita in Indonesia.
Secondo la ricostruzione diffusa l’altro ieri in tarda serata dalla Xinhua, a distruggere la carriera politica dell’ex segretario del Pcc a Chongqing sarebbero state le rivelazioni fatte dall’ex capo della polizia e braccio destro di Bo, Wang Lijun quando quest’ultimo – il 6 febbraio scorso – si rifugiò per dieci ore nel consolato statunitense di Chengdu, dove avrebbe chiesto asilo politico perché minacciato da Bo. Wang avrebbe detto che a uccidere Heywood sarebbero stati Gu e un inserviente di Bo. E che l’omicidio sarebbe maturato dopo che tra Gu e Heywood erano scoppiati dissidi in merito a degli affari economici.
Finora tutte le informazioni su questo che è il caso politico più rilevante degli ultimi anni dopo la repressione di piazza Tiananmen nel 1989, vengono da una sola fonte, le autorità centrali. Secondo Michael Anti, uno dei più conosciuti blogger cinesi, il governo ha addirittura «costruito» il caso Bo. Anti sostiene che esista un momento preciso in cui ha preso corpo la «fonte unica» dietro alle «rivelazioni» sulla moglie di Bo, trasmesse prima attraverso i weibo e, in seguito, dalle inchieste dei giornalisti stranieri e dei blogger cinesi. Nel corso di un incontro con la stampa straniera svoltosi ieri a Pechino, Anti ha ricostruito la diffusione delle «rivelazioni» sulla morte di Heywood. La prima notizia, secondo il blogger, sarebbe stata inviata ad alcuni giornalisti cinesi e stranieri dal cellulare del «super poliziotto» Wang Lijun. Ma quel messaggio, sottolinea Anti, «è stato inviato quando Wang era già detenuto». Quindi qualcun altro, secondo Anti, ha voluto accreditare quelle «rivelazioni» utilizzando il telefono di Wang, conosciuto e ritenuto credibile da molti giornalisti, stranieri e cinesi.
Contattati dall’Associated press, funzionari del governo di Chongqing hanno sottolineato che tra il siluramento del leader del Pcc e i disordini non ci sarebbe alcun collegamento diretto, soltanto una coincidenza temporale.
Dai popolarissimi weibo (il twitter cinese) sono state subito bloccate le ricerche con parole chiave come «Wansheng», «Qijiang» e «Chongqing». Il governo di Chongqing sul suo sito internet ha rassicurato i residenti di Wansheng: le loro pensioni e la loro assistenza medica verranno tutelate.
Il giorno dopo l’annuncio dell’indagine per omicidio nei confronti di Gu Kailai, la moglie di Bo, e del siluramento del «principino» (figlio di un leader della rivoluzione del 1949) che sperava di entrare nel Comitato permanente del Politburo, ieri il Pcc ha iniziato a spiegare ai cittadini la sua versione dei fatti, per contrastare le voci che in mancanza d’informazioni attendibili proliferano sul web. E perché bisognerà chiudere presto lo scandalo, per fare in modo che la transizione politica decennale che avrà luogo in autunno con il 18° Congresso, dopo la tempesta scatenata dal caso Bo, avvenga nella maniera più ordinata possibile.
Con un editoriale del Quotidiano del popolo (l’organo ufficiale del Partito) il Pcc ha chiesto alla popolazione un «sostegno energico» per quella che definisce una «decisione giusta», perché «Bo ha violato in maniera grave la disciplina del partito provocando un danno alla causa e all’immagine del partito e dello Stato».
Il governo di Londra ha accolto con favore la decisione d’indagare Gu per la morte di Neil Heywood, 41enne uomo d’affari britannico da vent’anni legato alla famiglia di Bo e trovato senza vita nella sua stanza d’albergo di Chongqing il 15 novembre scorso. «Per noi è molto importante conoscere la verità su questo caso molto inquietante e tragico» ha dichiarato il premier David Cameron, in visita in Indonesia.
Secondo la ricostruzione diffusa l’altro ieri in tarda serata dalla Xinhua, a distruggere la carriera politica dell’ex segretario del Pcc a Chongqing sarebbero state le rivelazioni fatte dall’ex capo della polizia e braccio destro di Bo, Wang Lijun quando quest’ultimo – il 6 febbraio scorso – si rifugiò per dieci ore nel consolato statunitense di Chengdu, dove avrebbe chiesto asilo politico perché minacciato da Bo. Wang avrebbe detto che a uccidere Heywood sarebbero stati Gu e un inserviente di Bo. E che l’omicidio sarebbe maturato dopo che tra Gu e Heywood erano scoppiati dissidi in merito a degli affari economici.
Finora tutte le informazioni su questo che è il caso politico più rilevante degli ultimi anni dopo la repressione di piazza Tiananmen nel 1989, vengono da una sola fonte, le autorità centrali. Secondo Michael Anti, uno dei più conosciuti blogger cinesi, il governo ha addirittura «costruito» il caso Bo. Anti sostiene che esista un momento preciso in cui ha preso corpo la «fonte unica» dietro alle «rivelazioni» sulla moglie di Bo, trasmesse prima attraverso i weibo e, in seguito, dalle inchieste dei giornalisti stranieri e dei blogger cinesi. Nel corso di un incontro con la stampa straniera svoltosi ieri a Pechino, Anti ha ricostruito la diffusione delle «rivelazioni» sulla morte di Heywood. La prima notizia, secondo il blogger, sarebbe stata inviata ad alcuni giornalisti cinesi e stranieri dal cellulare del «super poliziotto» Wang Lijun. Ma quel messaggio, sottolinea Anti, «è stato inviato quando Wang era già detenuto». Quindi qualcun altro, secondo Anti, ha voluto accreditare quelle «rivelazioni» utilizzando il telefono di Wang, conosciuto e ritenuto credibile da molti giornalisti, stranieri e cinesi.
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L’ANALISI
Un «esperimento» da stroncare, insieme al futuro delle riforme
Angela Pascucci
La sconvolgente vicenda del leader punito svela per un istante i giochi segreti del potere
Dopo quasi un mese di dicerie incontrollate e illazioni assurde, la verità ufficiale sulla rovinosa caduta di Bo Xilai è stata infine calata, con la forza di una pietra tombale sul sarcofago in cui si intende chiudere la vicenda del controverso ex segretario del Pcc di Chongqing, cacciato infine anche dal Politburo e dal Comitato centrale (ma non dal partito). Degradato con disonore, per aver coperto le malefatte della moglie, Gu Kailai, oggi accusata dell’omicidio del britannico Neil Heywood morto di infarto nel novembre scorso a Chongqing. Il faccendiere inglese faceva parte un tempo dell’intima cerchia della famiglia Bo ed era stato socio in affari della intraprendente first lady. All’improvviso i due avrebbero avuto forti contrasti economici.
Una storia da corte imperiale d’altri tempi in salsa hollywoodiana, che suscita più interrogativi di quelli a cui vuol rispondere. Comunque l’inchiesta è in corso e avverrà nel «rispetto della legge», come assicurava martedì il Quotidiano del popolo ma, si può essere certi, le sue conclusioni difficilmente si discosteranno dalle dichiarazioni ufficiali. Restano dunque tutte le curiosità e le ansie dei cinesi, messi in fibrillazione da una vicenda sconvolgente che ha spalancato per un attimo le porte delle stanze segrete in cui il Pcc consuma i propri scontri. La versione ufficiale serra ora ulteriormente quelle porte. I 700 milioni di cinesi che navigano sui mari affollati dei micro blog dovranno farsene una ragione. Tutti i siti più scomodi, quelli della sinistra vicina a Bo, sono stati chiusi già da qualche giorno per un mese, il tempo di raffreddare gli animi. Le pesanti accuse mosse contro di loro, che comportano anni di galera, faranno da ulteriore deterrente.
Il governo cinese intende abbassare così il sipario su una vicenda complessa, finita in cronaca nera ma che la storia consegnerà ai capitoli delle svolte politiche. Perché ci sono pur sempre i 33 milioni di abitanti della municipalità a statuto speciale del Sichuan, che oggi si chiedono frastornati che cosa significa questo esito giudiziario per l’esperimento economico, politico e sociale vasto e complesso in cui sono stati coinvolti dal 2007 con l’arrivo dell’esuberante e carismatico Bo, il «principe rosso» che, tra guerra alla criminalità e rilancio dei canti rivoluzionari, aveva messo in piedi l’ultimo ibrido della sperimentazione cinese. Una nuova versione del cosiddetto «modello cinese» che voleva tenere insieme stato e mercato, imprese pubbliche e private, equità sociale e sviluppo capitalistico. Modi e sostanza dell’esperimento, targato di «sinistra», avevano suscitato nel paese un acceso dibattito, e molte contrarietà. Con tutta evidenza quell’opzione non esiste più, per la leadership attuale e, almeno fino a prova contraria, per quella che si prepara a prenderne il posto in autunno.
Lo ha fatto capire l’accusa infamante di voler far tornare il paese ai tempi caotici della Rivoluzione culturale lanciata contro Bo dal premier Wen Jiabao a chiusura della sessione annuale del Parlamento cinese, il 14 marzo scorso, a poche ore dal primo licenziamento di Bo Xilai da segretario del Pc di Chongqing. Il mistero che, anche dopo le versioni ufficiali dei fatti, circonda le dinamiche scatenate dalla fuga del braccio destro di Bo, Wang Lijun, nel consolato Usa di Chengdu il febbraio scorso, rende difficile capire cosa si agiti dietro le cortine di ferro del potere. Ma pure in questa opacità, non appare credibile lo schema costruito con la caduta di Bo. Da una parte una sinistra nostalgica che vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia, mettendo a rischio grave lo sviluppo del paese; dall’altra un potere in versione Wen Jiabao che invoca riforme politiche per scongiurare il caos incombente (omettendo ancora una volta di dire in che cosa queste dovrebbero consistere mentre si procede a feroci regolamenti di conti). Uno schema che dimostra la fragilità e criticità del sistema, esposto alle sirene di un populismo alla Bo Xilai che ha fatto leva su molteplici questioni aperte: il gap dei redditi, le difficoltà dei migranti in mutazione antropologica, l’insoddisfazione della classe media piccolo borghese che si sente a rischio, l’urbanizzazione esplosiva, la crisi delle campagne attraversate dalle spinte più violente della mutazione del paese, la contraddizione ideologica di un sistema che si dichiara socialista ma espone al peggio del capitalismo le fasce deboli della popolazione.
Ciò non significa che Bo Xilai fosse il messia del nuovo socialismo con caratteristiche cinesi, capace di coniugare Mao e mercato. L’ambiguità del suo esperimento risulta evidente a chi ne analizzi tutti gli aspetti, ben oltre la campagna «cantare il rosso e colpire il nero» che ha attirato l’attenzione. Ma era pur sempre un esperimento in fieri, che abbisognava di tempo per capire dove andasse davvero a parare. Eppure al dunque anche questo ha fatto paura.
La ricostruzione della fine ignominiosa di Bo pone fine alle dicerie ma soprattutto, nel momento in cui si avverte la necessità impellente di un cambio di rotta, tronca ogni discussione sul futuro del paese e mette a tacere uno dei poli dialettici del confronto, quello che dava voce alle questioni sociali più gravi. Un metodo di governo che evidenzia più che mai la sostanziale cecità dei vertici cinesi e getta un’ombra sul futuro.
Resta da capire se questi ultimi sviluppi abbiano visto d’accordo tutte le correnti del Pcc in nome di un’ascesa al potere senza scosse della Quinta Generazione. Gli appelli ufficiali a «unirsi strettamente» intorno al Pc e al suo segretario «il compagno Hu Jintao», ripetuti anche martedì con l’annuncio della cacciata di Bo dai vertici, fanno pensare che qualcuno recalcitri. Ogni leadership agli esordi è debole, e la prossima lo sarà ancora di più. Sulla testa di Bo si è forse firmata una tregua. Quanto durerà?
Una storia da corte imperiale d’altri tempi in salsa hollywoodiana, che suscita più interrogativi di quelli a cui vuol rispondere. Comunque l’inchiesta è in corso e avverrà nel «rispetto della legge», come assicurava martedì il Quotidiano del popolo ma, si può essere certi, le sue conclusioni difficilmente si discosteranno dalle dichiarazioni ufficiali. Restano dunque tutte le curiosità e le ansie dei cinesi, messi in fibrillazione da una vicenda sconvolgente che ha spalancato per un attimo le porte delle stanze segrete in cui il Pcc consuma i propri scontri. La versione ufficiale serra ora ulteriormente quelle porte. I 700 milioni di cinesi che navigano sui mari affollati dei micro blog dovranno farsene una ragione. Tutti i siti più scomodi, quelli della sinistra vicina a Bo, sono stati chiusi già da qualche giorno per un mese, il tempo di raffreddare gli animi. Le pesanti accuse mosse contro di loro, che comportano anni di galera, faranno da ulteriore deterrente.
Il governo cinese intende abbassare così il sipario su una vicenda complessa, finita in cronaca nera ma che la storia consegnerà ai capitoli delle svolte politiche. Perché ci sono pur sempre i 33 milioni di abitanti della municipalità a statuto speciale del Sichuan, che oggi si chiedono frastornati che cosa significa questo esito giudiziario per l’esperimento economico, politico e sociale vasto e complesso in cui sono stati coinvolti dal 2007 con l’arrivo dell’esuberante e carismatico Bo, il «principe rosso» che, tra guerra alla criminalità e rilancio dei canti rivoluzionari, aveva messo in piedi l’ultimo ibrido della sperimentazione cinese. Una nuova versione del cosiddetto «modello cinese» che voleva tenere insieme stato e mercato, imprese pubbliche e private, equità sociale e sviluppo capitalistico. Modi e sostanza dell’esperimento, targato di «sinistra», avevano suscitato nel paese un acceso dibattito, e molte contrarietà. Con tutta evidenza quell’opzione non esiste più, per la leadership attuale e, almeno fino a prova contraria, per quella che si prepara a prenderne il posto in autunno.
Lo ha fatto capire l’accusa infamante di voler far tornare il paese ai tempi caotici della Rivoluzione culturale lanciata contro Bo dal premier Wen Jiabao a chiusura della sessione annuale del Parlamento cinese, il 14 marzo scorso, a poche ore dal primo licenziamento di Bo Xilai da segretario del Pc di Chongqing. Il mistero che, anche dopo le versioni ufficiali dei fatti, circonda le dinamiche scatenate dalla fuga del braccio destro di Bo, Wang Lijun, nel consolato Usa di Chengdu il febbraio scorso, rende difficile capire cosa si agiti dietro le cortine di ferro del potere. Ma pure in questa opacità, non appare credibile lo schema costruito con la caduta di Bo. Da una parte una sinistra nostalgica che vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia, mettendo a rischio grave lo sviluppo del paese; dall’altra un potere in versione Wen Jiabao che invoca riforme politiche per scongiurare il caos incombente (omettendo ancora una volta di dire in che cosa queste dovrebbero consistere mentre si procede a feroci regolamenti di conti). Uno schema che dimostra la fragilità e criticità del sistema, esposto alle sirene di un populismo alla Bo Xilai che ha fatto leva su molteplici questioni aperte: il gap dei redditi, le difficoltà dei migranti in mutazione antropologica, l’insoddisfazione della classe media piccolo borghese che si sente a rischio, l’urbanizzazione esplosiva, la crisi delle campagne attraversate dalle spinte più violente della mutazione del paese, la contraddizione ideologica di un sistema che si dichiara socialista ma espone al peggio del capitalismo le fasce deboli della popolazione.
Ciò non significa che Bo Xilai fosse il messia del nuovo socialismo con caratteristiche cinesi, capace di coniugare Mao e mercato. L’ambiguità del suo esperimento risulta evidente a chi ne analizzi tutti gli aspetti, ben oltre la campagna «cantare il rosso e colpire il nero» che ha attirato l’attenzione. Ma era pur sempre un esperimento in fieri, che abbisognava di tempo per capire dove andasse davvero a parare. Eppure al dunque anche questo ha fatto paura.
La ricostruzione della fine ignominiosa di Bo pone fine alle dicerie ma soprattutto, nel momento in cui si avverte la necessità impellente di un cambio di rotta, tronca ogni discussione sul futuro del paese e mette a tacere uno dei poli dialettici del confronto, quello che dava voce alle questioni sociali più gravi. Un metodo di governo che evidenzia più che mai la sostanziale cecità dei vertici cinesi e getta un’ombra sul futuro.
Resta da capire se questi ultimi sviluppi abbiano visto d’accordo tutte le correnti del Pcc in nome di un’ascesa al potere senza scosse della Quinta Generazione. Gli appelli ufficiali a «unirsi strettamente» intorno al Pc e al suo segretario «il compagno Hu Jintao», ripetuti anche martedì con l’annuncio della cacciata di Bo dai vertici, fanno pensare che qualcuno recalcitri. Ogni leadership agli esordi è debole, e la prossima lo sarà ancora di più. Sulla testa di Bo si è forse firmata una tregua. Quanto durerà?
da “il manifesto”
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