Marinella Correggia
I giovani comunisti criticano gli abusi del regime, ma in caso di intervento internazionale sono pronti a diventare partigianiDAMASCO
Damasco è piena di striscioni e manifesti, in vista delle elezioni del 7 maggio, con le facce di candidati e candidate in posa; insieme ai candidati «indipendenti», altri appartengono a nuovi partiti fra i quali alcuni di opposizione «dialogante», come il Fronte popolare per il cambiamento; altri ancora sono del Fronte nazionale progressista, coalizione di partiti già in parlamento (anche i due comunisti) che finora veniva eletta con lista unica.
Dopo l’ultimo attentato nel quartiere di Merjeh c’è preoccupazione, visti anche i toni bellicosi di Juppé e Obama. Ma su chi ricade la colpa degli scontri in violazione della tregua Onu? Brahim, autista originario di Hama, accredita la versione governativa: l’esercito reagisce ai gruppi armati, non spara su manifestanti disarmati, e «quanto ai morti dei giorni scorsi nella mia città, non è stata l’artiglieria ma un errore dei terroristi: è esplosa una specie di fabbrica clandestina di bombe».
Responsabilità poco chiare
Del resto perfino l’Osservatorio siriano dei diritti umani (a Londra), fonte pressoché unica dei media internazionali, ammette che la responsabilità non è chiara e chiede agli osservatori Onu di indagare. Chiede una inchiesta imparziale su tutte le vittime di questi lunghi mesi di violenze, dal canto suo, la madre superiora palestinese del monastero Deir Mar Yacoub di Qara, Agnès-Mariam de la Croix, molto attiva nella ricerca della verità sulla questione di base: chi uccide chi e perché. «Al monastero abbiano dieci nazionalità diverse; non facciamo politica: i siriani e solo loro devono decidere da chi essere governati». E prosegue: «Da tanti mesi denunciamo le mistificazioni dei cosiddetti attivisti dell’opposizione che spessissimo forniscono notizie false favorendo la guerra civile e l’ingerenza. Abbiamo girato quasi ovunque e abbiamo molte prove, nomi, fatti, liste di morti. Il mondo, le Nazioni unite, ci ascoltino».
Il governo siriano il 30 marzo in una lettera all’Onu ha fatto la lista di 6.143 morti in dodici mesi «a causa dei gruppi armati»: 2.500 soldati e poliziotti, il resto civili, presi in mezzo o uccisi direttamente, secondo il governo, dai terroristi. L’unione dei sindacati (pro governo) ha mandato ai partner internazionali una sua lista di «110 lavoratori martiri, uccisi da bande armate».
«Ci sono 5.000 armati a Dayr az Zor», spiega Salam, giovane del Partito comunista unificato; «Si cerca di provocare l’esercito per ottenere l’intervento armato internazionale; ma se questo succede faremo come i partigiani», afferma, pur criticando gli episodi di violenza da parte del governo «che però non sono rivolti contro manifestanti pacifici, come si dice sempre» (piuttosto, le vittime civili disarmate sarebbero prese fra i due fuochi). Nel ristorante al-Dar («la casa») al centro di Damasco, che nei tempi pre-crisi era pieno di turisti e siriani e ora è privo degli uni e degli altri, Salam ci spiega che la Siria e i suoi lavoratori danneggiati dalle sanzioni («perfino compagnie russe non osano commerciare con noi temendo ritorsioni») dovrebbero mirare all’autonomia, al far da sé, seguendo l’esempio dei da lui molto ammirati Venezuela e Cuba. Sorridendo dice che fra i candidati ci sono molti «Berlusconi» e attribuisce il malcontento diffuso in Siria alle politiche neoliberiste governative degli ultimi anni; ma sostiene che l’opposizione (anche quella interna e non armata) non ha certo programmi antiliberisti anzi, il contrario e «non vuole il dialogo». E fa il gioco delle potenze straniere, «non condannando l’uso delle armi e della violenza contro civili e militari».
Uso politico della religione
È in corso un «uso politico della religione, come nei paesi del Golfo e in Afghanistan», dice il gran Muftì (sunnita) Ahmad Bedreddin Hassoun: «C’è gente che uccide per denaro, denaro che viene da fuori. Ditelo. Sono armati e ricevono molti soldi. Ma un regime va cambiato in modo pacifico». Suo figlio è stato assassinato a Lattakia, fuori dall’università. Il patriarca ortodosso Hazieem ringrazia i paesi Brics e dell’Alba e condanna «l’alleanza Usa-Europa-petromonarchie e Turchia che a forza di menzogne cercano di distruggere un paese di antica e rara convivenza».
La turca Gocke Piskin, sezione giovanile del Partito repubblicano del popolo (all’opposizione) ha incontrato Mehmet Hua insegnante di lingua turca a Damasco, che protesta «contro la pesantissima ingerenza del governo di Erdogan, persecutore di seimila prigionieri politici fra i quali i curdi, e molti giornalisti». A Istanbul partiti dell’opposizione e studenti organizzano il 19 maggio una manifestazione nazionale.
Su molti cestini per l’immondizia in giro per la città, frasi con vernice bianca definiscono «prostituta» l’emittente qatariota al Jazeera.
Questa corrispondenza è stata resa possibile dal viaggio in Siria della «delegazione internazionale di solidarietà antimperialista» organizzato dal Consiglio mondiale della Pace e dalla Federazione mondiale della gioventù democratica (Wfdy). I membri della delegazione provengono da Russia, Venezuela, India, Sudafrica, Turchia, Belgio, Gran Bretagna, Italia e da altri paesi ancora. In tutto 29 partecipanti di 24 nazionalità diverse.
da “il manifesto” del 28 aprile 2012
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