Usa, piano militare «Pacifico»
Michelangelo Cocco
Nel novembre scorso Barack Obama si era autoproclamato primo presidente “pacifico” degli Usa. Ieri il suo segretario alla difesa, Leon Panetta, ha chiarito che cosa significherà nei prossimi anni, dal punto di vista militare, lo spostamento dell’asse strategico yankee verso la regione Asia-Pacifico.
Intervenendo al vertice sulla sicurezza «Shangri-La dialogue», a Singapore, Panetta ha annunciato che, entro il 2020, il 60% della flotta a stelle e strisce stazionerà nell’area del Pacifico. «Entro il 2020 la marina riposizionerà le sue forze (282 navi da guerra, ndr ): dall’attuale 50%-50% tra Pacifico e Atlantico, al 60-40 tra questi due oceani» ha spiegato l’ex capo della Cia. Nel Pacifico andranno «sei portaerei, la maggioranza dei nostri incrociatori, caccia torpedinieri, navi da combattimento e sottomarini».
Obama l’aveva promesso mesi fa e Panetta l’ha ribadito, provando a fugare i dubbi di economisti ed esperti militari: i tagli ai fondi per la difesa (meno 487miliardi di dollari nei prossimi dieci anni) varati per far fronte alla crisi non toccheranno quello che è considerato un ridispiegamento strategico. Panetta ha detto di «respingere completamente» l’idea secondo la quale il ridispiegamento possa rappresentare una minaccia o una sfida alla Cina, perché lo considera «pienamente compatibile con lo sviluppo e la crescita» della Repubblica popolare.
A Pechino, dove il segretario alla difesa Usa è atteso quest’estate, fanno buon viso. «Gli Stati uniti proveranno a migliorare la fiducia strategica con la Cina rafforzando gli scambi militari bilaterali mentre nei prossimi anni sposteranno alcune delle loro navi da guerra nel Pacifico» sdrammatizzava ieri l’agenzia di Stato Xinhua . All’inizio dell’anno Xi Jinping, l’uomo che l’autunno prossimo assumerà l’incarico di Presidente della Repubblica, aveva ammonito che la decisione statunitense «di rafforzare il dispiegamento militare e le alleanze militari, non rappresenta quello che la maggior parte dei paesi nella regione Asia-Pacifico vogliono vedere».
Il ridislocamento illustrato da Panetta – che prevede anche l’aumento delle esercitazioni militari nel Pacifico e l’apertura di nuove basi – rischia di entrare in rotta di collisione col sempre maggiore protagonismo della Repubblica popolare nell’area, anche nei confronti dei principali alleati degli Usa sullo scacchiere Asia-Pacifico: da Taiwan, dove la potenza economica cinese spinge per una riunificazione di fatto dell’Isola alla madrepatria; alle Filippine, ex colonia statunitense con la quale il contenzioso sull’isolotto di Scarborough (Huangyan per i cinesi) si accende di giorno in giorno.
Inoltre, l’area nella quale navigheranno sempre più imbarcazioni da guerra Usa è di vitale importanza per la protezione delle rotte che attraverso il Mare cinese del sud e lo Stretto di Malacca portano in Medio Oriente, da dove Pechino importa la maggior parte del greggio che alimenta il suo sviluppo industriale. Non a caso i cinesi anni stanno potenziando proprio la marina. Sullo sfondo, la crisi del capitalismo accentua la competizione tra potenze, con Washington che spinge per avere accesso ai mercati cinesi e accusa sempre più spesso Pechino di tenere artificialmente bassi i prezzi dei suoi prodotti da esportazione, grazie al sostegno statale alle aziende private, proibito dalle regole della Wto.
da “il manifesto”
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