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Quando un calciatore sta morendo

Mahmoud Sarsak ha 25 anni, è una giovane promessa del calcio palestinese. Dalla Striscia di Gaza, dove è cresciuto, cercava di raggiungere la Cisgiordania e la sua Nazionale per rincorrere un pallone e, insieme, il sogno di rappresentare il suo paese con il calcio. È stato arrestato nel giugno del 2009 e da 3 anni si trova in un carcere israeliano senza accuse ne’ processo. Dopo 81 giorni di sciopero della fame il suo sogno e la sua vita stanno per finire.
 
Il suo nome è Mahmoud Sarsak, e la sua storia è un paradigma. Ha 25 anni, è un calciatore della Nazionale Palestinese.
Una giovane promessa del calcio perché, giovanissimo, ha iniziato ad allenarsi in uno dei luoghi più disagiati del mondo: il campo profughi di Rafah, a sud di una Striscia di Gaza da anni sotto assedio, tra raid aerei, assedio, bombardamenti. 
Racconta il fratello Emad che Mahmoud avesse la stoffa per diventare un campione, e che il primo passo “verso il gol della sua vita” fosse quello di uscire dal ghetto di Gaza e raggiungere i suoi compagni di squadra in Cisgiordania.
La Nazionale Palestinese, primo importante traguardo verso il sogno di giocare in una squadra internazionale, per portare nel mondo quella Palestina non riconosciuta, per rappresentare il suo paese rincorrendo un pallone e, insieme, un ideale di giustizia e libertà. 
La sua storia è un paradigma, perché è quella di tanti ragazzi cresciuti a Gaza che resistono semplicemente continuando a esistere, cercando con ogni linguaggio possibile di raccontare la Palestina e difenderla da chi tenta di cancellarla. Indossando una maglia, magari, o sventolando una bandiera, simboli che almeno nel mondo dello sport dovrebbero poter trovare cittadinanza. 
Aveva la stoffa per essere un campione, e anche il fisico adeguato, 50 kg fa. Prima di passare dal carcere a cielo aperto di Gaza a quello, in cemento armato, di Ramleh, in Israele. 
Il 22 giugno 2009, con le sue valige, Mahmoud Sarsak si dirigeva al valico di Erez, unica porta che collega Gaza ai Territori Palestinesi Occupati, sigillata da Israele. Unico passaggio diretto possibile verso il suo sogno, che si è aperto per portarlo invece verso un’altra prigionia. 
Slegato da gruppi, partiti e fazioni politiche, credeva di non avere niente da temere da quei soldati che controllano il valico. Invece è stato arrestato, condotto del carcere di Ramleh dove, da allora, non è mai potuto uscire. 
Le accuse? Ignote. In 3 anni Mahmoud non le ha mai conosciute, e non ha mai affrontato nessun tipo di processo.
Se per i palestinesi della Cisgiordania è infatti in vigore il regime – illegale – della detenzione amministrativa, in base alla quale Israele può detenerli a tempo indeterminato senza accuse specifiche ne’ processo, per i cittadini di Gaza esiste un valido parallelo: è la “Unlawful Combatant Law” (Legge sui Combattenti Illegali), strumento che consente ad Israele di imprigionarli alle stesse condizioni. Tempo indeterminato, fine pena potenzialmente mai.  
Mahmoud, come molti altri prigionieri prima di lui, 81 giorni fa è entrato in sciopero della fame. Una protesta – l’unica possibile – che o sta uccidendo. E, con lui, il miraggio di una giovane promessa del calcio di poter inseguire il suo pallone e il suo sogno. 
Spiega il legale, Mohammed Jabarin, che il termine per il suo arresto è stabilito al 22 agosto prossimo. Ma non ci sono garanzie che le autorità israeliane non lo rinnovino di altri 6 mesi, come hanno sempre fatto nel corso di questi 3 anni. 
Con lui tanti altri, che solo il 14 maggio scorso avevano siglato un accordo – già ripetutamente violato da Israele – per il miglioramento delle condizioni cui sono sottoposti i prigionieri politici palestinesi. Anche Akram Rikhawi, con cui Mahmoud ha firmato l’appello al governo palestinese e alla comunità internazionale perché agiscano, e non aspettino “di vederci morire”. 
Il 5 giugno scorso alcuni attivisti francesi, in sostegno alla battaglia di Mahmoud, hanno simbolicamente occupato la sede della Federazione di calcio francese.
Come spesso accade, è stato risposto loro di andare a protestare in “altra sede”. Un “passaggio palla” ben noto agli attivisti internazionali che si battono per i diritti del popolo palestinese, in una partita ad armi impari che vede sempre il più forte segnare. 
La storia di Mahmoud è un paradigma soprattutto perché non fa notizia. Se il club per il quale gioca fosse una squadra quotata, sostenuta da migliaia di tifosi; se Sarsak fosse una delle tante super-star calcistiche mondiali, se non fosse palestinese, se non fosse stato arrestato da Israele, la sua sarebbe una notizia da prima pagina.
Mahmoud è un giovane calciatore che sta giocando la partita della vita con uno sciopero della fame che lo ucciderà nel silenzio internazionale. Una promessa cui è stato vietato di segnare, di giocare, di sognare. 

* www.osservatorioiraq.it 

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