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Egitto. L’insediamento di Morsi alla presidenza

Il suo discorso ha messo in evidenza come non sarà semplice, per l’Occidente, maneggiare la nuova situazione. Il resoconto dell’Ansa, in modo plastico, restituisce questa diffidenza e questa difficoltà.

Riconoscimento dell’autorità e dei diritti del ‘rivoluzionario’ popolo egiziano, al quale ”è impossibile portar via il potere”, promesse di portare giustizia sociale, libertà e indipendenza nei rapporti con l’estero, nonché di impedire qualsiasi discriminazione tra tutti gli egiziani. Così il neo eletto presidente egiziano, il fratello musulmano Mohamed Morsi, ha giurato davanti a centinaia di migliaia di cittadini riuniti a piazza Tahrir.

Nel luogo simbolo della rivoluzione del 25 gennaio 2011, con tanta concessione al populismo, l’ingegnere Morsi ha dribblato con astuzia – ma con scarsi effetti pratici, almeno in apparenza – il veto impostogli di fatto dalla giunta militare, al potere fino a domani, di giurare davanti al parlamento a maggioranza islamica, sciolto per una sentenza della Corte Costituzionale. Ed è proprio davanti a questa corte che domani Morsi giurerà formalmente, ripetendo la formula che ha anticipato oggi davanti alla folla di Tahrir: ”Curerò gli interessi del popolo e proteggerò l’indipendenza della nazione e la sicurezza del suo territorio”. Rivolgendosi ai musulmani ed ai cristiani d’Egitto il nuovo presidente – il primo non militare dopo 60 anni – ha garantito di voler contribuire a creare ”uno stato civile, nazionalista, costituzionale e moderno”, mettendo fine a torture e discriminazioni.

Ha centrato così alcuni degli obiettivi per cui si dice abbia ricevuto un pacchetto di voti anche da una parte dei circa 8-10 milioni di copti, che da sempre denunciano una condizione di paria, mentre una gran parte di quella minoranza avrebbe votato a favore del ‘militare’ Ahmed Shafiq, giudicato ‘una migliore garanzia’ dei loro interessi.

Applaudito e acclamato ripetutamente dal popolo di Tahrir, che lo avevo accolto con un boato di esultanza, sventolando tricolori egiziani nero-bianco-rossi e cantando l’inno nazionale, Mohamed Morsi ha concesso ad una parte della piazza, ed in particolare, si pensa, agli estremisti salafiti l’impegno di ”lavorare da domani per la liberazione di tutti i detenuti arrestati dai militari” (e cioe’ i protestatari di piazza Tahrir) e addirittura dello sheikh cieco Omar Abdel Rahman, che sconta in carcere a New York una condanna all’ergastolo per coinvolgimento nell’attentato al World Trade Center del 1993.

Con un gesto plateale a metà discorso l’ingegnere presidente si è aperto la giacca, ed ha mostrato di non avere giubbetti protettivi, perche’ – ha detto – ”non ho paura di nessun altro che di Dio” e perché ”voi siete l’unica autorità, voi siete al disopra di ogni potere e voi mi avete voluto alla guida del paese”.

Morsi ha quindi promesso di costruire un’economia forte per di alleviare le sofferenza degli strati più poveri. Tornando ai riconoscimenti di dovere, ”non ci sarà alcuna differenza per me tra chi mi ha votato e chi non lo ha fatto, curerò i loro interessi in modo equo, così come rendo omaggio ai martiri di Tahrir, alle loro famiglie ed ai feriti che bisogna aiutare”. ‘

‘Sono diventato responsabile delle decisioni per vostra scelta e con la vostra autorizzazione, e non cederò i miei poteri di presidente perché non è mio diritto farlo”, con evidente riferimento alle ultime modifiche costituzionali decise dai militari per ridurre i poteri della massima carica dello Stato prima che i risultati elettorali proclamassero la sua vittoria su Shafiq. ”Rivoluzionari…liberi….continueremo questo nostro cammino”: è questa la frase con cui aveva esordito e con la stessa ha chiuso il suo discorso, durato circa mezz’ora.

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