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A Tampa parla la pancia della destra americana

Le premesse erano quelle peggiori: un gruppo di invasati con il cappello da cow-boy che tirano noccioline a una cameraman di colore della Cnn, gridandole “animale, animale!”. Sembra uno stereotipo sulla destra più becera e razzista, invece è accaduto davvero, a Tampa, durante il primo giorno della Convention dei repubblicani Usa. 
E le voci che arrivano da Oltreoceano sono un po’ tutte così, la cerimonia d’incoronazione di Mitt Romney alla candidatura per la Casa Bianca è cominciata solo ieri, ma la raccolta di aneddoti è già notevole. Siamo abituati ai ‘redneck’ con la camicia a quadrettoni, le corna di bufalo sulla macchina e i cappelli texani in testa, ma scoprire ogni quattro anni che queste immagini corrispondo a verità fa sempre un certo effetto. 
Mattatore assoluto è stato un Clint Eastwood controfigura dell’Ispettore Callaghan che fu: “I politici sono i nostri dipendenti – dice con lo sguardo perso nel vuoto –, ma se io dico che Obama è mio, subito divento un razzista pro-schiavitù”. Poi la trovata da uomo di spettacolo più che navigato, della serie che Beppe Grillo è un dilettante. L’82enne Clint si abbandona a se stesso e inscena una conversazione con una sedia vuota, sulla quale il pubblico dovrebbe immaginare che ci sia seduto Obama. Il risultato, però, è grottesco. Il vecchio Callaghan fa domande e si dà risposte da solo, parla delle lacrime il giorno in cui il presidente nero vinse le elezioni e delle lacrime dei disoccupati oggi, parla di Guantanamo e delle guerra di Iraq e in Afghanistan. Il pubblico è in visibilio, ma non ricorda – o finge di non farlo – chi ha deciso di imbarcarsi in quelle guerre e chi ha deciso che la tortura fosse un modo umano per condurre gli interrogatori.
C’è Paul Ryan – “vicepresidente di sfondamento” come l’hanno definito – con il compito di scaldare le folle elecando i principi basilari della Reaganomics – roba ormai di trent’anni fa e stiamo vedendo in questi mesi quali sono i suoi frutti – e sostenendo comunque che “Obama vuole navigare con il vento di ieri”. Ma il piatto forte di Ryan riguarda il fisco: tagliare, tagliare, tagliare. Via le tasse e via la spesa pubblica, in un gioco al ribasso che, nel segno della tradizione miltonfriedmaniana si risolverebbe grazie al provvidenziale aiuto della “mano invisibile del mercato”, il deus ex machina per eccellenza, quel principio in base al quale le cose si risolveranno da sé, basta aspettare. Un gradino sopra Babbo Natale, praticamente.
Ma il più atteso era proprio Mitt, il Romney dei sogni più reconditi della destra americana, colui che dovrà vincere, convincere e poi pure governare.
“Da americano – spiega – speravo che Obama avesse successo, ma ci ha deluso. Ora è il momento di rialzarsi e dire: sono un cittadino di questa grande nazione e voglio qualcosa di meglio per me e per i miei figli. E’ il momento di riprenderci la promessa dell’America”. 
Le promesse: “Dodici milioni di posto di lavoro”, “i giovani avranno una speranza”, “gli anziani non devono temere per la loro pensione” e comunque “riprendiamoci la Casa Bianca”, che fa sempre un certo effetto. La questione è semplice, tutto sommato: io, Mitt Romney, ho creato milioni di posti di lavoro con la Bain Capital, e ora posso fare lo stesso con questo Paese. Per altre informazioni sul concetto di “governo azienda” rivolgersi agli amici italiani.
Altro grande tema è quello della presunta “debolezza degli Usa” causata dai democratici nelle loro visite all’estero. L’immagine di Obama che si scusa in giro per il mondo della politica estera americana non va giù al popolo di Tampa: “Non contrasta l’Iran e il suo nucleare”, “ha buttato in mare alleati come Cuba”, “ha dato a Putin ogni flessibilità – pausa enfatica –, ma con me Putin non avrà tutta questa flessibilità”. 
La sfida insomma, è lanciata, Romney ha scaldato il suo popolo in vista di una delle presidenziali meno entusiasmanti della storia americana. Eppure la posta in gioco sarebbe altissima, la crisi si fa sentire ovunque tra New York e Las Vegas, ma la gente pare delusa. Il movimento Occupy ha seriamente minato la credibilità dei fondamenti della prima potenza mondiale e l’indecisione regna sovrana, se poi aggiungiamo che l’affluenza è tradizionalmente bassa… Certo, il clima teso è un punto a sfavore soprattutto per Obama – che, ad ogni modo, gode ancora di un certo margine di vantaggio –, ma con un braccio destro come Romney, forse, era meglio nascere monchi.

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