Signor Baran lei ha lanciato sospetti su una Gladio turca per l’assassinio delle tre attiviste kurde a Parigi. Il giornalista Ferda Çetin afferma che il governo di Ankara predispone “premi” per pagare omicidi di quadri storici del movimento kurdo. Come si conciliano queste ipotesi con le trattative in corso fra emissari del premier Erdoğan e Öcalan?
Anche a noi questa sembra una contraddizione: come si può parlare di dialogo e di fatto sabotarlo promettendo denaro per attaccare i militanti del Pkk? Il comportamento di Erdoğan appare tutt’altro che onesto. Nel 2002 aveva dichiarato che avrebbe trovato una soluzione per la questione kurda. Dieci anni dopo ha ordinato di assassinare a Roboski 34 civili, 17 erano minorenni. Oggi dice che vuole un accordo ma non effettua nessuna proposta concreta, quindi sopraggiungono nuovi omicidi addirittura in una capitale europea. Murat Sahin, ex agente del Mıt che vive in Svizzera ha recentemente affermato che il sospettato per il massacro parigino, Ömer Güney, stava lavorando per l’Intelligence di Ankara.
Crede che i negoziati andranno a buon fine o falliranno?
Il mondo si sta accorgendo della realtà kurda anche grazie all’impegno e al sacrificio carcerario di Öcalan. Nessuno può negare l’esistenza di quaranta milioni di kurdi e del Kurdistan, nelle carceri turche ci sono diecimila prigionieri politici. Abbiamo avviato una campagna di raccolta firme per la libertà il leader storico della nostra resistenza, l’iniziativa si diffonde ovunque, ultimamente in America Latina. Ora la situazione si rovescia e subentra una questione turca, dovremmo dunque chiedere se i negoziati andranno bene per la Turchia. Se la sua popolazione vorrà, come accadeva un tempo, vivere in pace con la comunità kurda la risposta sarà sì. I kurdi non hanno niente da perdere, sarà il governo turco a gettare al vento un’occasione lasciando cadere questi negoziati.
La piattaforma di confronto, la Road Map predisposta dal leader del Pkk tre anni or sono, è tuttora valida?
E’ valida ed è un’importante risorsa. Il nostro desiderio è che tutti la leggano per comprendere gli sforzi attuati da Öcalan in favore d’una soluzione pacifica.
In essa al modello ottocentesco dello “stato-nazione”, che sopravvive nel mondo globalizzato, si contrappone il concetto di “nazione democratica” multi etnica, multi religiosa, multi culturale. E’ questo il futuro indicato per il popolo kurdo?
I kurdi nel corso della storia hanno sempre vissuto secondo un orientamento multi etnico, multi religioso e multi culturale. E’ questo uno dei motivi per cui non hanno creato uno “stato-nazione”. Il carattere dello stato-nazione è agli antipodi dei tratti distintivi kurdi. Il nostro popolo non potrà mai occupare un territorio e assimilarlo come propria nazione. Lo “stato-nazione” assume una struttura nazionalistica che è lontana dalla mentalità kurda. Porto ad esempio la Costituzione turca: è basata sul principio kemalista e nazionalista, ma trova d’accordo anche l’attuale governo islamista. Erdoğan sostiene d’essere contro il separatismo però durante i suoi interventi pronuncia sempre lo slogan: “una nazione, un popolo, una bandiera”. Esalta il separatismo e non vuole riconoscere la realtà di altri popoli, lingue, culture, colori presenti nella penisola anatolica.
In un pamphlet sul “Confederalismo Democratico” Öcalan s’esprime contro l’ipotesi di uno stato kurdo. Si tratta di una critica al “piccolo Kurdistan” creato in Iraq?
Il Confederalismo Democratico rappresenta una critica al diffuso “sistema stato”. Osservando le carte del Medio Oriente appare chiaro che i confini delle attuali nazioni siano il frutto delle scelte del capitalismo coloniale. Ognuno ha il suo “piccolo stato” o uno “stato di altra grandezza”. Già oggi esistono modelli confederalistici, l’Unione Europea è un esempio, il suo problema è di non essere abbastanza democratica. Ecco perché Öcalan unisce il concetto Democratico alla visione confederalistica. Democrazia vuol dire rappresentare l’opinione del popolo. Ma oggi funziona così? Ancora un esempio: alcuni importanti Paesi membri della Nato stanno occupando altre nazioni. Quando si coinvolge il proprio Paese nell’occupazione d’un altro territorio si prende una decisione gravissima. Politica prima che militare. L’ingente denaro per provvedere alla missione proviene dal contributo finanziario di tutti i cittadini. Quante di queste importanti decisioni rappresentano veramente il volere del popolo? Se s’indicesse un referendum su questi interventi difficilmente i governi otterrebbero il consenso popolare. Nell’ipotesi d’un “piccolo-Kurdistan” abbiamo bisogno di discutere di che tipo di “piccolo-kurdistan” si tratti. Noi pensiamo a un Kurdistan democratico dove il governo locale sia più forte e l’opinione delle persone venga presa in considerazione in ogni decisione. Niente a che vedere con un “Kurdistan-stato” viziato dalla centralizzazione. I sistemi centralizzati non garantiscono la democrazia.
La Road Map fa anche riferimento a componenti kurde definite collaborazioniste che vengono distinte dal movimento di resistenza. Chi sono queste forze? Quali progetti sostengono?
A differenza del movimento di resistenza queste componenti non hanno mai compreso la realtà del Kurdistan. Hanno pensato che i kurdi si sarebbero liberati ottenendo qualche piccolo diritto e, secondo una visione riformista, pensano che ciò possa bastare. Tali forze sono diventate una “versione governativa dei kurdi”. In un certo senso uno strumento per opprimere il movimento di resistenza che sapeva esattamente cos’era la realtà del Kurdistan. Non sono riuscite a rinnovarsi ideologicamente e non sono riuscite a proteggere neanche i valori nazionali kurdi. Ci sono 77 kurdi nel governo targato Akp. Quanti di loro hanno proposto la questione kurda nel dibattito parlamentare? Nessuno. Costoro non hanno speso una parola sul genocidio di Roboski. Questi signori sono zombie, hanno messo la testa sotto la sabbia e pensano di non essere osservati. Una scelta individuale oppure fatta a nome di qualche partito. L’abbiamo visto in passato, lo vediamo tuttora. Ma noi guardiamo avanti.
Sarà possibile confederare le comunità kurde di Turchia, Siria, Iraq e Iran? Il piano non rischia di rimanere una splendida utopia di fronte al panorama della realtà geopolitica attuale e anche d’una prossima generazione?
I kurdi hanno vissuto in confederazione con altre popoli in un percorso storico che abbraccia diversi imperi prima che il sistema statalista si diffondesse. Potremo farlo ancora. La realtà geopolitica esistente mostra le smanie e le ruberie capitaliste su quella terra. La volontà di creare caos tramite le guerre, spargendo sangue innocente. I kurdi non vogliono partecipare allo scempio che sta accadendo in Siria. Insisteranno sui princìpi dell’autonomia democratica nel luogo in cui vivono e proporranno il Confederalismo Democratico che varca i confini degli stati.
L’analisi di Öcalan pone al centro un’indubbia critica e una lotta al capitalismo. Su quale sistema di risorse potrebbe basarsi l’economia della Confederazione che si troverebbe in concorrenza sia con gli stati-nazione sia col sistema mondiale del commercio?
La mentalità attuale sostiene un sistema monopolistico. Il Confederalismo Democratico si focalizza su sistemi cooperativi che soddisfano i bisogni della popolazione e condividono il surplus di produzione. Il modello capitalista si focalizza su un monopolio che soddisfa i bisogni delle grandi compagnìe e “risparmia” sul surplus di produzione mettendolo nelle proprie tasche e non condividendolo. Non si può costruire un buon sistema economico se le risorse di un’area non sono protette a beneficio del popolo. In Kurdistan c’è molto petrolio e altre risorse che attraggono parecchie società internazionali. Tali risorse di chi soddisfano i bisogni? Di nessuno visto che il prodotto viene esportato e sarebbe giusto dire rubato. Le risorse agricole di questo mondo potrebbero sfamarne tre. Eppure in Africa la popolazione muore di fame. L’economia nei sistemi Confederali condivide le risorse in maniera transnazionale differenziandosi dai sistemi-stato che mantengono le risorse all’interno dei loro stessi confini.
L’autonomismo democratico di alcuni gruppi kurdi si distingue per un impegno pacifista, l’addio alle armi prospettato da Öcalan, e richiesto a gran voce dai negoziatori turchi, avvicinerà il Pkk ad altre componenti del panorama kurdo?
Il Pkk s’è dotato d’una struttura armata per proteggere il popolo dalla repressione, questa struttura continua a esistere perché i kurdi vengono tuttora attaccati. In Turchia il terrorismo di stato è una realtà. I negoziatori turchi dicono: “Arrendetevi”. E’ una proposta arrogante e inaccettabile perché l’Autonomia Democratica prevede princìpi di autodifesa. Ogni società ha il diritto all’autodifesa. Chiedere al Pkk di rinunciare a difendersi è contro la logica naturale. Öcalan ha proposto numerosi appelli per un cessate il fuoco ma i governi turchi, tenuti da vari premier, hanno sempre risposto aumentando le operazioni militari. Tutto ciò non porta a un negoziato bensì a una catena di assassinii. Cos’è cambiato dal 1984 data d’inizio della lotta armata? Nulla. L’attuale Ministro degli Interni turco ha ammesso che il governo ha utilizzato più di 400 miliardi di dollari da quella data esclusivamente contro il Pkk. E cos’è cambiato nella Costituzione che risale al 1982? Sono per caso stati riconosciuti lingua, identità, cultura, storia kurde? e i genocidi perpetrati contro questo popolo? Ogni volta che i kurdi hanno teso una mano Ankara ha puntato una pistola. Quando Öcalan dice: “Deponiamo le armi e iniziamo un dialogo” intende un’azione reciproca che non può provenire da una sola parte. Se il governo insiste con le operazioni militari e chiude le porte agli attivisti politici legali il Pkk continuerà la lotta come prima. Se non gli viene fornito un palcoscenico politico non avrà alternative.
Il programma di “Società Democratica” punta su tematiche simili al progressismo occidentale: liberazione sessuale, cultura, arte e bisogni giovanili, difesa dell’ecosistema, lotta all’inquinamento e al capitalismo anti ecologico. E’ questa la via?
Una società democratica può essere creata esclusivamente con una vita ecologica. Gli elementi base per una società pulita sono anche elementi etici, occorre capire bene qual è il reale equilibrio dei diritti collettivi e individuali e chi e cosa sta minacciando tali diritti. Il mondo globalizzato si basa su una mentalità liberalista che non ci sembra la migliore soluzione per una società ecologica. Perché la mentalità liberalista si focalizza sugli interessi personali, non su quelli collettivi. Presta attenzione solo alle questioni materiali tralasciando quelle morali. Indica una strada che tende a isolare l’individuo dalla comunità. Personalmente ho vissuto vent’anni in uno degli stati col migliore welfare al mondo: la Norvegia. Lì ci sono alti tassi di suicidi fra i giovani perché i ragazzi non si sentono più parte della società. Faccio un altro esempio: il 51% della popolazione europea è costituito da donne. Quante sono rappresentate sulla scena politica e quante purtroppo risultano sfruttate dal business della prostituzione o dell’immagine commerciale nell’Europa dei “diritti umani democratici? Quando parliamo d’una società ecologica non ci riferiamo solo all’ambiente e all’aria pulita. In una società ecologica ci si deve sentire responsabili e moralmente a posto, è senza senso preservare la natura se non ti senti parte di essa. Se parlamenti e governi consentono alle compagnìe capitalistiche d’usare il genere femminile come il più grande meta-prodotto è davvero privo di senso sostenere che le donne sono libere. E’ una questione di mentalità. Nei discorsi d’ogni giorno su ciascun argomento prevale un punto di vista maschile. Anche nel linguaggio molti sostantivi vengono usati al maschile per riferirsi a una donna. Molti partiti dicono: “Prima le donne” ma finiscono per avallare una visione maschile della vita e della società. Tutto ciò rappresenta una sorta di omicidio della società ecologica. Ecco perché il femminicidio prosegue imperterrito: è il solo modo con cui il capitalismo può uccidere una società democratica.
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