Era prevedibile che l’attentato del 2 febbraio all’ambasciata degli Stati Uniti ad Istanbul, costato la vita all’attentatore suicida e ad una guardia turca e rivendicato dall’organizzazione marxista Dhkp-C avrebbe fornito una ulteriore scusa al regime turco per intensificare una repressione contro i gruppi dissidenti di sinistra già ampiamente rafforzata negli ultimi anni.
Questa mattina migliaia di agenti di polizia sono stati sguinzagliati in 28 province del paese a caccia di 167 attivisti e militanti di organizzazioni politiche e sociali della sinistra marxista e radicale nei confronti dei quali la magistratura ha spiccato mandati di arresto con l’accusa di far parte o sostenere le attività del Fronte di Liberazione Popolare Rivoluzionario. Alcune decine di arresti, informa il governo turno, sarebbero già stati eseguiti, in particolare a Izmir (Smirne) ed in altre località della costa turca.
Nel mirino della maxiretata non solo attivisti politici ma anche intellettuali, giornalisti e sindacalisti come quelli aderenti al Movimento dei Pubblici Dipendenti Rivoluzionari. Ad Istanbul centinaia di poliziotti hanno assaltato la sede nazionale del Kesk, uno dei più forti sindacati nazionali operanti nel settore del pubblico impiego. Secondo i media turchi sarebbero stati arrestati anche un docente universitario e alcuni funzionari statali.
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