Il grande problema dei paesi occidentali che sostengono i ribelli siriani è stato, finora, quello di sostenerli economicamente e soprattutto di rifornirli di armi senza esporsi troppo. In tempi di crisi nera e di disoccupazione alle stelle alcune opinioni pubbliche potrebbero non gradire lo sperpero di miliardi di euro per finanziare bande di miliziani oltretutto spesso egemonizzate da gruppi islamici fondamentalisti se non direttamente da Al Qaeda o da altri network jihadisti. Di qui le ripetute dichiarazioni, soprattutto da parte statunitense, sulla necessità di sostenere i ribelli ma di evitare che le armi finiscano in mano ai fondamentalisti islamici. Un discorso di copertura, ovviamente. Perché se anche USA, Gran Bretagna e Francia fossero davvero selettivi nell’inviare rifornimenti alle opposizioni armate siriane, è da tempo che l’Els e le altre milizie sono controllate o comunque infiltrate dagli islamisti appoggiati dalle petromonarchie del golfo o da Ankara.
L’escamotage spesso utilizzato per alzare una qualche cortina fumogena sui rifornimenti di armi ai ribelli siriani è stato quello di utilizzare soggetti terzi. La Turchia soprattutto, nei cui campi si addestrano e armano le milizie. La Giordania, il Libano e altri paesi arabi. Ed ora anche alcuni paesi balcanici, dove le armi risalenti agli ultimi conflitti fratricidi non mancano di certo e dove anche trafficanti ed emissari della Nato hanno campo libero. A parlarne è stato recentemente soprattutto il quotidiano statunitense New York Times, che con dovizia di particolari ci ha anche spiegato che paesi che si sono combattuti ferocemente in nome della propria identità etnica, nazionale e religiosa, ora sono ‘alleati’ – forse inconsapevolmente, chissà – nell’armare i network jihadisti in Siria. Secondo il Nyt però dietro l’operazione di triangolazione non ci sarebbero gli Stati Uniti, almeno non direttamente, ma la sempre più invadente e attiva Arabia Saudita che rifornirebbe i ribelli siriani soprattutto con armi croate, che arrivano a destinazione
passando per la Giordania. Secondo il quotidiano statunitense Riad acquista gli armamenti – risalenti ai conflitti balcanici degli anni ‘90 – da alcuni intermediari in Croazia, che poi vengono imbarcati su aerei Ilyushin 76 e trasportati in Giordania da dove, via terra, raggiungono poi le postazioni dei miliziani in Siria. Interessati soprattutto a ricevere i missili tipo-stinger, preziosi per abbattere caccia ed elicotteri, e pezzi di artiglieria leggera che permettono di contrastare i carri armati di produzione russa in dotazione all’esercito regolare. Ufficialmente i paesi dell’Unione Europea aderiscono all’embargo delle armi nei confronti dei ribelli, ma secondo il quotidiano croato “Jutarnji list” ci sono dei documenti filmati che provano che i miliziani siriani stanno utilizzando RPG e M79 di fabbricazione croata, e mostrerebbero anche che non esistono dei veri controlli lungo i canali illegali che portano le armi in Siria. E tanto per aumentare i sospetti, proprio in questi giorni il governo di Zagabria ha ritirato i propri caschi blu di stanza nel Golan, territorio siriano occupato illegalmente da Israele. Secondo lo “Jutarnji list” il funzionario croato che avrebbe ideato e che starebbe coordinando la triangolazione tra Croazia, Arabia Saudita e Stati Uniti sarebbe nientemeno che l’ambasciatore di Zagabria negli Stati Uniti, Josko Paro.
Ma l’Arabia Saudita non è la sola potenza a rifornire di armi i ribelli, tentando così di fare pressione su una parte dell’amministrazione USA ritenuta troppo timida su questo punto. Secondo il sito israeliano Debka, vicino ai servizi segreti militari di Tel Aviv, gli estremisti islamici siriani sarebbero riforniti anche da gruppi del Kosovo e della Bosnia legati ad organizzazioni jihadiste internazionali. Le armi in questione, anche pesanti, verrebbero contrabbandate via mare con l’aiuto della mafia albanese.
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