Sorridevano ieri i capi dell’opposizione siriana in apertura dei tre giorni di colloqui che avranno a Istanbul. Erano soddisfatti per gli esiti della riunione ad Amman degli 11 Paesi, Usa in testa (ma c’è anche l’Italia), che compongono il nucleo principale dei cosiddetti «Amici della Siria» e che mercoledì, di fatto, hanno buttato nel cestino dei rifiuti l’intesa per la conferenza internazionale sulla Siria – il prossimo mese a Ginevra – raggiunta dal Segretario di Stato John Kerry e dal ministro degli esteri russo Lavrov.
Se Usa e Russia, appena qualche giorno fa, avevano deciso di andare alla conferenza senza chiedere l’uscita di scena del presidente Bashar Assad prima della «transizione politica» in Siria, in Giordania gli «Amici della Siria» e, quindi, lo stesso Kerry, hanno deciso l’esatto contrario. Assad deve farsi da parte immediatamente, come desiderano l’opposizione siriana (o gran parte di essa) e, soprattutto, la Turchia e il Qatar.
Una dimenticanza di parte
Gli «Amici della Siria» hanno anche chiesto l’uscita immediata dalla Siria dei guerriglieri del movimento sciita libanese Hezbollah (che l’Europa si accinge a proclamare «organizzazione terroristica», come chiede Israele) e di quelli iraniani schierati con Damasco, dimenticando i jihadisti ceceni, libici, egiziani, tunisini e di molti altri paesi che combattono dalla parte dei ribelli. «È un comunicato molto positivo (quello degli «Amici della Siria», ndr), in ogni caso alla conferenza di Ginevra noi andremo solo con l’uscita di scena immediata di Assad», ha commentato un portavoce dell’opposizione siriana, Louay Safi.
Nel disinteresse generale ad Amman si è deciso che la soluzione per la Siria sarà la guerra. Assad non ha alcuna intenzione di farsi da parte prima della scadenza del suo mandato nel 2014 e certo non lo farà prima dell’avvio dell’ipotetica «transizione politica» disegnata da Kerry e Lavrov. A maggior ragione non uscirà di scena ora che l’Esercito governativo siriano è all’offensiva nel Sud e dell’Ovest del Paese e ha, o avrebbe, conseguito successi significativi. Da parte loro anche Qatar e Turchia, sponsor dei Fratelli Musulmani e dell’Esercito libero siriano, e l’Arabia saudita che sostiene i jihadisti del Fronte al Nusra, credono soltanto in una soluzione militare e continueranno a spingere per un intervento internazionale (ossia degli Usa), a cominciare dall’imposizione di una «no-fly zone» per togliere alle Forze Armate siriane la superiorità aerea.
La guerra perciò va avanti e si combatte per il controllo della regione di Qusayr, una porzione di territorio siriano tra Homs e la Valle della Bekaa libanese di eccezionale importanza strategica che i ribelli hanno conquistato oltre un anno fa. L’Esercito siriano, sostenuto da centinaia di combattenti delle unità di elite del movimento libanese Hezbollah – che giustifica la sua partecipazione alla battaglia di Qusayr con la necessità di “difendere” le migliaia di sciiti di origine libanese che vivono in quella porzione di territorio siriano -, nei giorni ha fatto alcuni rapidi progressi, grazie anche al blocco sul confine libanese dei canali di traffico di armi e di ingresso di miliziani sunniti. La riconquista di Qusayr porterebbe, con ogni probabilità, le forze governative a recuperare il controllo di tutta Homs e di Rastan.
25 mila civili in trappola
Tuttavia i ribelli mantengono posizioni importanti nella città ridotta in macerie in molte zone e dove sono intrappolati almeno 25 mila civili. Mercoledì l’opposizione siriana ha esortato i suoi miliziani in tutto il Paese a «correre in soccorso di Qusayr» e di attaccare i guerriglieri di Hezbollah. I combattimenti più intensi avvengono in queste ore lungo la strada che porta al piccolo aeroporto di Dabaa. Fonti indipendenti prevedono almeno un’altra settimana di combattimenti prima che la battaglia possa dirsi conclusa a favore dell’Esercito governativo. E l’esito però potrebbe non essere scontato se davvero a Qusayr riusciranno ad affluire altri miliziani dell’opposizione, provenienti dalle zone circostati di Yabroud e Qalamoun.
Nel frattempo si moltiplicano le morti tra gli schieramenti opposti. I ribelli armati uccisi a Qusayr sino ad oggi sarebbero oltre cento e decine di caduti si registrano anche tra i guerriglieri di Hezbollah che sta giocando una difficile partita anche al suo interno dove non mancano voci contrarie all’intervento in Siria.
Rafiq Nasrallah, un analista politico di Beirut, che è vicino al movimento sciita, sostiene che Hezbollah non può rimanere fuori dalla guerra civile in Siria perché dagli esiti di quel conflitto dipendono delicatissimi equilibri regionali, a partire dal rischio di un maggior isolamento dell’Iran in seguito alla caduta di Bashar Assad e dell’ascesa al potere a Damasco di forze sostenute dall’asse Turchia-Qatar. Allo stesso tempo tra gli sciiti libanesi non tutti sono convinti dell’opportunità di questo coinvolgimento militare di Hezbollah, anche per le ricadute che ciò potrebbe avere nel Paese dei Cedri.
L’ex primo ministro libanese Saad Hariri, un sunnita alleato dell’Arabia Saudita, ha protestato accusando Hezbollah «di commettere gli stessi crimini di Israele contro il Libano e la sua gente e applicarli agli abitanti della città siriana di Quseir». Parole che hanno contribuito ad incendiare la città di Tripoli, sempre più coinvolta dal conflitto siriano.
Nei giorni scorsi almeno 11 miliziani sono rimasti uccisi negli scontri a fuoco tra gli estremisti sunniti di Bab Tabbaneh e gli alawiti (sostenitori di Assad e di Hezbollah) del Jabal Muhsen. I feriti sono stati oltre trenta e sulla scena cominciano ad apparire armamenti sempre più pesanti e distruttivi.
da Nena News
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