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Ecologisti, giovani dell’opposizione, studenti si sono accampati sotto quegli alberi per tre giorni finché ieri sera reparti antisommossa non li hanno sgomberati a colpi di lacrimogeni tossici e gas urticanti. La protesta era pacifica, ma a detta del premier non può bloccare quello sviluppo cui la grande metropoli non può rinunciare. In una cerimonia che lancia un ulteriore progetto: il terzo ponte sul Bosforo (e ricordiamo che da tre anni il governo islamico ha varato il faraonico disegno di scavare un canale parallelo al Bosforo per il traffico commerciale) Erdoğan ha rammentato ai manifestanti che rivendicano la storicità del parco Gezi come agli inizi del Novecento su quell’area insistevano caserme ed edifici militari.
Poi fu costruito uno stadio e solo successivamente lo spazio ha assunto il volto che conserva da decenni. Come a dire: la storia trasforma i luoghi e non resta ferma. Invece fermi nelle intenzioni di non dargliela vinta ci sono migliaia di giovani di Istanbul che devono però fare i conti con un gran pezzo della cittadinanza non coinvolta dalla tematica. Non solo perché costoro offrono voto e consenso all’Akp, ma perché anche sul fronte dell’opposizione kemalista non vogliono mescolarsi a una protesta dal sapore gauchista. Finora solo il Partito della Pace e della Democrazia, che con l’onorevole Sırrı Süreyya Önder è stato al fianco dei manifestanti anche durante lo sgombro poliziesco, ha speso argomenti a favore delle azioni di disturbo all’avvìo dei lavori. Questi prevedono un ampliamento della pedonalizzazione della parte centrale della città a discapito comunque delle piante del vecchio giardino. Sebbene lo staff erdoğaniano tenga alta la bandiera verde, non solo dell’Islam bensì dell’ecologia, dicendo che nel decennio di propri governi il suolo turco s’è arricchito di due miliardi e mezzo di nuovi alberi.
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