Si comincia dall’economia, o meglio dalla recessione in cui sono avvitati quasi tutti i paesi componenti il gruppo. L’unico che abbia registrato una crescita, negli ultimi tempi, è la Russia. Mentre per gli Stati Uniti, che pure vantano una risalita del Pil sopra lo zero virgola, non si può certo parlare di fase favorevole, nonooostante le valanghe di dollari stampate e gettate sul mercato dalla federal Reserve. Senza questa cornucopia “pubblica”, anche Washington starebbe facendo i conti con la recessione. E infatti “i mercati” vanno in fibrillazione ogni volta che sospettano che questa sorgente possa smettere di dare “liquidità”.
Ma di “crescita reale”, al dunque, neanche l’ombra. Nemmeno per la Germania che pure ha imposto una ristrutturazione forzata della divisione del lavoro su scala europea, facendo precipitare nel baratro diversi paesi senza peraltro guadagnarci granché (se non sul piano strettamente finanziario, visto che in pratica non paga più interessi sul proprio debito pubblico).
Quindi i componenti europei del G8 si trovano a dover far fronte con gli Usa (che gestiscono una politica “espansiva” almeno sul piano monetario), ma senza dare l’impressione di voler “isolare” la Germania, considerata comunque responsabile di una politica ultra-rigorista che ha accentuato le conseguenze della crisi invece di attenuarle. Fin qui hanno trovato un muro impenetrabile. Ancora ieri il ministro delle Finanze tedesco ha ricordato che: “Siamo pienamente d’accordo sul fatto che il Patto di Stabilità e di crescita va tenuto” così com’è, in quanto le regole europee sui conti pubblici “sono sufficientemente flessibili”.
E’ il problema che affligge soprattutto Francia e Italia. Mentre l’Inghilterra di Cameron punta ad ottenere risultati su tutt’altro fronte economico, quello dell’evasione e dell’elusione fiscale. Può sembrare paradossale che il paese più ostile a ogni forma di tassazione delle rendite finanziarie si anche quello che in questi mesi ha fatto le maggiori pressioni su alcuni paradisi fiscali (tra cui proprio quelli della Manica, cioè le isole Guernsey e Jersey) per raggiungere accordi “restrittivi”. Fino a cercare di ottenere, proprio nel G8, un consenso unanime su “una minimum tax” sui profitti esteri delle multinazionali.
Il problema delle finanze pubbliche affligge insomma anche Londra, che cerca dunque strade alternative per alimentarle.
L’idea inglese è di accelerare le trattative per raggiungere un accordo di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, ma i problemi non si riducono soltanto alla nota “obiezione francese” (vorrebbero una “eccezione culturale” al libero scambio per proteggere in particolare l’industria cinematografica transalpina). C’è soprattutto l’uso disinvolto della politica monetaria, con cui gli Usa sono abituati a scaricare sul resto del mondo i propri problemi.
E’ la parte del G8 che i giornali italiani traducono, molto semplicisticamente, in una sorta di querelle ideologica, con gli Usa nel ruolo di quelli “noi abbiamo fatto la nostra parte per stimolare la crescita, ora tocca a voi fare altrettanto” e gli europei – Bundesbank in prima fila – a stringere i cordoni della borsa. Gli Usa, infatti, dovranno cominciare a chiudere il rubinetto con cui la Fed “inietta” oltre 60miliardi di dollari al mese nei mercati. Se non arriverà “liquidità sostitutiva” – visto che a quanto pare “i mercati finanziari” non sanno più sostenersi da soli, alla faccia di ogni teoria liberista – il 2014 potrebbe vedere l’esplodere di molte “bolle”, ognuna delle quali di dimensione “sistemica”.
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