Ci siamo quasi. La rete televisiva statunitense Nbc ha reso noto che il raid aereo contro la Siria (lato Assad) scatterà domani e durerà tre giorni. L’amministrazione Obama cerca di mantenere un briciolo di effetto sorpresa e afferma che il presidente “premio Nobel per la pace” non ha ancora deciso.
Un giornale israeliano, dal canto suo, pubblica addirittura la mappa dei siti che saranno bersagliati dagli aerei di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia.
La somma di queste due notizie delinea un quadro da “intervento lampo”, indirizzato a cambiare i rapporti di forza militari sul terreno, non a preparare un intervento di lunga durata. Dopo due anni di “guerra per procura”, armando e finanziando una larga serie di gruppi “di opposizione” – dai filo-occidentali ai qaedisti, per capirci – l’imperialismo occidentale e le petromonarchie reazionarie del Golfo sembrano aver preso atto che la vittoria militare dei loro assisti è impossibile. Anzi, nelle ultime settimane le forze fedeli ad Assad hanno riconquistato numerose posizioni strategiche e città prima sotto il controllo dei “ribelli”. Quindi hanno deciso di cambiare questa situazione, restituendo ai “loro” un vantaggio militare.
Oggetto dell’attacco dovrebbero essere perciò sia le infrastrutture di telecomunicazione che consentono di dirigere le forze armate sul campo, sia i reparti più efficienti o strategicamente importanti, a partire naturalmente dall’aviazione di Assad.
Il portavoce di Obama continua a sostenere che l’obiettivo dell'”eventuale” attacco non sarebbe un “cambiamento di regime” (regime change), come affermato dagli Usa durante la lunga presidenza Bush. Ma in realtà è una presa in giro della propaganda di guerra: semplicemente, si interviene per indebolire militarmente il regime di Assad e facilitare così la vittoria dei “ribelli”. Alla fine si potrebbe perciò intonare la fanfara della “vittoria della democrazia”, per poi ritrovarsi da lì a pochi mesi a dover preparare altre azioni militari contro i “terroristi qaedisti” che si saranno impossessati del potere o di grandi fette del territorio siriano. Esattamente come in Iraq e in Libia.
Ed esattamente come in quei casi non ci sarà alcuna autorizzazione dell’Onu, che ha da pochi giorni invece inviato ispettori per verificare lo sbandierato uso di “armichimiche” da parte del regime. Questa pantomima statunitense è lgora anche agli occhi dei media occidentali più schierati, ma viene ripetuta in mancanza di argomenti migliori. Un rapporto Onu nel mese di giugno, infatti, riferiva che il gas Sarin in Siria era stato effettivamente usato sul campo, ma dai “ribelli” finanziati dagli Usa e dagli Stati Uniti. Le forniture, rivela il parlamentare inglese indipendente, George Galloway, sarebbero arrivate direttamente da Israele. Il cerchio sembra veramente perfetto…
Per circuire ancora un po’ le sconclusionate “opinioni pubbliche” occidentali, gli Usa promettono che presenteranno “le prove indiscutibili” dell’uso di armi chimiche da parte di Assad. E lo farebbero giovedì, in contemporanea con l’attacco (secondo le indiscrezioni della Nbc). Un’altra presa in giro: in pratica, gli Usa si attribuiscono ancora una volta il ruolo del giudice istruttore, quello del presidente di un tribunale internazionale inesistente e infine quello del boia (la parte che riesce loro meglio). Una pura affermazione di forza, “e vediamo chi prova a fernarci”.
Non lo faranno Cina e Russia, totalmente contrarie all’intervento, ma altrettanto impossibilitate a far qualcosa per impedirlo. A questo punto solo un’opzione militare contraria – chiaramente impossibile, visto che aprirebbe scenari catastrofici imprevedibili – potrebbe fermare gli aerei occidentali.
E l’Italia? Complice la crisi economica e il costo crescente della benzina avio per gli aerei, stavolta ha deciso di assistere senza muovere un dito. Almeno è quanto vanno dichiarando Emma Bonino e MArio Mauro, falchi filoamericani e ministri rispettivamente degli esteri e della difesa. Addirittura l’aviazione nazionale non si muoverebbe neanche in caso – immaginario, ovviamente – di un mandato Onu. Spiegazione ufficiale: “non è il Kosovo, qui la situazione è molto confusa”. Quasi quanto quella nel governo di Letta il Giovane.
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