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Il colabrodo della “sicurezza” negli Stati Uniti

Sembra definitivamente confermato che la strage avvenuta nel quartier generale della Marina degli Stati Uniti sia stata opera del solo Aaron Alexis. Al posto dei responsabili della “sicurezza” della base accenderemmo un cero alla madonna perché le cose siano andate davvero così. Ci sarebbe mancato solo che un paio di complici fosse riuscito a fuggire, dimostrando così che uno dei luoghi teoricamente più protetti del mondo – il comando della flotta militare statunitense – è un colabrodo in cui chiunque può entrare, sparare e tornarsene a casa.

Ma anche nel caso del “singolo pazzo sparatore” l’immagine che ne vien fuori non è delle migliori. Le cronache professionali riportano le seguenti notizie pressoché certe:

– Alexis, 34 anni, era un veterano dell’Us Navy, ovvero un militare con un lungo passato all’interno della Marina;

– ora lavorava come contractor civile, grazie alla logica delle “privatizzazioni” che coinvolge – e non da ora – anche la macchina bellica dell’impero;

– ci si domanda come sia stato possibile per lui avere un permesso di accesso alla base militare, pur avendo avuto problemi con la giustizia nel 2004 a Seattle e nel 2010 a Fort Worth, in Texas (“forte aggressività e violazione delle norme sul porto d’armi”); episodi che ne avevano decretato l’espulsione dai ranghi della Marina, ma che non ne avevano ostacolato la riassunzione come “privato”;

– si scopre ora che il problema dell'”accesso di pregiudicati nelle basi militari” era stato indicato come problema “da risolvere con urgenza” in un rapporto dell’Ispettore del Pentagono proprio alla Us Navy redatto lo scorso agosto.

Vero è che la condizione di “pregiudicato”, negli Stati Uniti, è una condizione di massa (oltre un milione di detenuti, un turnover forsennato dentro e fuori le prigioni di ogni lvello) che coinvolge soprattutto i neri e le altre minoranza “non wasp”. Ma in questo caso si parla di un ex militare, quindi con padroneggiamento professionale delle armi e grossi problemi di inserimento sociale che tendeva a risolvere – per l’appunto – ricorrendo all’armamento disponibile. Una persona che si può pagare poco per fare un certo lavoro, ma che diventa una bomba ambulante se può entrare liberamente in un posto come quello.

Se ne ricava insomma la decisa impressione che l’Impero abbia problemi enormi nel tenere insieme il ruolo di poliziotto globale e le strombazzate “libertà” in casa propria (a cominciare dal possesso di armi), E che il vantaggio economico immediato garantito dalle “privatizzazioni” si trasformi alla lunga in uno svantaggio strategico, dai costi alla lunga molto superiori.

Se vogliono, gli americani potrebbero chiederci una consulenza. Noi possiamo contare sull’esperienza dell’Ilva, per esempio, o di Alitalia, Telecom, Autostrade, ecc. In cui “privatizzazione” ha fatto rima con sfascio, degrado, impoverimento del paese e arricchimento di una decina di famiglie.

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